I puzzle game moderni hanno tematiche e ambientazioni che appartengono a due macrocategorie: da una parte troviamo le menate filosofiche e da quell’altra la ricerca scientifica; da una parte abbiamo l’incredibile The Talos Principle di Croteam, dall’altra abbiamo sua maestà Portal 2 di Valve.
Lightmatter fa parte del secondo filone e lo fa anche con un certo gusto; inutile dire che il titolo non spreca occasione per ricordare a tutti quanto sia stato importante Portal 2 ma questo poco importa alla fine della fiera.
Al netto di tutte le citazioni, i richiami e le coccole, il prodotto di Tunnel Vision Games è una lettera innamorata ad un genere e al gioco che tanto più l’ha cambiato nel corso degli ultimi dieci anni; una lettera perfettamente in grado di camminare sulle sue gambe.
Vediamo insieme perché e ricordatevi che, stavolta, avere paura del buio sarà tutto meno che irrazionale.
Sia fatta la lightmatter.
Tunnel Vision Games è una piccola software house danese che si era fatta conoscere anni fa per un progettino conosciuto con il nome di See You On The Other Side, un puzzle game a metà tra la metafisica di Antichamber e l’oscurità asfissiante di Closure. Il successo del loro primo progetto ha portato i ragazzi a pensare più in grande e a raffinare i concetti e le idee profuse in esso, realizzando di conseguenza Lightmatter.
Se volessimo provare a riassumere questo videogioco in poche parole potremmo usare qualcosa tipo the darkness is lava.
In Lightmatter il peggior nemico del nostro povero protagonista è il buio che si nasconde in qualsiasi anfratto, un buio denso e mortale che ricorda la pece e che è in grado di sciogliere la materia organica (gatti esclusi).
Il protagonista è un visitatore personalmente invitato al debutto mondiale della rivoluzionaria tecnologia Lightmatter, sviluppata dal colosso scientifico Lightmatter Technologies. Come ci si potrebbe aspettare da un gioco del genere, durante l’inaugurazione del CORE qualcosa va storto e la situazione perde presto la facciata di visita di piacere. Lo fa per tramutarsi in una fuga, con poche esplosioni e tanto ragionamento, fatto di ascensori che si rompono e di ponti che si spezzano.
Durante il nostro viaggio all’interno della struttura saremo accompagnati dalla voce di Virgil, CEO dell’azienda al momento impegnato a salvare il buon nome del suo operato cercando di portarci fuori. Virgil, doppiato da quel simpatico vocione di David Bateson, ci parlerà di interfono in interfono spiegandoci i retroscena di come sia venuto fuori con un’ idea in grado di cambiare una volta per tutte il mondo per come è conosciuto, narrando con cinismo e perizia di dettagli, le varie tappe che lo hanno portato ad essere quello che ora è.
Storie di luci e ombre.
Il comparto narrativo di Lightmatter viene presentato al giocatore unicamente sotto forma di dialoghi che accompagnano il gameplay, con un Virgil praticamente onnipresente, un paio di personaggi giusto menzionati ed una voce femminile che con delle registrazioni tenta di mostrarci un altro punto di vista sulle vicende.
È scorretto tentare di paragonare la narrativa di Lightmatter a quella di un Portal 2 o al sottotesto che possiamo trovare in un The Talos Principle/The Witness, motivo per cui possiamo semplicemente riassumere il tutto come in un: funziona e non da assolutamente fastidio; la storia narrata è interessante il giusto e fungerà da perfetto motore di gioco per farvi sperimentare tutti gli enigmi che compongono il titolo
Il personaggio di Virgil a più riprese strapperà un sorriso al giocatore e le citazioni inserite all’interno dei dialoghi fanno molto ridere se si è appassionati di videogiochi. Nello specifico troviamo encomiabile il doppiaggio fatto da David Bateson per il personaggio, perfettamente in grado di dare maggiore rotondità ad una figura altrimenti solo ascoltata. Le inflessioni della voce date da Bateson migliorano un concept (quello del CEO cinico, divertente e superbo) che altrimenti sarebbe risultato più che usurato dagli anni di videogiochi che abbiamo appena affrontato.
