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Recensioni

Terminator: Resistance | Recensione (PS4) | È di nuovo il giorno del giudizio

Quella di Terminator è una delle saghe più iconiche della storia del cinema di fantascienza, grazie a una trama che ha saputo fondere insieme la tematica delle macchine ribelli con quella dei viaggi nel tempo. Purtroppo, i videogiochi non sono mai riusciti a regalare agli appassionati titoli in grado di rievocare la stessa atmosfera, perdendosi negli stessi meandri bui in cui sono finiti tantissimi altri tie-in.

Ci prova Teyon con il suo Terminator: Resistance a tendere una mano ai videogiochi precedenti, nel tentativo di salvarli dalla terminazione. Come sarà andata a finire? Scopritelo leggendo la nostra recensione.

 

Terminator: Resistance | Resistenza e relazioni

Il videogioco di Teyon prende luogo trent’anni dopo gli accadimenti di Terminator 2: Il giorno del giudizio. Noi siamo Jacob Rivers, veniamo reclutati dalla Resistenza, un gruppo armato di sopravvissuti umani che ha lo scopo di fermare le macchine ribelli scatenate contro l’umanità da Skynet, la ormai famigerata rete di supercomputer che ha dato inizio all’intera faccenda.

La terra è invasa dai Terminator, robot a caccia degli ultimi baluardi dell’umanità. Uno di questi è proprio Jacob, finito sulla lista delle persone da “terminare” perché considerate una minaccia per il piano di Skynet. Nel corso dell’avventura, faremo la conoscenza di un personaggio misterioso, l’Estraneo, un uomo incappucciato che sembra saperne molto più di noi sulla guerra in atto e sul futuro dell’umanità.

Da qui in poi la trama si dipana facendo leva sulle tematiche della serie cinematografica, con tanto di colpi di scena legati a futuri possibili e ai tentativi di cambiare gli eventi attraverso degli viaggi temporali. Nel complesso, la storia di Terminator: Resistance si lascia seguire abbastanza bene, pur non mostrando mai veramente i muscoli, tuttavia va sottolineato il fatto che questo prodotto non lascia molto spazio al nostro volere, infatti la storia segue dei binari predefiniti molto netti che non permettono al giocatore di intervenire in modo davvero decisivo.

Non mancano, invero, occasioni per modificare leggermente il corso degli eventi, ma questi riguarderanno principalmente le relazioni che intercorrono tra il protagonista e gli altri personaggi. La parte più interessante della storia, infatti, è proprio la possibilità di interagire con altri sopravvissuti e membri della Resistenza variando l’opinione che questi hanno di noi e per sbloccare anche scene extra.

Non c’è la stessa profondità che potremmo trovare negli RPG, ma in generale è un sistema che rende più interessanti le fasi di preparazione alle battaglie. In Terminator: Resistance non ci sono solo missioni principali, ma anche secondarie, con le quali possiamo approfondire la relazione con un personaggio o aumentare il suo grado di fiducia. Il più delle volte si tratta di cercare un oggetto particolare e riportarlo al proprietario, cercare rifornimenti e medicinali e cerare informazioni su persone di cui si sono perse le tracce.

 

Stealth o fucile al plasma?

Il gameplay di Terminator: Resistance non è particolarmente difficile da descrivere: andare dal punto A al punto B facendosi largo tra i robot. Lo abbiamo un po’ semplificato, ma non siamo lontanissimi dalla realtà, infatti il videogioco di Teyon propone missioni poco varie e con colpi di genio pari a zero. Saremo chiamati il più delle volte a recarci in un luogo presidiato dai Terminator per attivare qualcosa, prendere un oggetto importante per la riuscita della ribellione umana o cercare informazioni utili per distruggere dall’interno Skynet per poi tornare indietro sui nostri passi e venire letteralmente teletrasportati nel rifugio più vicino.

