Mettiamola così: nel mondo dei videogiochi ci sarà sempre spazio per la sperimentazione. Stikir è lontano dall’essere un videogioco fatto e finito ed è terribilmente più vicino ad una folle sperimentazione realizzata da uno studente di informatica alle prese, per la seconda o terza volta, con un engine bidimensionale.
Bilge Kaan, lo sviluppatore dietro la realizzazione del titolo è già noto al pubblico PC per aver pubblicato Indecision, un platform basilare che dura quanto un haiku e cerca di essere quanto più leggero e trasparente possibile. Il suo stile di game design predilige la rottura della quarta parete, le metareferenze e lascia da parte meccaniche profonde o narrative piene di senso.
Questo, in Stikir è palese a più riprese. Nel corso di questa recensione vedremo insieme come prendere questo videogioco, a chi potrebbe piacere e perché, se siete fruitori normali del medium di cui sopra, fareste meglio ad andare a cercare qualcos’altro.
Che cos’è Stikir?
Partiamo dalle base: come definiamo secondo il lessico videoludico Stikir?
Il titolo di Bilge Kaan è un videogioco raffazzonato in cui si mischiano, senza particolare classe o cura per i dettagli, generi videoludici come il platform, il racing game o lo shoot em up a scorrimento orizzontale. Prendere Stikir come un videogioco classico, come accennato durante le prime parole di questa recensione, equivale a mortificarne la natura sperimentale ed il suo status di pazzo collage artistico; non è un titolo valutabili secondo i normali canoni che invece abbiamo usato per videogiochi come Star Wars Jedi: Fallen Order o Death Stranding.
Questo Stikir è quasi un videogioco che parla del processo creativo dietro lo sviluppo di un videogioco, una specie di pazzo serpente che si morde la coda.
Fin dall’inizio della propria esperienza tutto appare come incredibilmente scarno: non esistono opzioni, non esistono comandi, non esiste una vera e propria interfaccia, non esiste una narrativa e a momenti non esiste nemmeno un vero e proprio gameplay.
Nei panni di un personaggio (lo stesso di Indecision, scelto da Kaan per pigrizia) il giocatore si troverà a dover affrontare il viaggio del protagonista durante il percorso creativo che porta alla creazione di un videogioco. Parliamo del bilanciamento delle parti platform, dell’aggiunta di generi per cercare di creare varietà nel gameplay altrimenti limitato al nulla cosmico e all’utilizzo di oggetti contro avversari non particolarmente ostici da abbattere. Ogni volta che ci si ritroverà a perire sotto i colpi avversari si rinascerà, ogni volta che ci si ritroverà a sbagliare qualcosa ci ritroveremo a ricominciare immediatamente ciò che stavamo facendo.
Metagiocare.
In Stikir non c’è il game over perché nei processi creativi non esiste game over. Lungi dal voler essere un Uncharted o un qualcosa del genere, Stikir mette nel pentolone rapidamente quante più idee bislacche e malsane possibili. Dopo aver constatato (ad esempio) le difficoltà relative alla creazione di un platform bilanciato, il gioco si trasforma in un bislacco racing game dove è necessario obbligatoriamente distruggere le regole per proseguire.
Persi nello spazio tra i vari generi videoludici, il giocatore si ritroverà poi ad incontrare personaggi che definire bizzarri (o più semplicemente abbozzati) è dire poco, tra volti violacei, pesci parlanti e pericolosi moncherini. Una volta ci si ritroverà a dover otteanere l’acqua spremendo delle nuvole, una volta ci si ritroverà a schivare i colpi del pericoloso uomo pesce al fine di recuperare l’unico essere che ci sia mai stato amico (una renna, per inciso) e così via.
Capite da soli che è difficile cercare di spiegare a parole le assurdità continue che accadono giocando a questo titolo, capite da soli che è inutile cercare di mettere a paragone il raffinato gameplay di un Bloodborne con questo pout-pourrì di sensazioni e frustrazioni. Stikir è la materializzazione della voglia di sperimentare; non tanto con il medium videoludico in sé (perché chiariamoci, il titolo non inventa meccaniche di gameplay o altro) quanto della voglia di interagire con le proprie idee e la propria psicologia.
In tal caso ha quasi senso guardare il titolo come se fosse il risultato di una folle sessione di terapia dall’analista; sessione di terapia in un cui un game designer si ritrova ad esplorare il suo processore creativo trovandone le falle per poi mitigarle con rattoppi e altre mestizie di questo genere. Tutto questa linea di pensiero viene portata al giocatore sena dialoghi complessi o scene cariche di simbolismo e ci vuole, in maniera abbastanza palese, un minimo di respiro per poter carpire questa linea di lettura.
Lasciarsi guardare dall’abisso.
Dal punto di vista prettamente tecnico Stikir è un gioco in due dimensioni non particolarmente esaltante. La maggioranza degli sfondi che si avranno a schermo sono monocolori e lasciano davvero poco di piacevole all’occhio.
I personaggi presenti nel titolo sono realizzati con una pixel art carina ma fuori dai picchi artistici che abbiamo visto durante il corso del decennio tra titoli come Horace o Owlboy. Non che ci fosse davvero la necessità di tratteggiare in modo importante figure bislacche come teste parlanti o arti mozzati ma sarebbe stato comunque interessante avere un qualcosina di visivamente gradevole con cui potersi interfacciare per proseguire nel gioco.
Senza ne infamia ne lode sono le musiche, ne particolarmente gradevoli ne sgradevoli. La colonna sonora del titolo è composta da meno di cinque minuti di musica, loopata a seconda dello schema in cui ci si ritroverà ad interagire e caratterizzata da un sound chiptune tipico per un gioco che mette i pixel in bella mostra.
La longevità del titolo è più o meno intuibile dal prezzo a cui il videogioco viene lanciato. Stikir costa come 2 caffé e si finisce un meno di mezz’ora, senza particolari opzioni per la rigiocabilità.
Stikir non è un videogioco come lo intendiamo comunemente ma più una registrazione di uno sfogo personale sotto forma di game design. Il suo sviluppatore ha cercato di portare ai giocatori una rappresentazione ludica del flusso di idee che ha vissuto nel tentativo di sviluppare un videogioco, mostrando alcuni dei retroscena e delle situazioni che hanno portato alla nascita di un prodotto per l’intrattenimento digitale. Stikir non è bellissimo da vedere ne divertentissimo da giocare ma offre un certo effetto WTF a chi deciderà di provarlo; visto il prezzo decisamente irrisorio, provare Stikir potrebbe essere un modo interessante per utilizzare il budget per due caffé.