Karl Hamba è il protagonista del titolo realizzato dal team di GhostShark (composto da Davide Barbieri, Domenico Barbieri e Armando Teora), rinchiuso nel suo faro spaziale Bento. Confinato in un lembo di universo, Karl ha intrapreso una missione spaziale della durata di due anni, in cui ha il compito di rilevare dati sulle stelle vicine e spedirli alla compagnia per cui lavora.
Rilasciato per PC e Nintendo Switch, pubblicato da Iceberg Interactive, Still There è un videogioco che si basa molto sulla psicologia dei personaggi e non può passare inosservato.
Uno scenario fantascientifico che emoziona
Le prime parole che vengono in mente pensando a Still There sono “sofisticato”, “umano” e sicuramente anche “emozionante”.
Proprio parlando di emotività, Karl intraprende la missione spaziale con un bagaglio emozionale sulle spalle molto pesante, lascia sulla Terra sua moglie e la sua vita. Vive sulla navicella senza oblò con nessun’altra persona se non Gorky, l’IA che prende il nome dal pittore armeno (come ci ricorda il personaggio stesso), e con un tuatara a cui potremo anche dare un nomignolo. Già questo setting angosciante e claustrofobico riesce a creare un’ambientazione che personaggi e storia renderanno emotivamente impattante.
L’azione si svolge in alcuni giorni in un “faro spaziale” dove tutto prende vita. L’abitacolo circolare presenta un’interfaccia brillante, con la possibilità di muoversi in diverse schermate scrollando a destra e sinistra, insieme alla sovrapposizione di più pannelli, con un microfono e un “periscopio spaziale” per l’individuazione delle stelle.
Ogni giorno svolgeremo le task giornaliere (come le chiama Gorky, da cui verremo continuamente richiamati all’ordine), fino a quando riceveremo un SOS da una navicella con motori in avaria.
Questo evento darà nuova vita al protagonista: Karl è ancorato al passato, è ancorato al suo faro che non è propriamente una navicella spaziale e non ha motore per muoversi, proprio come il suo cuore. Trova propulsione però grazie alla presenza di Elle, una ragazza che da una navicella spaziale gli chiede soccorso immediato.
Con pochi dialoghi, gli interventi di Gorky, le mail e i log, Still There ci racconta il nostro background e riesce a disegnare personaggi abbastanza complessi e con cui è facile immedesimarsi, empatizzare. Personaggi che, tra l’altro, presentano un bellissimo artwork, un fumetto che diventa interattivo in molti momenti. Curatissimi anche gli ambienti e le schermate dell’abitacolo che si mostra trasandato, già vissuto, come testimoniano scatole di cibo altrui, mille post-it, fumetti ed altri oggetti che non appartengono a Karl.
In definitiva, è sicuramente un titolo molto umano perché ci parla di solitudine e angoscia esistenziale, una concezione di tempo diversa, tutto con sarcasmo nei tempi giusti, ma soprattutto parla del coraggio di andare avanti e di non restare still there.
Sono davvero un astronauta?
Ovviamente il titolo non è privo di piccoli ed altri non trascurabili difetti, in primis quello che è il centro di questo freschissimo punta e clicca. I puzzle sono sì sofisticati ma estremamente complessi, troppo difficili per un giocatore medio; ma d’altra parte il titolo sembra già attirare una schiera abbastanza piccola, sia per il genere, sia per i temi “filosofici” su sfondo fantascientifico. Ed è davvero un peccato per quanto ben scritto e pensato è Still There.
Gli enigmi richiedono a volte una risoluzione con strumenti che si trovano nelle schermate (chiavi, posate, scatole), a volte con la pressione di pulsanti. Sembra tutto verosimile ma estremamente complesso, tanto che il gioco stesso ci suggerisce di risolvere questi puzzle in maniera facilitata, senza avere la possibilità però di ottenere trofei. La stessa interazione con gli strumenti utilizzabili è intuitiva ma poco funzionale, macchinosa, perché per utilizzare una forchetta dobbiamo cliccare sull’oggetto più volte.
Per risolvere gli enigmi che ci mettono più in difficoltà, possiamo chiedere informazioni a Gorty o utilizzare il manuale. Il testo però è di difficile lettura ed utilizza termini che imitano quelli tecnici che bisogna decodificare, nascondendo una risoluzione non troppo complessa. Proprio questa decodifica risucchia tempo ed energie, distogliendo l’attenzione dalla bellissima narrativa che caratterizza il videogioco.
Un altro piccolo neo sono i dialoghi: sarcastici a volte, fantascientifici ma anche sognanti. I dialoghi caratterizzano i personaggi, fanno procedere la storia ma ci danno solamente un’interazione apparente: le scelte multiple possono solo farci saltare blocchi di testo, ma non ci conducono a diversi scenari.
Giudizio finale
Still There trae spunto e linfa vitale da tantissime opere cinematografiche e letterarie, le combina con una narrativa romantica e angosciante e dà vita ad un titolo fresco, commovente, con artwork brillanti. Ciò che manca al videogioco della Ghostshark è un pubblico, perché tra il genere specifico, lo scenario scelto e la storyline particolare, si ritaglia una piccolissima nicchia nel panorama videoludico. Ed è un peccato, perché vale davvero la pena giocarci per ritrovarsi commossi e piangenti a fine run.