Nel corso della storia dei videogiochi esistono degli eventi, ancora non perfettamente stigmatizzati all’interno della cultura generale, che meriterebbero capacità divisorie; eventi che farebbero dire a chiunque “il mondo dei videogiochi non è più stato lo stesso dopo l’arrivo di tale prodotto”. Se proviamo a ragionare sulla forma di questi eventi potrebbero venirci in mente cose come l’arrivo di World Of Warcraft all’interno del mercato PC, il successo strabordante di Fortnite: Battle Royale all’interno del mondo dei videogiochi odierni, la release di Death Stranding (forse, ci risentiamo fra qualche mese nel dubbio) e sicuramente qualcosa riguardante Doom.
Ecco, oggi andiamo a ricontrollare con rapidità quelli che sono tre videogiochi molto importanti per la storia di videogiochi. In vista dell’uscita del nuovo capitolo della saga, quella meraviglia che risponde al nome di Doom Eternal, andiamo a controllare la qualità dei porting su console di Doom, Doom II: Hell On Earth e Doom III, tutti quanti rilasciati praticamente in contemporanea su Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch.
Eh si, parliamo proprio di quel triello di capitoli che hanno a che fare con le polemiche di Bethesda.net ma su questo torneremo dopo.
Nel 1993 un gruppo di brufolosi ragazzini programmatori, dopo aver per la prima volta portato su personal computer uno sparatutto come si deve con il primo capitolo di Wolfenstein, decisero di alzare l’asticella qualitativa creando qualcosa di più raffinato ispirandosi ad una loro campagna di Dungeons & Dragons (leggetevi Masters Of Doom per la storia completa). Di Doom esistono numerosissime versioni grazie al supporto dei fan che, nel corso dei suoi anni di vita, si sono impegnati a costruire intere campagne su mappe completamente originali facendo viaggiare in lungo e in largo il nostro protagonista Doomguy.
Come plausibilmente alcuni di voi lettori già sapranno, di Doom esistono svariate versioni sul web a seconda dei livelli presenti. La versione Playstation 4 di Doom è Ultimate Doom, ovvero il gioco base più l’espansione Thy Flesh Consumed realizzata all’epoca da Id Software stessa. Difficile parlare di Doom senza risultare ridondanti perché in più di venti anni di critica il titolo è stato aperto e spolpato come poche altre cose al mondo.
Il primo capitolo di Doom, nonostante ventisei anni di età, resta un gioco da provare almeno una volta nella vita. Dalla sua ha un comparto artistico che funziona ancora al giorno d’oggi, con mostri memorabili tipo Cacodemoni, Cyberdemoni e brutture varie ed un level design ancora oggi mai imitato correttamente tra segreti incredibilmente complicati da raggiungere e memorabili arene fiammeggianti.
La playstation 4 (o la sua controparte Microsoft/Nintendo) è, quindi, la console definitiva dove giocare il primo capitolo di Doom?
No, il titolo, nonostante sia arrivato in una delle sue versioni migliori a livello contenutistico presenta delle magagne tecniche che fanno storcere decisamente il naso. Il gioco sembra essere semplicemente più lento rispetto alla controparte originale, di qualcosa come il 10/15%; i movimenti sono meno rapidi, gli scatti meno fulminei, i nemici meno veloci. È lecito pensare che tale modifica possa essere stata fatta per cercare di agevolare il sistema di controllo, trasposto onestamente su Dualshock 4 ma comunque privo di quella sensazione di controllo che all’epoca la tastiera provocava.
A dare il colpo di grazia, purtroppo, è la colonna sonora; anche questa leggermente rallentata e con una qualità sonora praticamente MIDI, lontana da quella dell’originale. Nel primo capitolo di Doom il comparto musicale aveva per la prima volta portato, nel mondo dei videogiochi, una specie di ibrido tra metal (famosa la somiglianza tra E1M1 e Masters Of Puppets dei Metallica) e suoni d’ambiente, entrambi fautori di atmosfere di grande impatto per l’epoca.
Il secondo capitolo di Doom, ambientato immediatamente dopo il finale del primo, vede il nostro caro Doomguy tornare a casa, sulla terra, soltanto per scoprire che le cose sono andate infinitamente peggio del previsto. Rispetto al primo capitolo la carica innovativa è infinitamente minore, Doom II: Hell On Earth è semplicemente uno dei migliori more of the same che siano mai comparsi all’interno del mondo dei videogiochi.
Doom II dà al Doomguy una delle armi con i migliori suoni della storia (ovvero il Super Shotgun) e lo mette a confronto con alcuni dei livelli più intricati, labirintici e divertenti che si siano mai visti in uno sparatutto in prima persona così anziano. Id Software questa volta decide di fare sul serio con i contenuti e, oltre a proporre una grandissima quantità di nuovi livelli, raddoppia le tipologie di nemici normali presenti all’interno del titolo andando a variegare ulteriormente la già interessante sfida di gioco. Compaiono i tenebrosi Revenant con i loro lanciarazzi a ricerca, compaiono gli Heavy Weapon Dude ed i loro bellissime sprite.
