Ogni volta che c’è un nuovo titolo survival horror indie da giocare so già cosa mi aspetta: telecamera in prima persona, camminate, jumpscare… camminate… qualche enigma e… ancora camminate. È così nel 90% delle volte da quando è uscito Outlast. In effetti tutti cercano di essere il nuovo Outlast, senza successo… non ci è riuscito nemmeno il 2, figuriamoci. Sarà così anche per questo Curse of Anabelle o siamo di fronte a qualcosa di più originale e interessante?
Non andrò a mentirvi: il nome mi ha fatto subito pensare alla sopravvalutatissima serie cinematografica “”horror”” spin-off Annabelle (con due “n”) che mammamia come fa ad avere successo Dio solo lo sa… Fortunatamente la storia di questo gioco non gira intorno ad una bambola maledetta ma ad una bambina di 9 anni che muore misteriosamente nel giardino della residenza dei Ramsey a Boulder, una cittadina del Colorado… beh… non so quanto possa essere lecito ricorrere alla parola “fortunatamente” a questo punto, potrebbe apparire di cattivo gusto.
La sorella maggiore, Emily, dopo una serie di strani sogni, è convinta che per qualche motivo l’anima della bambina sia intrappolata nella villa, in una sottospecie di limbo. Decide dunque di avventurarsi nella magione alla ricerca di informazioni. Indovinate un po’… sparisce anche lei. Ovviamente non prima di aver raccontato tutto al ragazzo, Nathan, vero protagonista del gioco nonché doppiamente imbecille e degno di un Tapiro d’oro dato che decide di far visita a sua volta alla magica villa.
L’incipit dell’avventura non mi ha detto molto: sembrava il solito monotono e noiso survival horror che ho poc’anzi descritto. Tuttavia mi sbagliavo, mi spiego: nelle prime ore di gioco è tutto abbastanza lineare tra la ricerca di indizi e oggetti, la risoluzione di enigmi abbastanza facili (anche a causa della scarsa interattività degli ambienti), buio, torcia e jumpscare piazzati nemmeno troppo male.
Ad un certo punto succede qualcosa che non vi voglio spoilerare, ma che cambia le carte in tavola. L’esito di tale vicenda porterà il nostro protagonista a scoprire di poter usare formule magiche da alcuni libri legati all’occultismo e sebbene egli sembri il più ignorante degli ignoranti, riesce a pronunciare complessissime frasi in latino. Anche se il suo accento è alquanto ridicolo, ma di questo vi parlerò dopo.
Con il libro di magia possiamo fare cose interessantissime come creare un faro di luce dalla durata limitata ma riutilizzabile dopo qualche secondo (a che scopo a questo punto?) o usare i sigilli craftati con gli oggetti dell’inventario per iniziare i rituali occulti necessari per teletrasportarsi nella zona di combattimento.
E qui viene il bello: in questo gioco il combat system è pensato per venire incontro ai comfort e alle esigenze dell’utente: una comodissima arena 3×3 in cui una misteriosa entità ci lancerà delle mortali (ma veramente mortali, che ci uccidono al primo colpo) fireball. Per contrastare questo essere potentissimo dovremo eseguire senza errore alcuno una sequenza di tasti opportunamente vicini ai WASD per lanciare il controincantesimo. Quindi non sto qui a raccontarvi quante volte sono morto a causa del tasto sbagliato o del fallimentare input feedback implementato in questo meraviglioso e ben pensato sistema di combattimento.
Al minestrone esoterico si aggiunge l’ingrediente segreto: il viaggio nel tempo. Nathan è in grado di cambiare timeline con la pressione del tasto T per esplorare zone della magione altrimenti inaccessibili.
Senza andare incontro ad ulteriori spoiler sulla trama, non vi nascondo che sono rimasto abbastanza deluso. Il tema dell’occultismo sarebbe stato un ottimo pretesto per qualcosa di più interessante. Occasione sprecata.
Tecnicamente il titolo dei Rocwise Entertainment è altalenante: gli ambienti interni e gli oggetti sono di buona fattura, le illuminazioni un po’ meno e i modelli dei personaggi dimentichiamoli proprio. A questo si aggiungono fastidiosi bug che si palesano fin troppo spesso.
Il comparto sonoro non sarebbe nemmeno malaccio se non fosse per il voice acting di basso livello. Non vi nascondo che in alcune fasi di gioco sono scoppiato a ridere mentre il protagonista recitava formule avvicinandosi più al napoletano che al latino.
Non ci credo, sono giunto al termine della recensione di Curse of Anabelle. Un titolo che sulla carta ha una preparazione meticolosa e curata ma che risulta fallimentare nella realizzazione tecnica e in molte meccaniche di game design. Non scoraggiatevi team di Rocwise, avrete modo di correggere i vostri errori nel prossimo titolo!
This post was published on 20 Febbraio 2020 17:23
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