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Wolfenstein: Youngblood | Recensione (ps4)

C’è poco da fare: siamo in quel periodo dell’anno in cui il caldo ci soffoca, tutti vanno a mare (tranne noi che ancora lavoriamo) e le zanzare, le maledette zanzare, ci tolgono il sonno. C’è bisogno di un modo per sfogare la rabbia repressa: e quale modo migliore di andare a sparare allegramente ai nazisti? In base a quanto ora scritto, l’arrivo di Wolfenstein: Youngblood è quantomeno azzeccato.

Il gioco, sviluppato da MachineGames e da Arkane Studios e pubblicato da Bethesda, ci mette nuovamente un fucile in braccio e ci chiede di liberare la Francia dall’oppressione dell’aquila tedesca, ma stavolta non vestiremo i panni del mitico Blazko, ma di Jess e Soph, le ultime arrivate in casa Blazkowicz.

Riuscirà questo spin off della serie a placare la “violenza estiva” di cui sopra? Leggete le righe che seguono per trovare la risposta.

Recensione Wolfenstein: Youngblood – Les enfants terribles

Tale padre, tali figlie!

Prima che qualcuno inizi a strapparsi le vesti dopo aver letto “enfants terribles“, state calmi: Metal Gear Solid non c’entra niente. Tuttavia, anche in questo caso avremo a che fare con dei giovani virgulti che proprio non ne vogliono sapere di starsene con le mani in mano, aspettando che i “grandi” facciano il lavoro sporco.

Youngblood ci fa fare un salto temporale di 20 anni rispetto ai fatti narrati in New Colossus, mostrandoci un Blazko, oramai ingrigito e con qualche ruga di troppo, intento ad addestrare le sue figliole in quella che è la specialità della casa: debellare la feccia nazista. Tuttavia, il nostro eroe scompare di punto in bianco, senza lasciare tracce o indizi su dove possa essersi recato o, almeno, non all’apparenza.

Jess e Soph, insieme ad Abby, la figlia di Grace Walker (che abbiamo incontrato in Wolfenstein II: The New Colossus), scoprono che B. J. ha lasciato gli Stati Uniti, staccando un biglietto di sola andata per la Francia. Destinazione del viaggio? Parigi, ovviamente ancora sotto il giogo nazista, così come tutta l’Europa.

Neanche il tempo di realizzare la scoperta che le tre ragazze requisiscono un elicottero e si dirigono in terra francese, non prima di essersi impossessate di due armature Da’at Yichud, direttamente provenienti dal primo capitolo della saga. Una volta lì, faranno la conoscenza della Resistenza francese e della loro base, localizzata nelle Catacombe di Parigi.

Le due ragazze dovranno ritrovare il loro coraggioso padre e, già che ci sono, sgominare la minaccia nazista.

Nuovo sangue, nuove meccaniche

Una Parigi come non l’abbiamo mai vista.

Sin da subito, Youngblood ci chiederà di scegliere quale delle due sorelle Blazkowicz vorremo interpretare. Al di là delle differenze estetiche, optare per l’una o l’altra protagonista vi cambierà poco, se non l’equipaggiamento e le abilità con cui inizierete la vostra avventura, tutta nel segno della co-op.

Come avrete facilmente capito, il titolo potrà essere interamente giocato sia da soli che in compagnia di un amico (ovviamente online), che interpreterà l’altra sorella. Sotto questo aspetto, la presenza del Buddy Pass è decisamente manna da cielo, in quanto vi consentirà di vivere l’avventura insieme anche ad utenti che non possiedono una copia del gioco.

Addentrandoci nella mappa di gioco, possiamo trovare una notevole differenza con i precedenti capitoli della saga. In questo caso, infatti, avremo a disposizione delle vere e proprie macroaree completamente esplorabili e piene di segreti, in cui saranno ambientate praticamente tutte le missioni secondarie.

Per quanto invece riguarda la main quest, le tre aree che dovremo visitare non saranno immediatamente accessibili, in quanto protette da soldati d’élite che, almeno all’inizio, non potremo assolutamente battere. L’unico modo sarà quello di salire di livello e di acquisire sempre più confidenza con le nostre armi. Come? Ma accumulando un numero sempre maggiore di uccisioni, ovvio!

A metà strada tra FPS ed RPG

Tanti riferimenti ai gloriosi e, in questo caso, per nulla pacifici anni ’80.

Un altro elemento di novità è senza dubbio rappresentato dall’introduzione di diverse meccaniche RPG. Il vostro personaggio salirà di livello con l’esperienza accumulata, sbloccherà punti esperienza con cui acquisire nuove abilità che, inutile dirlo, faranno la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Le stesse armi in vostro possesso potranno infliggere danni maggiori, o diventare più gestibili grazie ai livelli di maestria e, soprattutto, grazie ai potenziamenti che acquisterete. Sotto questo questo aspetto, le armi a disposizioni del duo di casa Blazkowicz sono un po’ poche, ma decisamente molto personalizzabili.

Lo stesso level design ci costringerà a ritornare più volte in luoghi già visitati, per esplorare nuove aree, ora accessibili grazie a nuove abilità o a nuove armi in vostro possesso, regalandoci un vago sentore di metroidvania. La presenza di Arkane, sotto questo aspetto, si fa decisamente sentire, inserendo uno sviluppo verticale ai vari stage praticamente mai visto prima, e che avvicina l’esperienza di gioco a quanto visto in Dishonored, vero e proprio capolavoro dello studio.

