Quello dei Roguelike è un genere a cui teniamo molto.
Giochi che si continuano a rinnovare ogni volta che li si apre, videogiochi che continuano a farsi scoprire a distanza di mesi se non anni, pletore di meccaniche che si accatastano l’una sopra l’altra alla ricerca dell’equlibrio perfetto ed il divertimento (bastardo, vogliamo aggiungere) che invece fa capolino soltanto quando non esiste equilibrio, non esiste zen, non esiste mediana e tutto va in vacca.
Quello dei Roguelike è un genere che ci ha provato in mille modi a rinnovarsi e ad acquisire una nuova pelle: abbiamo visto roguelike cercare di coprire le tematiche più strane, roguelike cercare di puntare alla difficoltà assoluta, roguelike tentare di puntare al carisma del proprio personaggio o alla narrativa; abbiamo visto ibridazioni con i generi più disparati ed esperimenti falliti al primo avvio.
Quello di cui parliamo oggi è un roguelike che dalla sua ha sessanta personaggi giocabili, ognuno con il suo stile e ognuno con il flavour. Oggi parliamo di Hyperparasite di Troglobytes Games e di come tenti di trovare il suo spirito tra luci al neon e difficoltà imperitura.
Hyperparasite mette il giocatore nei panni di un parassita alieno arrivato sulla terra con l’obbiettivo di purgare l’umanità per puro divertimento. L’alieno, atterrato nella non particolarmente amichevole città di Downtown, si ritroverà fin da subito a fare i conti con una popolazione locale tutt’altro che pacifica.
Fortunatamente per lui (e di riflesso per noi) i corpi umani non sono altro che veicoli in grado di aiutarci nell’ottenimento del nostro scopo. La caratteristica principale di Hyperparasite è il continuo cambio di personaggio, vista la capacità del nostro parassita, di controllare le membra altrui.
In un gameplay da twin stick shooter/brawler il titolo di Troglobytes Games mette insieme decine di stili di gioco diversi. I sessanta personaggi del gioco (così a naso la cifra più alta mai apparsa in un gioco del genere) hanno tutti abilità diverse e si dividono tra personaggi con combattimento ravvicinato e personaggi a distanza.
L’avventura del giocatore nel titolo comincia dopo un lungo ed esaustivo tutorial in cui tutte le meccaniche di gioco vengono presentate con una buona dovizia di particolari. Da lì in poi il gioco smette di tenere il giocatore per mano e lo lancia all’interno di una downtown piena di luci al neon e di tombini fumanti, dove praticamente il 100% della popolazione è composta da debosciati, criminali e loschi figuri.
Questo sarà il punto di partenza del nostro percorso da parassita.
Prendendo il controllo di un particolare tipo di nemico si avrà accesso alla sua abilità e al suo tipo di attacco; c’è chi prenderà a colpi di carrello gli avversari, chi avrà dalla sua una più comune pistole e così via. Il numero di creature controllabili per stage è abbastanza elevato da permettere al giocatore di piegare il titolo al suo volere e ai suoi gusti, prediligendo un approccio melee o un approccio misto invece che sparare sempre a distanza.
Bisogna fare attenzione ad un concetto però: per poter prendere il controllo di un avversario sarà necessario prima aver studiato il suo cervello; per poter eseguire questa azione bisogna sperare che l’RNG sia dalla nostra e bisognerà aver droppato (in una partita precedente) il contenuto della scatola cranica avversaria.
Questa, se portata presso un hub presente in ogni stage del gioco, potrà essere analizzata pagando un corrispettivo in monete. L’hub di ogni stage, oltre a ciò, servirà anche per equipaggiare il proprio parassita con una serie di bonus e oggetti, in grado di semplificarci la vita e di obbligarci a variare il playstyle.
