Sono pochi i team italiani che possono vantare un riconoscimento ufficiale da Capcom come Invader Studios. Per chi non lo sapesse questa piccola software house (composta da 10 persone) realizzò una tech demo in Unreal Engine 4 di un remake di Resident Evil 2. La software house giapponese, che stava già lavorando al suo di remake, bloccò il progetto, ma ringraziò il team e lo menzionò nei titoli di coda del prodotto finale.
Dalle ceneri di quel progetto nasce Daymare: 1998 che non vuole essere solo un tributo al genere dei survival horror ma anche un progetto originale e ambizioso che “sfida” addirittura i titoli tripla A. In questi giorni ho avuto modo di giocare alla versione PC del titolo di Invader Studios e sono pronto ad esporvi il mio parere sul loro incubo diurno.
La storia di Daymare: 1998 prende in prestito i più famosi espedienti narrativi e cliché dal videogioco horror (non solo dalle serie Capcom) degli anni ’90. Lo si evince sin dall’incipit in media-res ambientato in un centro di ricerca in cui tutto il personale è stato tramutato in zombie a causa del rilascio di una misteriosa sostanza chimica. Nei panni di uno degli agenti della H.A.D.E.S. dovremo entrare nel centro e capire cosa è successo.
Senza fare altresì spoiler, posso dirvi che si tratta solo del primo capitolo di una storia di doppiogiochismo e cospirazioni la quale scrittura, nel complesso, è buona. Ho particolarmente apprezzato la trama nei primi due terzi del gioco in cui, sebbene ogni tanto si avvertano piccole cadute di stile, gli sceneggiatori sono riusciti a gestire con abilità i filoni narrativi dei tre protagonisti del gioco. Mi è piaciuto il fatto che ogni personaggio abbia una visione parziale degli eventi ed un proprio obiettivo. Tale equilibrio narrativo si perde però nella parte finale dove ho avvertito l’assenza di qualsiasi tipo di climax, sostituito da cliffhanger alquanto forzati.
Devo riconoscere però che il ritmo è abbastanza buono: l’azione si alterna bene alle sequenze di intermezzo pre-renderizzate (ma di questo ne parleremo dopo) e la scelta di riservare gli approfondimenti dell’universo narrativo ai collezionabili per non appesantire il gameplay è stata saggia.
A proposito del gameplay, Daymare: 1998 riprende il classico stile adottato dalla serie di Resident Evil a partire dal quarto capitolo, con telecamera alle spalle del protagonista. Il menù inventario che comprende gli oggetti, la mappa e i documenti raccolti ha un’interfaccia integrata direttamente nel mondo di gioco. Si presenta come un palmare chiamato D.I.D. Una trovata funzionale che ha stile e che aumenta l’immedesimazione. L’interfaccia a schermo è limitata al menù a selezione rapida dei caricatori e delle cure e (se vogliamo) dal numero di munizioni.
Nonostante l’impostazione tecnica “moderna” vi assicuriamo che il gameplay in sé ricalca molto i titoli “old school” degli anni ’90 con un gunplay volutamente legnoso e nemici che assorbono un gran numero di proiettili. A ciò si aggiunge il fatto che, come sempre, le munizioni tendono a scarseggiare. Non saranno pochi, dunque, i momenti adrenalinici in cui opteremo per una più semplice corsa, magari con tanto di dribbling tra zombie.
Il doppio sistema di ricarica si sposa perfettamente con questa filosofia di gioco: nei momenti di calma potremo tranquillamente ricaricare tenendo premuto il tasto “R”, ma se uno zombie ci insegue è più indicato fare una ricarica rapida (premendo velocemente il pulsante) che ci permetterà di rispondere subito con il fuoco. D’altro canto lasceremo cadere il caricatore che se non recuperato sarà perso per sempre.
I caricatori, se esauriti, devono essere ricaricati dall’inventario. Questo rende difficoltoso, se non impossibile, il procedimento se siamo in presenza di un nemico. Possiamo, sempre dall’inventario, craftare oggetti curativi e, progredendo nel gioco, c’è addirittura un piccolo sistema di mercato.
Se lo scheletro di gioco è ben pensato, non si può dire sempre la stessa cosa per il resto. Partiamo dagli zombie: molte cose mi sono piaciute come la varietà della loro tipologia (non elevatissima, ma buona), la scelta di cambiare i punti di spawn se si visita i medesimi luoghi in momenti differenti e, come ho già detto, il fatto che siano letteralmente delle spugne.
