La prima sensazione che si ha quando si inizia Horace è quella di trovarsi dentro lo schermo cinematografico di un qualche prodotto stramboide, plausibilmente di matrice inglese. A suggerire queste sensazioni sono la regia del titolo, piena di idee rubate al mondo della settima arte e la narrazione, a metà tra la continua rottura della quarta parete e lo humour inglese più becero. Horace, distribuito da 505 Games, è un videogioco che mischia sapientemente narrazione e gameplay e che si dimostrerà essere una delle sorprese più interessanti tra i videogiochi independenti di questo 2019.
Certo, per potersi godere il gioco sarà necessario soprassedere su traduzioni imperfette e su qualche problema ludico ma non temete, abbiamo scritto una quantità di motivi abbastanza grande per convincere pressoché chiunque a dare una possibilità al simpatico robot giallognolo protagonista di questa storia.
Vediamo insieme perché Horace è meritevole di attenzioni.
In un mondo videoludico che lega il concetto di cinematografia al raggiungimento del fotorealismo, Horace guarda e sputa con violenza. Il titolo ha dalla sua una costruzione estremamente cinematografica realizzata attraverso una sapientissima regia ed una pixel art di tutto rispetto. Il titolo dice ciao a tutte le narrazioni tipiche dei giochi bidimensionali, fatte di baloon o di dialoghi da leggere mentalmente e da il benvenuto a cutscenes piuttosto elaborate, raccontate tutte in rima persona dal nostro robottino Horace.
Qui si notano gli sforzi degli sviluppatori Paul Helman e Sean Scaplehorn, dinamico duo di cui speriamo di vedere presto altro; in Horace a farla da padrone sono le panoramica, le carrellate, gli zoom, i dolly zoom, i piani sequenza e chi più ne ha più ne metta; nonostante una grafica priva di poligoni e textures, Horace risulta credibile e cinematografico nonostante i pixel ben in vista. I personaggi del titolo vengono animati sapientemente spostando di poche unità i tratti del viso, cambiando qualche colore o eseguendo qualche animazione non particolarmente complicata; i risultati sono strabilianti e lasciano, più di una volta, a bocca spalancata per qualità e potenza dei messaggi.
Questi messaggi derivano da una narrativa di tutto rispetto, che inizialmente sembra pescare da robe come L’uomo bicentenario, A.I – intelligenza artificiale o I figli degli uomini, e che poi strabordano in una storyline molto emozionante, con interessanti colpi di scena ed una grandissima quantità di citazioni, rotture della quarta parete ecambi di genere. Horace ha dalla sua la capacità di non smettere praticamente mai di stupire il giocatore a suon di scelte inaspettate e giravolte ludiche. Nel corso dell’avventura impareremo ad apprezzare un grande numero di personaggi, tutti caratterizzati da un humour inglese pungente e da una grande capacità emotiva, nonostante il limite dato dal numero di pixel su schermo.
La partenza di Horace è tutto fuorché esplosiva: i primi capitoli, anche narrativamente parlando, sono estremamente lenti e guidati; si tratteggiano i personaggi coinvolti nella vicenda e si tratteggiano anche le capacità atletiche di Horace, ricondotto fin da subito ad un personaggio dalle spiccate doti acrobatiche, alle prese con livelli platform non molto distanti da quelli di un Super Meat Boy.
In questi frangenti il ritmo di gioco è comunque buono, complice il sistema lazzaro che permette al nostro protagonista di respwanare nel giro di qualche secondo.
Andando avanti gli orizzonti del titolo si allargano a dismisura, includendo minigiochi che fanno genere a se ed una serie di ambientazioni da esplorare che non sfigurerebbero in un qualche metroidvania; in queste ambientazioni troveremo puzzle, quest secondarie, potenziamenti e tutti i crismi del genere, backtracking compreso, in grado di farci incollare ancora di più allo schermo. Il lavoro degli sviluppatori si compie poi nella seconda metà del gioco, quando Horace smette di essere un platform metroidvanioso e si trasforma in una storia declinata in mille generi diversi tra videogiochi di corse, titoli a là guitar hero e imitazioni di vecchi cabinati.