Nonostante la grandissima varietà di personaggi disponibili Hyperparasite sembra soffrire leggermente di avarizia quando si tratta di consegnare risorse al giocatore; la difficoltà del gioco non perdona e il non esaltante numero di oggetti e di ricompense che si troveranno scandagliando da cima a fondo le varie stanze non aiuta sicuramente la progressione del giocatore, specie durante le prime fasi del gioco.
Nel nostro caso si risente leggermente la natura pc del sistema di controllo, con una precisione non ottimale dovuta ai limiti tecnici degli stick analogici; l’autoaim in tal senso mitiga il problema ma non riesce a riconsegnare al giocatore un feeling di assoluta comodità.
Se si vorrà andare alla ricerca di qualità sarà necessario imbarcarsi in missioni complicate come l’esplorazione di zone bloccate dietro a chiavi o l’abbattimento di boss. Passare di zona in zona richiederà in ogni caso al giocatore uno sforzo notevole, complici delle bossfight di grande difficoltà che sfiorano spesso follie tipiche dei danmaku nipponici.
Fortunatamente l’esplorazione rimane abbastanza leggera, complice anche la possibilità per il giocatore di teletrasportarsi in praticamente qualsiasi stanza già visitata, riducendo il noioso backtracking al minimo storico. Da questo punto di vista Hyperparasite è molto intelligente e pone tutto il suo peso sul gameplay, pieno di possibilità e fiero di un livello di difficoltà sopra la media che farà sicuramente presa su determinate tipologie di giocatori.
Molto interessante per il giocatore anche la possibilità di affrontare l’avventura con un compagno in una interessante cooperativa locale. Il titolo si presenta in tale impostazione il perfetto ammazzatempo, complice anche il livello di difficoltà sopra descritto e la sua longevità tutt’altro che banale.
Portare a termine una singola run può richiedere anche un ora di tempo se si vuole avere l’accortezza di esplorare tutto nei minimi dettagli, figuriamoci cosa possa voler dire cercare di poter controllare qualsiasi tipologia di nemico presente nel gioco o completare delle run soltanto con personaggi specifici.
Dal punto di vista prettamente tecnico Hyperparasite è un giochino onesto, dotato di una visuale top down e con una grafica tridimensionale di buona fattura. L’art direction del gioco non trova mai un momento per spiccare veramente e da quel poco che si vede Hyperparasite prende a piene mani dalla wave del cyberpunk che tanto ha spadroneggiato nel mondo dei videogiochi durante gli ultimi anni.
Gli abitanti di Downtown non sfigurerebbero minimamente in uno sprawl gibsoniano, ne sfigurerebbe la synthwave come colonna sonora, perfettamente in grado di dare la carica giusta e di riempire l’atmosfera con i sentimenti più adatti ad una carneficina senza fine. Di buona qualità anche gli effetti sonori che tra spari, latrati di dolore e altre menate di questo tipo faranno compagnia al giocatore in modo più che egregio.
Come già detto sopra l’aggiunta della cooperativa locale è un ottimo modo per prolungarne la longevità oltre la decina di ore che servirebbero ad un normale player per evitare di impazzire.
Unico appunto che ci sentiamo di fare in fase di recensione, relativo alla versione Nintendo Switch, è la dimensione del font usato per scrivere le informazioni a schermo e sull’almanacco, davvero troppo piccolo per risultare chiaro sullo schermino della Switch.
La situazione, ovviamente, migliora in modo netto quando ci si porta sullo schermo del televisore o del monitor del caso.
Hyperparasite è un roguelike con il cast di un picchiaduro enorme. Il titolo, forte di idee interessanti di gameplay e di una meccanica di base molto intelligente risulta divertente e appassionante in cooperativa. Restano da limare alcuni equilibri interni ai sistemi di gioco e resta alta la difficoltà, in grado certamente di spaventare più di un giocatore. Molto interessante la presenza di una modalità cooperativa, opzione che ne impreziosisce la longevità già di per sé buona. Un prodotto interessante, destinato ad una nicchia, che speriamo trovi il successo che merita.
This post was published on 4 Aprile 2020 10:30
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