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Recensioni

Maneater | Recensione PS4

Le idee bislacche spesso e volentieri funzionano nei videogiochi.
Ci sono intere saghe giapponesi basate su idee che non sarebbero mai potute venire in mente ad un cervello raziocinante, ci sono videogiochi indipendenti che chiedono al giocatore di impersonare figure bislacche e ci sono videogiochi occidentali che alle volte ti lasciano di stucco per quanto sono intrinsecamente legati al mondo dell’assurdo.

Ecco, Maneater ha un concept di base che potrebbe rientrare perfettamente all’interno di queste definizioni, grazie ad un protagonista fuori da ogni canone e ad un’idea di fondo che spruzza divertimento da tutti i pori ma annaspa, proprio come uno squalo non dovrebbe fare, a causa di una serie di zoppicanti difetti di fabbrica.

Come può un pericoloso squalo leuca, ovvero una macchina della morte ingegnerizzata da madre natura in persona, avere problemi con una roba semplice come il divertire?

Vediamolo insieme.

Ma quali squali? Squelli?!

Ad occuparsi di Maneater è Tripwire Interactive, software house nota ai più per avere divertito migliaia digiocatori a suon di proiettili e zombie con la saga di Killing Floor. Fin dalla prima occhiata il progetto non mostra dalla sua un livello produttivo da capelli strappati, con tempi di caricamento piuttosto lunghi per la media ed un cura per il comparto grafico che lascia particolarmente a desiderare.

Cliccando su nuova partita, dopo aver magari analizzato le opzioni a disposizione, fortunatamente ci si ritrova fin da subito davanti al primo pregio del titolo. Maneater non si prende minimamente sul serio, non tenta di raccontare una storia cruda come quella di un Red Dead Redemption 2 ma la butta, fin dal primo minuto, in una caciara abbastanza irresistibile.

I personaggi descritti all’interno del titolo sono tutti terribilmente sopra le righe, in grado di ascriversi a figure caricaturali, tra stereotipi comportamentali e fisici. Tra redneck criminali, vecchi lupi di mare in pensioni e giovani scavezzacollo con il pallino per la pesca subaquea la nostra avventura sarà costellata di umani da sbranare e di avversari da abbattere.

Il mood generale con cui il gioco si propone al suo utilizzatore è molto sopra alle righe, con un narratore che non fa altro che spiegarci piccole curiosità sugli squali e su ciò che riguarda tale branca della biologia ittica.
Dopo venti ore di Maneater si può provare quasi a richiedere una laurea honoris causa in materie del genere.

Non solo di risate si vive sui fondali marini.

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Il cuore è in pace: il mondo di Maneater fa ridere spesso ed è un posto interessante dove esistere; il problema è di natura diversa ed è legato a tutto quello che riguarda l’aspetto tecnico ludico del prodotto in questione.

Maneater non è particolarmente divertente e non è nemmeno particolarmente bello da vedere, almeno su PS4 base dove abbiamo avuto il piacere di recensirlo.
Partiamo dall’aspetto prettamente tecnico del gioco.

Maneater è un open world tridimensionale che ha delle mappe composte da tortuosi bacini idrici, tra Bayou e lussuosi moli di floridiana memoria. Un buon ottanta percento del gioco si svolge sott’acqua, dove la natura più o meno rigogliosa è accompagnata da una quantità elevata di modelli poligonali a schermo; sullo sfondo alle volte svettano grattacieli, altrevolte si prostrano foreste di mangrovie senza ne capo ne coda.

Il polygon count del caso non è particolarmente elevato e anche la natura degli ambienti non aiuta il giocatore a strabuzzare gli occhi ogni tanto; tolti dei punti di riferimento che fungono da collezionabili sparsi per tutta la mappa di gioco i fondali marini esplorabili dal nostro squalo sono spogli, noiosi e visivamente poco interessanti. Le sorprese arrivano quando ci si ritrova ad esplorare i sistemi di grotte sotterranee, animate da una flora coloratissima e da qualche interessante gioco di luce ma c’è davvero poco altro di cui stupirsi.

Quando si tira fuori la pinna dal bordo dell’acqua iniziano i disastri; il frame rate spesso cala prepotentemente sotto i trenta e i modelli poligonali mostrano molto di più il fianco; gli esseri umani che sarà possibile mangiare sopra le barche o sulle spiaggie sono anonimi e gli scenari che fanno da cornice a tutto questo percorso sono semplicemente piatti, privi di guizzi memorabili.

