Remedy Entertainment ci ha regalato quel capolavoro che corrisponde al titolo di Max Payne, un ottimo gioco horror, Alan Wake, con il quale furono messe solide basi per l’incontro tra videogioco e serie tv, e Quantum Break, prodotto che ha spaccato la critica a metà.
Proprio quest’ultimo non ha incontrato il favore di tutti i fan dello studio di sviluppo finlandese, i quali chiedono a gran voce l’uscita di Alan Wake 2. E invece, Remedy torna su console e PC con un videogioco descritto dagli stessi autori con la definizione di “supernatural thriller”, Control.
Leggete la nostra recensione per scoprire se Remedy è riuscita a cogliere nel segno oppure no.
Dirigere il “controllo”
La storia si snoda intorno alle ricerche e agli studi effettuati dalla Federal Bureau of Control, un’organizzazione governativa che ha l’obiettivo di scoprire, analizzare e contenere i fenomeni paranormali. Nel mondo sono presenti oggetti del potere con proprietà sovrannaturali e persone che riescono ad assorbirne la loro energia, tra queste c’è la protagonista del gioco, Jesse Faden, la nuova direttrice dell’organizzazione.
La Federal Bureau deve fronteggiare una crisi: la struttura che fa da quartier generale è stata invasa da una forza sconosciuta, denominata Hiss, in grado si possedere le persone e assoggettarle al proprio volere. Queste diventano violente e dotate di poteri paranormali. Jesse avrà il compito di far cessare la minaccia.
Il legame tra lei e la Federal Bureau non sembra però finire qui: un evento della sua infanzia l’ha toccata nel profondo, un incidente nel suo villaggio nativo, la scomparsa di suo fratello Dylan e proprio l’organizzazione sembra essere al centro del mistero. Ora è lei a dirigerla, questo le aprirà molte porte che la metteranno sulla strada che conduce alla verità. Chi sono gli amici e chi i nemici?
Questa è la storia, a grandi linee, di Control, un thriller con tematiche sci-fi che, come da tradizione di Remedy, è ben raccontata seppur con qualche magagna. Partiamo da un presupposto: Control è definito dagli stessi sviluppatori come un titolo gameplay-driven, quindi abbiamo un prodotto in cui le meccaniche di gioco predominano su tutto il resto; nonostante la trama sia molto intrigante, soffre di un problema che a noi è subito saltato all’occhio, cioè l’atmosfera da thriller soprannaturale è percepibile maggiormente nel gameplay piuttosto che nei dialoghi e nelle cutscene.
Cerchiamo di spiegarci meglio. Tutta questa aura da mystery che Remedy ha cercato di convogliare nel suo titolo non siamo proprio riusciti a trovarla nella storia, perché questa è coperta da un gameplay, come vedremo in dettaglio dopo, che quasi va a stroncare la storyline. Siamo alla ricerca di risposte, ma ogni due per tre si presenterà un problema in una zona diversa della struttura, così, vestendo i panni del galoppino e non del direttore quale dovremmo essere, lo andremo a risolvere con la forza bruta. I dialoghi e le scene d’intermezzo sembrano più un escamotage per farci svolgere missioni per conto di qualcuno e non presentano i ritmi giusti per il tipo di storia che si vuole raccontare.
Le sezioni più oniriche, ambientate perlopiù all’Oceanview Motel, sono brevi e sempre uguali: entra in una stanza, rientra e vedi cosa è cambiato, prendi la chiave, apri la porta per uscire dal sogno.
Ovviamente, non ci aspettavamo un Twin Peaks in salsa sci-fi, ma che almeno la trama ci coinvolgesse maggiormente. Così non è stato anche a causa di un altro problema che ci è sembrato “strano” per uno studio di sviluppo come Remedy: i personaggi secondari non hanno il carisma necessario. La protagonista è ben caratterizzata dal punto di vista emotivo e si farà seguire con piacere nei suoi mille pensieri, lo stesso non si può dire dei personaggi che le ruotano attorno, messi lì per darci solo cattive notizie e direttive.
Il controllo è tutto
Control è principalmente un gioco d’azione in cui ci verrà chiesto, nella maggior parte dei casi, di eliminare la minaccia rappresentata da nemici posseduti dall’Hiss e altre mostruosità. Per farlo potremo avvalerci dell’arma di servizio, una pistola potenziabile con delle mod che possiamo creare grazie a un sistema di crafting abbastanza basilare. L’arma, all’inizio poco esaltante, può diventare con le giuste modifiche un potente cannone in grado di perforare le superfici più dure, una mitragliatrice e colpire più nemici contemporaneamente.
