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Deathtrap Dungeon: The interactive video adventure | Recensione (PC)

Il ritorno del librogame e dei suoi derivati digitali è stato uno dei fenomeni più interessanti degli ultimi anni: a partire dalle riedizioni dei vecchi Lupo Solitario del compianto Joe Deaver sino ad arrivare a nuovi entusiasmanti esperimenti videoludici basati su di essi, il genere è tornato alla ribalta ed è riuscito a radunare attorno a sé una nutrita schiera di appassionati. Ai giochi digitali che stanno cavalcando l’onda buona si aggiunge oggi un titolo che potrebbe far rizzare le orecchie a qualche fan dell’old school: Deathrap Dungeon, uno dei classici del librogame fantasy anni ’80, è infatti tornato e lo ha fatto nella veste di un filmgame interattivo di cui abbiamo provato la versione PC in early access.

Il risultato sarà stato un’avventura indimenticabile o una normale quest secondaria? Scopriamolo insieme!

“Ho una storia da raccontarti”

Come avrete capito, a causa delle sue origini letterarie, parlare di Deathtrap Dungeon non significa solo parlare del videogioco che trattiamo oggi, ma anche scavare nella storia del gioco narrativo (digitale e analogico) e risalire gli annali fino al 1984, anno della sua prima incarnazione.

Un dettaglio della copertina della versione originale di Deathrap Dungeon

Si tratta del sesto librogame della collana Fighting Fantasy, una delle più importanti etichette del settore, e di uno dei protagonisti indiscussi della letteratura gamificata di quegli anni. Per dare l’idea della sua fama, il suo autore, Ian Livingstone, è tutt’ora considerato uno dei più importanti e prolifici del genere, di poco inferiore a Joe Deaver (pioniere e autore simbolo di un intero medium).

Data l’importanza di Deathtrap Dungeon, non sorprende affatto che Branching Narrative, studio di sviluppo e publisher di questa versione digitale (non la prima: da DD è stato tratto anche un action adventure nel lontano 1998), abbia voluto riproporlo in una nuova veste cavalcando l’ondata di revival di questo peculiare mezzo di intrattenimento.

Per farlo gli sviluppatori hanno però optato per un format molto peculiare. A differenza delle ultime trasposizioni di Lupo Solitario o del nostrano Fra tenebra e abisso, che proponevano al giocatore delle vere e proprie versioni ipertestuali digitali di classici librigame (unica variazione del primo caso: la presenza di combattimenti tattici a turni in 3d), questa versione di Deathrap Dungeon sceglie una strada completamente diversa, rischiando molto.

A spasso nel dungeon

Quando Deathrap Dungeon inizia, le cinematiche di cui si compone non ci fanno ritrovare nel tenebroso labirinto di Fang (il dungeon mortale che il nostro alter-ego dovrà affrontare per ottenere la gloria), ma d’innanzi a un simpatico e ispirato narratore che, sprofondato in un’elegante poltrona nel suo studio, inizierà a raccontarci la nostra storia. Saranno solo le sue parole, accompagnate solo di tanto in tanto dalle splendide illustrazioni del libro originale, a condurci nel meraviglioso mondo di sfide mortali di DD. Ciò vuol dire che, se siete alla ricerca di un gioco in cui l’aspetto visivo la fa da padrone, forse dovreste prendere Deathrap Dungeon con cautela: l’intera avventura è infatti impostata per darci la percezione di stare seduti di fronte al nostro “master” ad ascoltarne le parole.

Come nella miglior tradizione del racconto interattivo, man-mano che il gioco evolverà potremo decidere come affrontare l’avventura attraverso semplici scelte multiple, mentre i combattimenti verranno risolti in sezioni dedicate nelle quali dovremo sfidare i mostri lanciando dadi virtuali e facendo un buon punteggio. L’esplorazione del dungeon fra una sfida e l’altra sarà invece resa possibile da una mappa navigabile, nella quale non dovremo far altro che navigare fra una location e l’altra (location che rappresenteranno anche i checkpoint che incontreremo durante l’avventura).

Questa la struttura base del gioco, un esperimento che ci porterà via dalle due alle tre ore di gioco, nella quale risiedono tanto i suoi pregi quanto i suoi limiti.

Per quel che riguarda i primi, l’impostazione di Deathrap Dungeon è originale, immediata e resa piacevole soprattutto dal narratore, l’attore britannico Eddie Marsan (visto in Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw), meravigliosamente calato nella parte e vero mattatore in grado di reggere l’intera opera sulle sue spalle. Il risultato è un’esperienza davvero piacevole, che non mancherà di strappare un sorriso compiaciuto agli amanti della narrazione.

D’altro canto, lo scotto da pagare per questo è un gameplay che limita molto la libertà d’azione del giocatore, soprattutto se facciamo riferimento agli standard regolistici dei librigame fantasy. La pecca più grande di tutte sarà infatti il fatto di avere a disposizione un folto equipaggiamento/arsenale d’avventura, ma di non poterlo minimamente personalizzare o equipaggiare per rendere il nostro personaggio più competitivo.

Questioni di fortuna

Cosa vuol dire questo? Semplice: che per l’intera avventura la riuscita delle azioni che compiremo sarà legata alla nostra fortuna con i dadi virtuali, dandoci l’idea di non avere mai il completo il controllo della situazione. Un’impressione resa ancora più pesante dalla presenza di alcune di quelle che nel gergo tecnico del librogame si possono definire “instant death”, ovvero situazioni di vero pericolo che possono condurre a morti inaspettate e senza appello qualora i dadi ci dicano male. A mitigare la situazione troviamo certo l’intelligente sistema di checkpoint automatico al quale ci riferivamo prima, che scongiura il pericolo di dover ricominciare tutto da capo, ma non basta a toglierci l’idea di avere di fronte un gioco che non ci permette di pianificare veramente il modo in cui affrontare le tante sfide che ci troveremo davanti durante l’avventura.

Altro elemento di dubbio, che tuttavia sarà senza dubbio rivisto dai programmatori, è la realizzazione delle sezioni di battaglia, con elementi grafici come i riquadri delle statistiche dei personaggi che si sovrappongono all’area deputata ai tiri di dado rendendo difficile la lettura del risultato. Un fatto che, come potete immaginare, al momento rende l’esperienza frustrante.

In conclusione…

Valutare Deathrap Dungeon non è facile: da una parte si tratta di un gioco che eredita un sistema di gioco immediato ma fortemente arcaico, che fa dell’elemento aleatorio l’unico vero sistema di risoluzione delle situazioni senza che ci sia consentito intervenire per migliorare le performance del nostro alter-ego. D’altro canto, l’originalità dell’impostazione, con una sorprendente capacità di immergere in un’atmosfera quasi unica grazie alla narrazione di un attore ipnotico e carismatico e alle bellissime illustrazioni, potrebbe facilmente accontentare chi non aspetta altro che una piacevole occasione per perdersi nell’ascoltare (letteralmente) un’appassionante dungeon adventure old school in grado di portarci in altri mondi, in cerca di avventure fantastiche e tesori inestimabili..

This post was published on 6 Febbraio 2020 12:34

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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