Qualsiasi bambino che abbia posseduto un Gameboy o un Nintendo conosce la sensazione di sollievo e piacere nel concludere un livello, nel vedere ad esempio Mario saltare sulla bandierina.
Lo stesso piacere ancestrale e travolgente lo si può certamente provare giocando al pluripremiato Celeste, il platform 2D realizzato in pixel art da Matt Thorson e Noel Berry. Ma bastano due minuti di gameplay per capire che impersonificare Madeline non è solamente soddisfacente, ma anche estremamente, indicibilmente estenuante.
La storia dei videogiochi a piattaforme inizia negli anni ‘80 e una copiosa produzione sembra ai nostri giorni aver esaurito la possibilità di rinnovarsi. Ma Celeste già dalle prime schermate stupisce: è chiara l’influenza di videogiochi come Super Meat Boy, R-type e Super Metroid da cui Thorson e Berry hanno sapientemente tratto meccaniche di gioco, fondendole poi in un gameplay ben studiato e difficoltoso, che non si limita solo al platform ma che sperimenta e va oltre.
A lungo si è parlato del sistema di trial and error di cui Celeste si avvale, il quale permette di ricominciare immediatamente la schermata di “puzzle” appena si muore (che può avvenire per caduta o per il tocco di oggetti ostacolanti il passaggio), riducendo la stanchezza del giocatore ed invogliandolo a riprovare continuamente. Il trial and error è funzionale all’apprendimento delle meccaniche che cambiano in ogni stanza; ma questo sistema non è l’unico a rendere l’esperienza di gioco faticosa ma apprezzabile.
Indubbiamente il dash attack (chiara eredità di Wario land) contribuisce, grazie al trascurabile ending lag, a dare dinamismo al personaggio. Indispensabile il movimento della camera, che non segue Madeline ma resta fisso, permettendoci di avere una visione completa della schermata in cui ci stiamo muovendo.
Madeline può, inoltre, aggrapparsi alle pareti, dando una reale sensazione di sospensione e stanchezza, perché il nostro avatar non potrà reggersi in eterno: anche se lo stamina system di questo meccanismo non è visibile al giocatore, con lo stratagemma visivo di un cambio nel colore dei capelli, ci si rende conto che la presa sta per essere lasciata e che solo un cristallo verde può prevenire l’inevitabile caduta. Inoltre, il double jump, di cui ci potremo avvalere solo in una specifica sezione del gioco, fa certamente tirare un ampio respiro di sollievo.
In ultimo, il Coyote time, ovvero l’abilità del giocatore di poter saltare anche dopo che il personaggio non sta più toccando il suolo, facilita l’avanzamento nei livelli che sembrano più complessi.
Sì, perché più si va avanti e più il gioco sembra punitivo, complesso, riunisce tutte le meccaniche in un mix micidiale che necessiterà molta memoria muscolare per essere affrontato (nonché nervi saldi nel risentire per la cinquantesima volta la soundtrack, che per quanto sia magistralmente composta può risultare ansiogena e non adrenalinica).
Dal punto di vista visivo, nonostante il gioco sia realizzato in pixel art, lascia stupiti quanta cura nei dettagli è stata messa nella realizzazione: nelle ambientazioni, nei particolari che rendono il movimento di Madeline più verosimile e, per esempio, a livello sonoro è elegante come la soundtrack diventi ovattata nel momento in cui si entra in acqua.
Una funzione perfettamente riuscita è quella dell’assist mode, che permette ad ogni tipo di giocatore di godersi Celeste, modificando la velocità, riducendo la difficoltà del gioco, la stamina, il numero dei dashes e l’invincibilità.
Chiaramente nella nostra analisi non possiamo trascurare la trama del videogioco, che potrebbe sembrare banale, sicuramente semplice ma che tratta temi complessi quali la depressione e gli attacchi di panico con delicatezza e senza lasciare spazio all’immaginazione: Madeline ne soffre seriamente, non abbiamo un ritratto distante e allusivo di uno stato mentale che può essere molto debilitante.
Alcuni dialoghi riescono a centrare il punto (non quelli finali che risultano estremamente ridondanti), a descrivere con poche parole come questo stato sia subdolo e dannoso, e sembra una rappresentazione reale della crescita personale la realizzazione di Madeline che l’autoperfezionamento non è istantaneo, che non basta dirsi “ce la posso fare” per cambiare in meglio.
Nonostante sia carino l’escamotage del doppelganger “malvagio” della protagonista, creato dalla forza disgregatrice della sofferenza e alimentato dal potere della montagna, nel complesso Celeste riesce solo a creare un’ambientazione, l’assaggio narrativo di quella che sarebbe potuta essere una trama ben costruita e non un accessorio ad un gameplay esplorativo e complesso.
Celeste sul piano della rigiocabilità è eccezionale, basti pensare alla lista di speedrunner che a lungo hanno cercato di battere i record, oppure alle ore spese a giocare dei recensori di Steam.
I livelli sono sempre perfezionabili, i collezionabili che sbloccano nuove sezioni numerosi.
Se siete alla ricerca di un videogioco su cui ritornare quando ne avete voglia e in cui scoprire sempre nuove cose, questo gioco fa per voi. Se invece puntate su una trama interessante, approfondita, probabilmente resterete delusi: Celeste è tenero e “reale”, ma potrebbe non soddisfare le vostre aspettative.
This post was published on 29 Gennaio 2020 19:01
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