Quello degli scenari di gioco in realtà è un problema più vasto che coinvolge anche il frangente ludico del prodotto: Maneater è difficile da navigare.

Perdersi in un bicchier d’acqua.

Quando si parla di open world è sempre importante cercare di puntare ad un level design o a un world design (macroscopico) in grado di rendere il viaggio all’interno del tutto gradevole e interessante.

Maneater questo passo lo skippa completamente preferendo un certo gusto per il realismo al tutto.
Nelle primissime fasi di gioco, complice anche uno squalo di piccole dimensioni, ci si ritroverà a perdersi nei dedali di canali e nei rigagnoli d’acqua alla ricerca degli obbiettivi sparsi, il tutto senza riuscire mai a capire per bene dove bisogna andare. L’assenza di punti di riferimento, le continue fallacie dell’HUD e più in generale un level design non molto intuitivo trasformano le peregrinazioni del nostro squalo leuca in un apri/chiudi mappa continuo che potrà stancare facilmente i giocatori.

I puntatori a schermo non rimangono sempre in primo piano, alla volte questi ultimi si prendono licenze poetiche e decidono di non comparire proprio; questi elementi aumentano il senso di smarrimento e privano ancora una volta il gioco del divertimento altrimenti derivante dal continuo tirare fuori nuovi luoghi da esplorare.

Maneater da questo punto di vista si perde in un bicchier d’acqua, costringendo il giocatore a sacrificare il divertimento in onore di chissà cosa.

Mangia, cresci, schiva, muori comunque.

Il succo di Maneater è quello di action open world abbastana caciarone, senza sandbox particolari o gimmick incredibilmente complicate. Il giocatore interpreta uno squalo e fa cose da squalo come mangiare pesci, rompere cose, divorare persone etc etc.

Il nostro squalo protagonista ci verrà consegnato pinne in mano ancora all’inizio del suo percorso evolutivo e sarà compito guidarlo verso il cibo per farlo crescere, al fine di diventare pian piano adulto. Ogni pesce mangiato, ogni umano sbranato, ogni monumento distrutto darà al nostro squalo nutrienti e punti esperienza.
I primi sono le risorse che servono per potenziare il nostro squalo dotandolo di nuovi organi di senso (come un sonar più potente, ad esempio) o di denti più affilati, i secondi sono ciò che separa un cucciolo di squalo da un vecchio squalo degno di essere chiamato ahab da un marinaio impertinente.

Fin dal suo incipit Maneater lascia al giocatore una libertà d’azione quasi totale sul cosa e come fare per ottenere tali risorse e tali nutrienti. Il giocatore avrà la possibilità di massacrare gli esseri viventi che incontra lungo il suo cammino, avrà la possibilità di completare le missioni che compariranno sulla mappa di gioco (tutte rigorosamente dotate di uno strato narrativo sottile come la carta velina) o generalmente potrà ottenere utilizzare l’antica tecnica del giocazzeggio che titoli come Just Cause hanno portato al massimo possibile.

Peccato che ludicamente parlando il titolo viene molto rapidamente a noia a causa di un sistema di combattimento e movimento che lascia poco spazio all’immaginazione. Mangiare pesci significa button mashare quadrato sino alla scomparsa dell’avversario; affrontare i super predatori significa bestemmiare tutti i santi a causa di un sistema di targeting odiosissimo che molte volte ti costringe a schivare senza aver davvero idea di cosa si stia facendo.

Più in generale da questo punto di vista non ci siamo proprio.
Il comparto ruolistico è abbozzato il giusto e rappresenta una caratteristica interessante del prodotto ma viene accompagnato da un’infrastruttura che non diverte, non interessa e più in generale non aiuta.

Maneater alla fine si ritrova ad essere un gioco divertente da vivere ma non divertente da giocare; tra le tante risate che ci si può fare a causa delle situazioni bislacche in cui il gioco ci porterà troviamo anche delle lacrime per tutto il potenziale sprecato.


Maneater è uno squalo un po’ ingordo che non ha ancora ben capito come si nuota. Il titolo di Tripwire sfrutta decentemente il suo concept per offrire un mondo di gioco pieno di umorismo e di ilarità fallendo però negli altri punti di vista. Comandare uno squalo è divertente a piccoli sorsi e per poter portare a termine il titolo sarà necessario fare pace più e più volte con il sistema di movimento e di combattimenti; tutto ciò, inserito all’interno di un paradigma ludico vecchio di vent’anni, chiude il cerchio con un “se proprio vi piacciono gli squali questo è il gioco che fa per voi…”

This post was published on 1 Giugno 2020 15:49

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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