Poco meno di un lustro fa usavo passare le serate nello spazio profondo, cercando di scappare da navi ribelli per salvare la galassia in Faster Than Light. Subset Games era riuscita a ibridare perfettamente il genere dei roguelike con un gestionale tattico di astronave, conquistando milioni di giocatori.
Ora, anni dopo quel piccolo capolavoro del mondo indie, lo studio torna in grande stile con Into the Breach. Ce la faranno a riconquistare il cuore di milioni di giocatori? Scopriamolo insieme in questa recensione.
La premessa di Into the Breach è semplice: l’invasione di gigantesche creature insettiformi chiamate Vek sta per sterminare l’umanità. I Vek si annidano nel sottosuolo e spuntano da crepacci e varchi del terreno, distruggendo città e annientando ogni forma di vita che incontrano. Il giocatore vestirà i panni dell’ultima speranza dell’umanità: una piccola squadra di mech alti quanto palazzi pilotati da agenti che possono viaggiare in linee temporali alternative. L’obiettivo? Prevenire la distruzione di almeno una parte del mondo, e distruggere il nucleo dell’invasione, una breccia all’interno di una piccola isola vulcanica in cui si annida il cuore dell’invasione Vek.
Nonostante Into the Breach non sia un titolo pesantemente narrativo, la caratterizzazione e il worldbuilding è lodevole. Anche grazie all’aiuto di Chris Avellone, il game writer leggendario di Prey e Divinity: Original Sin 2 tra le varie cose, ogni entità in gioco avrà una sua personalità e caratterizzazione.
Prendiamo le isole che compongono il mondo di gioco, per esempio: ognuna di esse sarà controllata da una mega-corporazione che si vedrà costretta a chiedere il vostro aiuto, onde evitare di essere sterminata. L’interazione con il CEO è inevitabile nel gioco e, oltre a darci il “benvenuto” una volta entrati nell’isola, sarà anche responsabile di fornirci ricompense in base alle nostre performance all’interno delle regioni. All’interno dei singoli livelli non mancheranno i commenti dei CEO in seguito sia ad esecuzioni impeccabili che a performance disastrose.
Into the Breach è un gioco tattico, ad una prima occhiata facilmente accostabile ad altri titoli del genere come Advanced Wars e Fire Emblem. Nel gioco troviamo molti degli elementi familiari al genere, tra cui l’immancabile griglia quadrata, una scomposizione della partita in turni, e la diversificazione delle unità sul campo di battaglia.
Gli elementi roguelike penetrati nel gioco influenzano la generazione procedurale dei campi di battaglia all’interno dei biomi, le tipologie di nemici nelle singole missioni, e un semi-permadeath che ci permetterà di salvare solo un agente temporale in caso di disfatta. Disfatta che in Into the Breach arriva spesso nelle prime partite, vuoi per la sconfitta della nostra squadra, o per il raggiungimento dell’ammontare di danni da parte dei Vek: due condizioni da tenere sempre sott’occhio, poiché basta una delle due ad annientare l’umanità all’interno della linea temporale corrente.
In caso di sconfitta, il nostro pilota potrà passare ad una linea temporale alternativa, salvandosi ma condannando quindi definitivamente quella corrente. Come disse Sun Tzu, “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia”. Vediamo ora come Into the Breach ha questa frase nel cuore del suo gameplay.
In Into the Breach è necessario comprendere la nostra squadra di mech e sfruttarne al meglio le possibilità. Sotto il nostro controllo avremo infatti tre mech, ognuno pilotato da un agente temporale. Il gioco ha otto squadre (più una segreta) e ognuna ha una composizione caratteristica che ne dirige il gameplay.
Prendiamo ad esempio la squadra di partenza, i Rift Walkers. Nella squadra avremo un mech corazzato specializzato nel corpo a corpo, un carro armato capace di sparare in linea retta e spingere eventuali nemici con l’impatto del colpo, e un mech d’artiglieria in grado di sparare ad arco superando ostacoli tra esso e il bersaglio. Prendendo un’altra squadra per fare un paragone, i Frozen Titans hanno un mech corpo a corpo in grado di cambiare la direzione di attacco dei nemici, un carro in grado di sparare contemporaneamente davanti e dietro, e un mech d’artiglieria che non fa danni, ma è in grado di bloccare nel ghiaccio gli avversari per il resto della partita.
In aggiunta alle composizione della squadra, ognuno dei piloti sbloccabili ha delle abilità caratteristiche che impattano sul mech pilotato andando a cambiare per esempio le condizioni con cui inizia la battaglia o la quantità di volte che può effettuare alcune azioni. Conoscere e capire la squadra e i piloti è una caratteristica fondamentale in Into the Breach: gestire il vostro team in modo sinergico è l’unico modo per evitare il dominio Vek.
Una volta comprese le sinergie della squadra non sarete altro che a metà dell’opera. Altrettanto importante è, infatti, comprendere le tipologie di Vek che incontreremo sul campo di battaglia e il loro modus operandi. Ogni isola avrà il proprio set di nemici che affronteremo, coerenti con l’ambientazione, e un boss finale che dovremo sconfiggere per poter passare ad un’altra isola e salvare la mega-corporazione di turno.
Chiarisco subito una cosa: per godersi appieno Into the Breach è fondamentale comprendere che non è un gioco di “azione”, ma un gioco di “reazione”. Ogni turno, primo incluso, la singola battaglia si struttura in tre fasi: i nemici pianificano le loro azioni, la nostra squadra reagisce alla loro pianificazione, i nemici agiscono. Sostanzialmente, prima di dover agire, vediamo chiaramente la previsione di quello che succederà nel caso non facessimo nulla. Vedremo dove i nemici si spostano, cosa vogliono attaccare e come, e ci verrà persino segnalato in quali celle faranno breccia nuovi nemici alla fine del turno corrente. Va da sé che reagire alle loro manovre e cercare di prevenire più danni possibili sarà il focus principale di ogni battaglia. A complicare le cose alcune regioni contengono pericolosi eventi naturali, tra cui tempeste di fulmini o l’erosione del terreno, che ci verranno segnalati turno per turno e accadranno prima dell’agire nemico.
Una nota positiva c’è: i Vek sono tanto pericolosi quanto stupidi e determinati. Una volta pianificato un attacco, non si fermeranno nemmeno in caso un altro Vek gli finisca davanti. Il posizionamento dei mech e dei nemici è quindi fondamentale, e abilità come spingere o attirare altre unità ci permette di incatenare azioni micidiali una dopo l’altra, trasformando pericolosi Vek in armi al nostro servizio facendoli sterminare tra di loro.
Con Into the Breach ci troviamo davanti ad un gameplay solido e incentrato sulla reazione piuttosto che sull’azione, scelta che riduce l’impatto negativo che l’alea occupa in questo genere di giochi.
Sono molti gli aspetti su cui visti i limiti di lunghezza della recensione non ho potuto affrontare, ma il gioco propone molto altro da scoprire in aggiunta a quanto descritto: capsule temporali, difficoltà scalare, match brevi ma intensi da una manciata di minuti, sfide aggiuntive legate allo sbloccare nuove squadre.
Senza ombra di dubbio uno dei migliori tactics di sempre.
This post was published on 7 Marzo 2018 12:00
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