Ovviamente, stiamo parlando di un gioco in cui i poteri paranormali la fanno da padrone, quindi, sono questi che danno il maggior brio al gioco. Nella fasi iniziali non potremo fare altro che saltare, spostarci con la levetta, sparare e usare gli attacchi melee e una sorta di onda d’urto telecinetica, ma andando avanti nella storia sbloccheremo cinque abilità che renderanno il gameplay più dinamico e divertente: con l’abilità Lancio potremo spostare con la forza del pensiero oggetti dello scenario e lanciarli verso i nemici mentre con Evasione potremo esibirci in una vera e propria schivata supersonica. Con l’abilità Scudo saremo in grado di richiamare una barriera di rocce e detriti per avvicinarci ai nemici, cosa che non permette però di sparare come se ci trovassimo dietro una copertura. Con Sequestro potremo prendere possesso di un nemico con poca vita per farlo combattere al nostro fianco e infine con Levitazione potremo raggiungere zone sopraelevate e avere un vantaggio in battaglia.
Anche Jesse e le sue abilità sono potenziabili, infatti, anche la ragazza può fare uso di mod. Per utilizzare le abilità, Jesse ha bisogno di energia che viene indicata da una barra bianca posta in alto sullo schermo e che una volta esaurita si ricarica automaticamente.
Le abilità possono essere combinate in modo da rendere più letali i nostri attacchi: levitare, raccogliere un esplosivo, lanciarlo sui nemici e poi prendere possesso della mente di un nemico che finirà il lavoro per noi è sicuramente più scenografico. Anche in questo caso, però, dobbiamo fare presente un problema di fondo: per quanto si voglia variare nella carneficina, la solfa rimane quella. Ci viene detto di un problema in un settore, ci rechiamo lì (possiamo utilizzare anche i punti di controllo per spostamenti rapidi), uccidiamo tutti, completiamo l’obiettivo. La maggior parte delle missioni è un percorso tra nemici con aura rossa e scudi da distruggere, con qualche leva da tirare e qualche meccanismo da riparare lanciando le batterie negli appositi alloggiamenti.
Qui si ripresenta quindi il problema di cui prima che riguarda la storia: un gioco del genere, se fosse stato più story driven, avrebbe immerso maggiormente e non avrebbe avuto bisogno di ore di sparatorie e lancio di oggetti per giustificare il contesto in cui ci muoviamo. Il gameplay rimane comunque divertente se si ha voglia di sperimentare tutte le combinazioni possibili dei poteri e coinvolgente per circa una decina di ore di gioco.
Benvenuti all’Oldest House
La ripetitività delle meccaniche di gioco non è certo una cosa nuova nel mondo dei videogiochi, però in molti altri casi questa viene smorzata dal carisma delle ambientazioni, dalla storia che queste vogliono raccontarci attraverso il loro inimitabile stile e quant’altro. Da questo punto di vista, le location di Control sono davvero molto belle da vedere e rendono bene l’idea di un mondo che si basa sulle nuove scoperte scientifiche, di un universo plasmato da poteri troppo grandi per noi umani, ma anche qui siamo costretti a fare un appunto.
Il gioco è ambientato nella Oldest House, una struttura che fa da quartier generale della Federal Bureau of Control, basata sull’architettura Brutalista (si, quegli immensi edifici grigi tutti squadrati che spesso costruiscono nel centro storico accanto a qualche chiesa con secoli di storia alle spalle). Divisa in settori, ognuno dei quali rappresenta una mappa a sé stante, la Oldest House è così tentacolare che si rende necessario prendere ascensori e usare punti di controllo per andare da una parte all’altra della stessa. L’appunto che vogliamo fare è che spesso queste location presentano un design comune a tutti i settori. A parte zone più particolari come possono essere la sale macchine e la fornace, perlopiù ci muoveremo e spareremo in uffici, laboratori e stanze di ricerca che mancano di un certo appeal e peccano di ripetitività. Stessi pattern e stesse location che da una parte rendono bene l’idea di essere intrappolati dentro la stessa struttura ma dall’altra fanno pesare la mancanza di qualche scenario capace di farci rimanere a bocca aperta, qualcosa per rendere il il tutto più peculiare e originale.
Il sonoro fa la sua parte con musiche ben implementate e un doppiaggio generale di buona fattura.