Tutto questo melting pot ludico è realizzato decentemente, con una cura notevole che lascia volentieri chiudere un’ occhio sui vari difetti che si possono trovare spulciando tra la risposta ai comandi ed il feeling di controllo; Horace, nelle sue mille incarnazioni diverse, non si controlla bene come un Meat Boy, ne è assuefacente come un Bloodstained: Ritual Of The Night.
Anche le meccaniche interne ad ogni frangente non sono particolarmente raffinate: le scarpe gravitazionali che si prendono nei primi momenti di gioco, ad esempio, lasciano uno scarso senso di controllo a chi gioca mentre i segmenti provenienti dai vari videogiochi arcade non risultano divertenti o responsivi come i titoli madre.
La sua assenza di coerenza ludica viene giustificata dalla narrativa, sempre potente e sul pezzo, con grande maestria ed una grande dose di umorismo.
Horace è un titolo fatto più col cuore che col cervello e che, nonostante difetti ludici, riesce a far presa su entrambi gli organi di chi gioca.
Questo successo riesce anche grazie al comparto tecnico in pixel art che sà essere personale nonostante la saturazione dello stile grafico nella scena indipendente; uno stile che non ha i virtuosismi assoluti di un Owlboy o le ispirazioni ottantiane di un Blazing Chrome ma che riesce ugualmente ad essere efficace grazie ad una personalità che traspare, scena dopo scena, da ciò che si sta giocando.
Il titolo non utilizza solo la pixel art per mostrarsi al giocatore ma gioca continuamente con la storia della grafica e con la storia del medium, aggiungendo alle volte elementi tridimensionali o sfondo pre-renderizzati che sembrano usciti dagli anni novanta, il tutto con sapiente maestria e con un gusto registico che (ancora una volta) si rivela essere quasi un’ unicum nel mondo delle produzioni indipendenti.
Volendo parlare del comparto musicale Horace ha dalla sua una colonna sonora realizzata completamente in chiptune, composta da numerosi riarrangiamenti che spaziano tra generi diversi: musica classica, pezzi rock ed canzoni di musica elettronica dei bei tempi andati, quasi a voler riportare ancora una volta il gusto personale dell’autore all’interno del pazzo titolo in questione. La summa è chiara: traspare ancora una volta la personalità dell’autore, che con Horace sembra quasi aver voluto pitturare il suo gioco, quello che da piccolo sognava di voler giocare tra un titolo e l’altro.
I difetti che Horace ha sono legati a incurie e imperfezioni, tipiche delle produzioni indipendenti al loro primo lavoro; il titolo ha qualche problema col sistema di controllo ed ha avuto qualche problema con il controller, non riconoscendo correttamente alcuni input sulla versione Steam da noi provata.
Horace è un titolo uscito praticamente dal nulla che ha dalla sua moltissimo da dire e lascia relativamente poco al caso. La definizione corretta per Horace è quella di prodotto artigianle, in cui è possibile assorbire, pixel per pixel, l’amore che l’autore ha riposto nella sua opera. Nonostante l’assenza di rifiniture o l’aspetto grezzo di alcuni comparti ludici, legati ai minigiochi o al frangente “core” dell’esperienza, Horace ha dalla sua un anima ricca e forte. Raramente ci si può imbattere in un titolo così emozionante e cinematografico, specie se consideriamo la sparuta potenza grafica che il videogioco porta agli occhi di chi si trova dall’altra parte dello schermo. L’opera prima di Paul Helman è uno di quei videogiochi di cui chiacchieremo molto in futuro quando parleremo di titoli autoriali grazie ad un humour inglese molto efficace e ad un impianto narrativo pieno di sorprese e di twist.
This post was published on 29 Luglio 2019 10:30
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