Molto interessante anche il comparto visivo del titolo, a cavallo tra la grafica cel shading tipica di certi anni duemila e l’algido manierismo delle architetture legate al mondo scientifico/corporate. Il gioco da noi provato su PC non ha dato problemi tecnici di sorta e si è limitato a scorrere liscio come l’olio per tutta la sua durata, alternando momenti visivamente affascinanti a soluzioni già viste da altre parti.
A risultare inquietante in Lightmatter è il buio, pastoso come la pece ma capace di lasciar intravedere gli oggetti che nasconde a fini di gameplay.
La luce, altro componente fondamentale del titolo, risulta volutamente stilizzata rispetto le magie tecnologiche che abbiamo visto avvenire con l’avvento dell’RTX ma crea notevoli giochi di colore, specie quando si inizia ad avere a che con un particolare oggetto per risolvere gli enigmi.
Si, ma il CORE?
Passiamo ora alla ciccia, al cuore pulsante della vicenda.
Che bisogna fare in Lightmatter?
Se avete seguito la recensione sino a questo momento avrete probabilmente capito che il fulcro del gioco chiede al protagonista di fuggire dal centro di ricerca della Lightmatter Technologies. A causa di problemi tecnico/scientifici le ombre hanno iniziato a comportarsi in modo strano e sono diventate in grado di dissolvere la materia organica che toccano.
Armato di fari e cristalli fotonici in grado di trasmettere la luce, starà al giocatore uscire dall’inferno che la Lightmatter Technologies ha creato, il tutto risolvendo puzzle ambientali fatti di luce e ombre, giocando con piattaforme, interruttori e rivelatori di luce.
Le meccaniche in gioco sono pochine e la difficoltà degli enigmi non è mai soverchiante, complice anche un level design di ottimo livello che lascia al giocatore una scia di briciole molto chiara da seguire per trovare la soluzione.
La grammatica con gli sviluppatori hanno scritto le soluzioni dei livelli si inizia a comprendere dopo qualche decina di minuti, tra un ho bisogno di luce lì ed un ah ma quindi funziona così. Lightmatter chiede al giocatore di ragionare in modo logico su concetti semplici, senza fare strani voli pluridisciplinari come Portal o essere enigmatico come un The Witness.
L’idea al cuore del titolo è di qualità ed è in grado di trascinare il giocatore durante le tre ore necessarie al completamento dei quaranta (circa) schermi.
Che ombre abbiamo qui?
Lightmatter è un videogioco di buona qualità, che nonostante non abbia dalla sua idee incredibilmente originali si sa difendere a spada tratta dalla concorrenza ed è in grado di regalare agli appassionati del genere un paio d’ore di divertimento e rimuginamento.
La luce dei pregi ha comunque le sue ombre, in questo caso interpretate da una mancanza di tipo quantitativo. Le potenzialità di Lightmatter sono frenate dal numero di meccaniche che vanno a comporre gli enigmi, limitate nel numero per quanto bene utilizzate all’interno dei livelli. La varietà finisce presto e ci si ritrova ben presto a chiedersi “ma non sarebbe stato meglio metterci roba x in questo punto?”
Dopo aver completato il titolo si rimane lì, un po’ con l’amaro in bocca perché ci sarebbe ancora così tanto da provare. Bene, ma si poteva far di più (e ci accontentiamo del prossimo gioco di Tunnel Vision, in caso).
Interessante l’interfaccia ad hoc creata dagli sviluppatori per gli speedrunner che, fin da subito, potranno tener traccia in modo del tutto trasparente e comodo, dei loro tempi lungo i vari schemi di questo videogioco.
Chi scrive non comprende come certi livelli potranno essere accorciati vista la presenza di una singola strada percorribile ma non vede comunque l’ora di venir smentito.
Lightmatter è un buon puzzle game, non il più originale nel mondo, non il più vario del mondo ma uno di quelli belli e divertenti. Graficamente interessante, dotato di un personaggio interessante come Virgil accompagnato da un ottimo doppiaggio e da gameplay basilare ma divertente. Nonostante una longevità striminzita ed una varietà non da applausi il titolo saprà sicuramente entrare nel cuore di qualche giocatore con le sue luci e le sue ombre.