A mio avviso in un solo ambito i nemici sono stati studiati male: i combattimenti corpo a corpo. La natura volutamente legnosa delle azioni ci farà fallire gran parte delle volte i colpi a segno. A questo si aggiunge la scomodità di aver assegnato ai pugni il medesimo pulsante del fuoco che di per se non sarebbe un grosso problema, ma in situazioni più concitate può portare confusione.
A questo poi aggiungiamo boss fight poco carismatiche, realizzate con “nemici comuni” e da svolgere sempre nel medesimo modo: correre in cerchio e sparare finché il nostro avversario è ancora in piedi. In generale non avremo difficoltà a superarle ma fastidiosi bug di collisioni, soprattutto in una boss fight nel terzo capitolo, ci faranno arrabbiare non poco.
Un aspetto molto più riuscito sono gli enigmi originali e vari. Riusciremo a risolverli raccogliendo tutte le informazioni sparse per la mappa oppure semplicemente usando una buona dose di pazienza e logica. Probabilmente l’elemento che contraddistingue di più questo survival horror italiano. È presente anche un sistema di hacking che permette di scassinare porte e armadietti.
Il gioco gira su Unreal Engine 4, sfruttato a dovere in moltissimi casi tranne per alcuni effetti visivi. Gli ambienti sono realizzati con cura: tutto lascia presagire che il level design sia ottimo. Tuttavia notiamo subito che c’è qualcosa che non va: l’impressione che sia stato tutto, frettolosamente, poco rifinito diventa subito conferma quando gli zombie si incastrano dietro le porte oppure rimaniamo noi incastrati in alcuni punti durante la boss fight.
Ad esempio sono stato costretto a tornare ad una partita precedente perché l’autosalvataggio mi ricaricava ad un momento prima che uno zombie mi uccidesse. Sottigliezze che tolgono punti ad un prodotto con del potenziale.
Giungiamo alle animazioni che sono credibili durante la fase di gameplay ma mal realizzate durante i filmati. Specialmente quelle facciali, poco espressive. Considerato che sono filmati e non rendering in tempo reale potevano impegnarsi di più.
Nel complesso il gioco è tecnicamente un continuo alternarsi di alti e bassi. Lo scarso lavoro di rifinitura, a mio modesto avviso, può essere tranquillamente risolto nel tempo con un minimo di revisione e patch correttive.
Occorre fare un discorso anche sugli omaggi e le reference disseminate nel mondo di gioco, forse un po’ troppo eccessive. Ho apprezzato moltissimo le varie citazioni alla saga di Resident Evil, in quanto in tema, così come alcuni jokes, davvero divertenti relativi alla pop culture. Ad un certo punto però sembra essere arrivati al paese dei fanservice. Capisco il concetto del “fa figo” ma vedere una DeLorean in un garage infestato da zombie lascia un po’ l’amaro in bocca e spezza l’ottima atmosfera tetra e cupa mantenuta in tutto il gioco. Voglio ricordare che un easter egg è piacevole ed è tale quando è qualcosa di fine a se stesso.
La colonna sonora non brillerà certo per originalità, ma è piacevole da sentire. Il feedback audio degli effetti sonori è ok, anche se ogni tanto ci sono dei ritardi nel suono delle armi. Niente di troppo grave.
Il gioco è localizzato in italiano ed è doppiato in inglese. Il livello di recitazione è buono anche se talvolta scade un po’ nel trash per alcuni personaggi.
Valutare Daymare: 1998 è stato davvero difficile: da un lato c’è la consapevolezza che un team italiano abbia voluto fare l’impossibile ed in sole 10 persone ha voluto (in maniera forse troppo ambiziosa) realizzare un indie che si atteggia da tripla A.
Dall’altro, gli evidenti difetti che lo rendono un prodotto poco più che sufficiente. Non fraintendetemi: se siete appassionati del genere vi consiglio il titolo. Sia per alcune trovate originali ed inedite sia per il suo prezzo budget che è ottimo per un prodotto di tale longevità.
La speranza è che questo primo titolo di Invader Studios sia il punto di partenza per futuri e grandiosi progetti a patto che questa volta l’ambizione stia a passo con le effettive possibilità.
A mesi di distanza dal rilascio della versione Pc, riusciamo finalmente a provare il porting su PlayStation 4. Onestamente siamo delusi: ci aspettavamo che i 7 mesi di differita offrissero la possibilità di ottimizzare meglio il gioco su console. Invece non solo la resa grafica generale è peggiorata, con texture e modelli che si caricano più lentamente, ma si aggiungono anche bug, compenetrazioni, crash ed un framerate instabile che spesso scende anche sotto ai 30 FPS. Insomma, come avevamo detto nell’appuntamento precedente, si poteva fare di più! Peccato.
This post was published on 29 Aprile 2019 13:44
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