È difficile recriminare qualcosa a Doom II: Hell On Earth se lo si guarda con l’ottica di un videogioco uscito nel 1995; all’epoca era essenzialmente la versione migliorata di qualcosa di praticamente perfetto e tale al giorno d’oggi quasi arriva. L’edizione rielaborata da Bethesda e da Nerve Software ha al suo interno anche i 20 master levels creati da una serie di designer indipendenti messi sotto contratto da iD nel 1995; a mancare dal pacchetto è l’espansione No Rest For The Livings, realizzata sempre da Nerve in occasione dell’arrivo di Doom II all’interno di Doom 3: BFG Edition.
Anche Doom II: Hell On Earth valgono i difetti del primo capitolo. Ludicamente e graficamente parlando i videogiochi sono inattaccabili e potrebbero risultare gradevoli, specie per immaginario proposto, anche ai giocatori che si approcciano ai primi capitoli del brand al giorno d’oggi. A non convincere è la velocità di gioco, anche qui stranamente minore di quella ottenibile con il gioco stesso su PC e la qualità delle musiche, misteriosamente lontana da quella dell’originale Doom II.
L’ultimo videogioco (per ora) del brand Doom riproposto da Bethesda è il terzo capitolo, un videogioco che all’epoca fece estremamente parlare di se a causa el cambio di rotta che iD Software sembrava aver intrapreso. Niente più azione ipercinetica e violenza sopra le righe, in quel momento l’obbiettivo di Carmack e soci era quello di dare al giocatore un esperienza bordeline tra lo sparatutto in prima persona e l’horror più becero, grazie anche alla rinnovata potenza data dall’iD Tech 4, il nuovo motore grafico della software house.
Il nuovo motore grafico aveva dalla sua features altrimenti difficili da realizzare come GUI animate in-game, un sistema di illuminazione estremamente complesso e animazioni di una complessità mai vista prima di tale momento nel genere. Entrando per la prima volta in contatto con Doom 3, stavolta portato sulle nuove conosole dai ragazzi di Panic Button, si capisce subito che all’epoca le idee di Carmack dovevano aver convinto più o meno tutti.
Anche in questo caso è lecito andare a comprendere con quale versione di Doom abbiamo a che fare; gli sviluppatori texani hanno essenzialmente portato sulle nuove console direttamente la Doom III BFG Edition originariamente comparsa sulla passata generazione nel corso del 2012; rispetto al Doom III originale c’è l’espansione Resurrection Of Evil, interessante dal punto di vista ludico grazie alla presenza di armi che mimano comportamento della Gravity Gun e l’espansione The Lost Missions con una storyline alternativa che si affianca a quella della modalità single player del gioco originale. Tutti i miglioramenti della BFG Edition, come il comparto grafico rinnovato o la possibilità di tenere la torcia accesa mentre si mira permangono ma poco aggiungono ad un titolo che non riesce del tutto a comunicare ciò che vuole.
Doom III era un gioco con qualche problema sin dall’uscita a causa di un level design a volte troppo incomprensibile per i giocatori, altre volte a causa di un ritmo di gioco che stona con la bontà del gunplay o con le possibilità concesse al giocatore da ciò che si ha a schermo; a questo andrebbe aggiunta una trama inconsistente ed una certa macchinosità di fondo nell’esplorazione. Tutte piccole scheggie che vanno ad imbruttire un titolo che ha dalla sua un atmosfera di grandissima qualità ed il marchio iD Software nel dna del gunplay.
Uno dei motivi per cui questa tripla re-release ha tanto fatto discutere i giocatori durante i suoi primi respiri è il famoso login a Bethesda.net che risultava obbligatorio a tutti, nonostante stessimo parlando di giochi che con Bethesda ci azzeccano poco. Tale login è, al momento della stesura di questa recensione, obbligatorio e limitante: se non si è connessi a internet non è possibile giocare ai titoli acquistati, nonostante la completa assenza di funzioni online.
Perché si, tutte e tre i titoli sono sprovvisti di comparti multigiocatori online (Doom I e Doom II hanno invece dei comparti multigiocatore in split-screen) ma tutti e tre hanno bisogno della connessione internet per poter essere avviati correttamente. Bethesda ha dichiarato che è intenzionata a patchare via questi login obbligatori prossimamente. Da segnalare che Doom 3, per qualche motivo legato al Bethesda Club, è crashato più e più volte durante le nostre sessioni di gameplay su Playstation 4 standard.
Il ritorno della trilogia di Doom sulle console di attuale generazione, nonostante qualche problemino tecnico e qualche ridicola scelta da parte del publisher rimane meritevole di tempo e denaro. Doom I e Doom II: Hell On Earth ancora oggi risultano estremamente godibili nonostante il livello tecnico non particolarmente attuale grazie ad un gameplay divertente e ad un level design di primissimo ordine; il terzo capitolo della trilogia nonostante qualche problema ha dalla sua il maggior numero di contenuti tra i vari titoli ed è in grado di soddisfare tutti i giocatori alla ricerca di una ventina d’ore di gioco tra gli angoli bui delle stazioni spaziali marziane. Per il prezzo a cui sono disponibili non lasciateveli scappare.
This post was published on 2 Agosto 2019 9:30
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