La mappa delle missioni sembra essere molto estesa, in realtà bastano pochi metri per rendersi conto che spesso il percorso è obbligato da muri invisibili e da cumuli di macerie che rappresentano un ostacolo insormontabile. Per passare indenni possiamo decidere di imbracciare le armi o di sgattaiolare dietro le linee nemiche. Qui bisogna aprire una bella parentesi: il gioco consiglia di non ingaggiare il nemico, visto che le armi convenzionali non fanno alcun danno ai Terminator, ma ben presto verremo in possesso del fucile al plasma che, invece, li rende vulnerabili… fin troppo.

 

Nelle fasi iniziali, lo stealth è necessario e dobbiamo far presente che il personaggio, da accovacciato, si sposta con una lentezza estenuante. Quando si sblocca il fucile al plasma comincia tutt’altro gioco perché, nonostante sia consigliato sempre passare inosservati, questo ci rende la vita molto più semplice. Usare le armi al plasma è più divertente e soprattutto più facile, perché l’IA dei nemici non è particolarmente avanzata: questi si limiteranno a venirci incontro senza alcun tipo di animazione da guerriglia o, al limite, da semplice scazzottata, divenendo poltiglia metallica in pochi secondi.

Da un certo punto in poi, abbandoneremo del tutto le armi convenzionali e lo stealth per farci largo con la forza, il problema è che le stesse fasi shooting non sono particolarmente esaltanti ricreando molto poco gli scontri a fuoco visti nei film. Avremmo preferito un maggior numero di scene cinematografiche e da prodotto sci-fi post-apocalittico, eppure siamo rimasti delusi.

 

Hacking e serrature da aprire

Il gameplay viene arricchito da alcune meccaniche poco approfondite ma che almeno riescono a variare la struttura di gioco. Iniziamo col dire che il personaggio può livellare e ottenere punti abilità, questi vanno ad aumentare le sue capacità in taluni talenti, tra cui appunto hacking, scassinamento, oppure abilità con le armi, forza e la capienza dello zaino.

Non tutte le serrature e i dispositivi saranno dello stesso livello, di conseguenza dovremo portare l’abilità di cui abbiamo bisogno al livello adeguato. Lo scassinamento è preso pari pari da TES V: Skyrim, mentre l’hacking è un minigioco abbastanza caruccio in cui dovremo far passare una pallina dal lato sinistro a quello destro di uno schema senza colpire delle linee verticali che si muovono su e giù.

Anche l’upgrade della armi richiede la soluzione di una specie di minigioco durante il quale dobbiamo collegare tre chip dello stesso tipo per aumentare danno, stabilità e rateo.

Queste meccaniche non vengono sfruttate appieno perché il level design lineare non ci impone di pensare bene alla prossima mossa e di guardarci spesso intorno, andando così a depotenziare la ricerca di eventuali altri accessi. Per quanto riguarda invece la longevità del titolo, basteranno circa 7 ore per terminare la storia principale, arrivando a un massimo di 10 con le secondarie e impostando la difficoltà su Estrema.

 

Tecnicamente poco ispirato

Tecnicamente Terminator: Resistance non è ispiratissimo, anzi, la qualità dell’insieme è di poco sufficiente con personaggi modellati così così, espressioni facciali che sembrano arrivare da una generazione fa e ambientazioni nel complesso buone ma sempre uguali. Il design dei nemici non colpisce particolarmente mettendoci di fronte sempre la stessa tipologia di minacce con poche varianti, tra cui ragni robotici e torrette bipedi.

Anche il sonoro ha alti e bassi con buoni effetti delle esplosioni e delle armi, ma un doppiaggio inglese che non ci fa alzare in piedi per applaudire (sono presenti i sottotitoli in italiano).

In alcune fasi più concitate abbiamo anche notato dei cali di frame rate non trascurabili.

Commento finale

Terminator: Resistance non riesce a salvare la produzione di tie-in legati alla saga di James Cameron. Tra tutti i titoli usciti negli anni, questo è probabilmente uno dei migliori, ma non ci voleva granché. Il videogioco di Teyon non presenta picchi né dal punto di vista narrativo né da quello ludico. Se parliamo di estetica poi, raggiungiamo a stento la sufficienza. Non siamo di fronte a un disastro totale, perché qualche buona meccanica c’è, ma è davvero troppo poco.

This post was published on 16 Novembre 2019 16:11

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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