Tuttavia, non sempre queste meccaniche si sposano con un sistema di gioco che ha fatto dell’immediatezza la sua arma principale. La stessa impossibilità di accedere subito alle missioni della trama principale potrebbe risultare frustrante, in quanto sarete costretti a svolgere una vera e propria carrellata di missioni secondarie per acquisire il livello e le armi necessarie per farvi strada tra orde di nazisti molto più forti di voi.

Cosa ha funzionato, e cosa non ha funzionato

Non mancheranno facce conosciute, tra cui i Supersoldaten.

Da un punto di vista grafico e di cura per i dettagli, Wolfenstein: Youngblood si attesta su livelli decisamente alti, facendoci sentire ospiti indesiderati nella peggiore distopia mai messa su schermo. La stessa presenza di tutta una serie di elementi dal gusto decisamente anni ’80 aggiunge un tocco decisamente gradevole, su cui, secondo noi, si sarebbe potuto insistere un po’ di più.

In secondo luogo, le due figlie prodigio di Blazko rappresentano una bella aggiunta, ma non riescono a brillare di luce propria. I rimandi “tamarri” all’illustre padre sono tanti, ma né Jess né Soph sembrano aver ereditato il carisma dell’ammazza-nazisti per eccellenza.

Continuando la nostra disamina, l’elemento “metroidvania” menzionato in precedenza allunga senza dubbio la longevità del titolo che, altrimenti, potrebbe essere portato a termine in una manciata di ore; tuttavia, alla lunga tale componente risulta snervante, soprattutto quando saremo costretti a tornare per l’ennesima volta a Little Berlin per una missione (spesso troppo simile ad altre svolte in precedenza), anche dopo averne scoperto tutti i segreti, affrontando gli stessi identici nemici di qualche ora prima, capaci di respawnare giusto qualche minuto dopo essere stati trucidati.

La colonna sonora, seppur carina, non lascia il segno, e la componente stealth è stata, a parere di chi scrive, molto ridimensionata, essendo di fatto limitata alla sola abilità “Occultamento”. Infine, tutti i nemici che hanno reso celebre la saga sono presenti, ma i boss lasciano un po’ di amaro in bocca, in quanto troppo simili tra loro.

Giudizio Finale

Spieghiamoci bene: Wolfenstein: Youngblood è un titolo gradevolissimo, che si lascia giocare molto volentieri, ma che purtroppo non lascia il segno, per tutta una serie di motivi. Le meccaniche RPG vanno a minare una trama carina, ma che non si attesta ai livelli dei capitoli principali della saga. Jess e Soph, nonostante la ventata di freschezza e l’impegno profuso, non hanno il carisma di “sua tamarragine” Blazko.

Il backtracking a cui sarete praticamente obbligati, alla lunga, potrebbe risultare fastidioso, soprattutto a causa del respawning praticamente istantaneo dei nemici su schermo, che sarà utile ai fini dell’aumento di livello, ma dannatamente snervante.

In ogni caso, Youngblood deve essere preso per ciò che è: uno spin off che, con “biglietto d’ingresso” dal costo contenuto, ha il compito di fare da ponte al terzo capitolo della saga, regalandoci qualche ora di sanissimo divertimento. D’altra parte, a chi non piace sparare ai nazisti?

This post was published on 3 Agosto 2019 14:21

Claudio Albero

Nasce a Torre del Greco, una piccola metropoli alle falde del Vesuvio, nei favolosi anni ’80, che già però non avevano più niente di favoloso. Provano ad educarlo con Beatles e musica classica sin dalla più tenera età, ma lui, di tutta risposta, si appassiona all’ heavy metal ed ai videogame , spendendo un piccolo patrimonio in sala giochi, quando queste due parole erano ancora slegate dalle slot machine. Dopo aver mosso i primi passi su Sega Master System II con Alex Kidd, il Super Mario con le orecchie a sventola, si innamora dei platform, degli action/adventure e degli RPG, con particolare attenzione alla saga di Final Fantasy. Inguaribile sognatore con le radici saldamente ancorate nel passato, scopre la sua passione per la scrittura quasi per caso, in uno dei tanti pomeriggi passati tra i corridoi della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, dove si laureerà giusto qualche anno dopo, con una tesi in Diritto d’Autore basata sull’opera multimediale. Dopo aver scritto di attualità e musica su Lacooltura.it , Road TV Italia e Federico TV , approda sui lidi di Player.it , in cui comincia sin da subito ad apprendere e fare domande, guadagnandosi rapidamente il titolo di “ redattore rompiscatole del mese ”. Nonostante sia legatissimo alla grande famiglia di Player, non sono rare alcune sue incursioni su portali come Gameplay Café e Spazio Rock . Musica, videogame, concerti, boardgame, modellismo, fumetti, cinema e serie tv: tanti hobby diversi tra loro, ma collegati da un fil rouge che li unisce tutti: il divertimento . È proprio questo che cerca in un videogame, è proprio questo sentimento che muove le sue dita, ed è sempre il divertimento la sensazione che cerca di infondere nei suoi articoli. Al di fuori del mondo del gaming, indossa giacca e cravatta per mimetizzarsi nel mondo degli avvocati, esercitando la professione forense, con lo scopo di conoscere a fondo le “ regole del gioco ”, nonché di minacciare di far causa a chiunque al minimo pretesto.

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