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Recensioni

Mosaic (Non)Recensione (PC) | Come unire uno sfogo personale ad una recensione oggettiva

È più importante il contenuto di un messaggio o il modo in cui viene trasmesso? È sbagliato dar poca considerazione a qualcuno solo perché si esprime male o risulta noioso? Ho per caso battuto la testa da qualche parte, visto che non riesco a trovare Mosaic minimamente entusiasmante?

Il nuovo titolo di Krillbite Studio distribuito da Raw Fury dovrebbe rispettare tutti i miei standard personali di “divertimento”: una trama ed un wordbuilding completamente incomprensibili, art design da capogiro pieno di riferimenti filosofici, gameplay minimalista e soundtrack meravigliosa (quando è presente).

 

 

Mosaic non è così tanto diverso da altri titoli dello stesso stampo che ho recensito in quest’anno di scritti per Player.it. Perché allora ne sono rimasto terribilmente scottato? È per tentare di rispondere a questa domanda che scrivo questa mio pezzo, un misto tra una recensione più oggettiva e distaccata possibile ed una riflessione personale su cosa il videogioco debba essere affinché venga considerato tale.

Se pensate che questa lettura possa interessarvi, continuate tranquillamente, e vi ringrazio. Se invece vi interessa esclusivamente del giudizio sul titolo, andate direttamente alla fine a vedervi il voto decimale coi rispettivi pro e contro. Tutti sistemati? Bene, si inizia.

 

Monotonia

 

 

In Mosaic interpreterete un giovane impiegato senza nome della Mosaic Corp., un’azienda che ha conquistato il controllo di ogni aspetto della vita privata e non della grande città attraverso turni di lavoro massacranti, omologazione di massa e fastidiosissime app sul cellulare.

Nessuno è fuori posto, nessuno è privo di scopo, tutti quanti sono conformi alle regole imposte dalla Mosaic Corp. anche grazie ai farmaci e ai servizi standardizzati e completamente impersonali offerti dall’azienda. Se provi anche a sgarrare o anche solo ti capita di arrivare in ritardo al lavoro più di un paio di volte, verrai licenziato dall’azienda e perderai ogni status e diritto.

 

 

Ovviamente la situazione non può rimanere tale, e dunque il protagonista si accorgerà ben presto dopo l’ennesimo turno a lavoro che la sua vita ha bisogno di una svolta. Tale svolta arriverà nella forma di un simpatico e coloratissimo pesce rosso che troveremo nel nostro lavandino e che ci dispenserà pillole di saggezza quotidiana e ci mostrerà la bellezza del mondo reale, nascosta dal cemento e dal progresso.

In tutto ciò dovremo anche guidare il nostro protagonista per i vicoli della città, cercando di arrivare in orario al lavoro ogni giorno ed assorbendo abbastanza casualmente l’energia proveniente da varie e strambe centraline elettriche sparse lungo il nostro cammino. C’avete capito qualcosa? Lo avete trovato estremamente familiare? Sì? No? Tranquilli, è normale.

 

Rassegnazione

 

 

Descrivere il gameplay di Mosaic può risultare particolarmente intricato e difficile, ma in sostanza si tratta dell’ennesima avventura grafica in cui muoveremo il nostro personaggio nella sua città in continua espansione, nel mentre vivremo tramite i suoi occhi delle sequenze psichedeliche ed enigmatiche che rappresentano il continuo tormento interiore del protagonista e la ricerca di un senso nella sua vita.

Tali sequenze prendono la forma di elementari, forse rudimentali enigmi in alcuni frangenti, come ad esempio muovere la telecamera nella giusta prospettiva per continuare la linearissima avanzata.

 

 

Altre volte invece non dovremo far altro che continuare a camminare con una leggerissima variazione, come ad esempio la sequenza di fuga sotto le gambe dei passanti col nostro personaggio rimpicciolito, unico momento in cui aumenterà la sua velocità da un chilometro al secondo a circa due.

Altra meccanica, forse la più riuscita, è quella del nostro impiego alla Mosaic: qui il gioco diventerà una sorta di building game in cui dovremo accumulare risorse e costruire un percorso fino alla nostra milestone, settata sempre più in alto ogni giorno che passa. A metterci i bastoni fra le ruote saranno i nostri pensieri e desideri di libertà, rappresentati da nuvolette colorate che porteranno delle note musicali e tenteranno di corrompere le nostre strutture.

 

 

Depressione

 

 

Il concetto dietro a Mosaic è stato raccontato tantissime volte e non solo nel medium videoludico: il progresso della società contemporanea tende a omologare ogni aspetto della vita, privandolo di unicità e bellezza. Solo con l’introspezione, l’arte e i legami sociali possiamo rompere questo schema e dare un senso alla nostra vita.

Ora, si può concordare o meno col messaggio, possiamo condividerlo o denigrarlo, possiamo supportarlo in ogni modo possibile, ma mentre muovevo il lentissimo protagonista del titolo pensavo ad una sola cosa: perché? Perché nel 2019 devo ancora giocarmi titoli indipendenti che pensano che la potenza del proprio messaggio sia talmente grande da sovrastare qualsiasi lacuna di gameplay?

 

 

Perché nel 2019 devo ancora sentirmi dire quanto è brutta la società contemporanea se già Pier Paolo Pasolini scriveva la stessa cosa quasi cinquant’anni fa in modo pure più coinvolgente? Non me ne vogliano gli sviluppatori, io sono il primo ad apprezzare un lavoro passionale e ben fatto e Mosaic sicuramente lo è, ma quando il mercato videoludico diventa saturo di titoli indie tutti uguali e con lo stesso identico messaggio, vi assicuro che questo bellissimo messaggio non riesce ad arrivare al consumatore.

Una nota positiva, in tutto ciò, effettivamente c’è: Mosaic offre la possibilità della scelta. Possiamo scegliere se dar retta al pesciolino, possiamo scegliere se continuare la nostra miserabile vita da operai sottopagati, possiamo scegliere se proseguire in questo walking simulator con idee e concetti virtualmente buoni ed inossidabili ma una realizzazione che sa di stantio e già visto.

Io, personalmente, ho proseguito con la via del pesciolino e della libertà, ma non ho assolutamente voglia di spendere un’altra giornata del mio tempo prezioso per vedere come si evolve l’opzione del rifiuto. Potete denigrarmi e criticarmi quanto volete, ma ho visto abbastanza di questo titolo e giocato abbastanza giochi in vita mia per riuscirmi ad immaginare un ipotetico Bad Ending.

 

Antidolorifico

 

 

Il comparto grafico è l’unico aspetto su cui non si può metter bocca: lo stile minimalista di Mosaic, assieme al perfetto uso di cel-shading e all’uso di colori (o meglio non colori) quantomai originale, regalano degli scorci spesso emozionanti di una terrificante giungla d’acciaio e cavi che potrebbero rivaleggiare con ogni grande metropoli distopica della letteratura.

La scarsa ma significativa presenza di una colonna sonora fantastica rendono i momenti in cui è presente dolci come il miele, mentre per il resto del titolo saremo accompagnati da tracce audio ambientali ed industriali, tra cui i rumori della pioggia, di macchine e macchinari, di palazzi in via di costruzione ed il ronzio di strumenti tecnologici all’avanguardia.

 

 

This post was published on 6 Dicembre 2019 20:03

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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