Quando è uscito Marvel’s Spiderman tutti quanti sono rimasti affascinati dal sistema di volteggio che Insomniac mise su, mai prima di quel momento si poteva sentire una così forte sensazione di libertà nel vedere il proprio personaggio librarsi, ragnatela dopo ragnatela, all’interno degli scenari di gioco. Qualcuno in Flamebait Games è evidentemente rimasto affascinato dalla cosa perchè sopra tale meccanica ci ha costruito un gioco intero che merita davvero di essere provato.
Le differenze tra Marvel’s Spiderman e Verlet Swing ovviamente sono molteplici: niente supereroi in calzamaglia, niente open world da esplorare, niente meccaniche action a far da cardine del titolo. Il videogioco di cui parliamo oggi chiede al giocatore di volteggiare all’interno di luoghi curiosissimi, degli ambienti a metà tra un trip acido di un appassionato di vaporwave alla rappresentazione fisica del paradiso del retrogamer, il tutto sempre da corda in corda, senza toccare altri oggetti all’interno dello scenario.
Bando alle ciance, prendete i vostri medicinali per le vertigini e andiamo insieme a scoprire come si comporta la versione Switch di Verlet Swing.
Verlet Swing o “volteggiando nei ricordi vaporwave dell’umanità”
Verlet Swing è un videogioco uscito lo scorso anno su PC e trasportato in questa prima metà estate su Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch. Il titolo si fà subito riconoscere per mettere al centro della sua struttura un gameplay basato sul volteggio nella sua forma più pura: il giocatore, dotato di un numero infinito di corde e di un mirino dovrà partire dal punto A e raggiungere il punto B, preferibilmente senza schiantarsi contro qualcosa e nel minor tempo possibile.
Potremmo smettere ora di parlare del gameplay, tanto esso è semplice. In Verlet Swing si vola da un punto all’altro dei livelli di gioco attaccati ad una corda; quest’ultima è in grado di aggrapparsi alla stragrande maggioranza degli oggetti presenti a schermo. Come giocatori noi potremo semplicemente scegliere dove lanciare la corda e la direzione in cui vogliamo spostarci, sempre facendo i conti con l’inerzia e con i movimenti del caso.
In tal senso i veri protagonisti del titolo sono gli oltre cento livelli che compongono le ossa ed i muscoli di Verlet Swing. Nel corso di cento livelli ci ritroveremo a combattere con un level design altanelante che viaggia di continuo sul sottilo filo che divide il ragequit dal “questo voglio rifarlo”. Ogni livello è un piccolo mondo a sé, pieno di appigli, strade secondarie e metodologie d’azione diverse che il giocatore può intraprendere per raggiungere il traguardo; il level design del titolo è abbastanza ben fatto da rendere rapidamente molto chiara la strada ufficiale che gli sviluppatori suggeriscono per concludere il livello ma si capisce ben presto che spesso e volentieri essa non è la più semplice da intraprendere.
All’ordine del giorno saranno gli ostacoli semoventi, le strettoie o le deviazioni improvvise, il tutto da giostrare attraverso un mirino, dell’inerzia e un numero imprecisato di corde da lanciare a destinazione; da questo punto di vista i livelli di Verlet Swing faranno impazzire più di un giocatore per le loro trovate e per tutte le possibilì soluzioni. La semplicità del gameplay unità al level design attaccherà abbastanza rapidamente il giocatore allo schermo, almeno per brevi sessioni perché…
Impiccarsi con le corde di Verlet Swing.
I videogiochi in prima persona hanno tra se e il giocatore, solitamente, un mouse ed una tastiera; questo accade perché, cronologicamente parlando, il mouse è stato il primo dispositivo a dimostrarsi adatto per controllare senza limite alcuno una telecamera in grado di muoversi all’interno dello spazio 2D ed è rimasto, nel corso degli anni il preferibile. La versione da noi testata, su Nintendo Switch, da al giocatore unicamente la possibilità di controllare la visuale con gli stick analogici, senza alcun tipo di mira assistita o auto-aim.
Questo sistema di controllo, unito alla curva di difficoltà non esattamente dolce, manderà ai matti più di una volta il giocatore che si ritroverà alle volte ad aver finito il livello per un puro colpo di fortuna, altre volte invece a rimanere bloccati su di un punto specifico a causa di qualche picco quasi insormontabile. Chi scrive più e più volte si è ritrovato a chiedersi il come di un determinato salto, specie se unito alla notevole quantità di fortuna che è stata invece necessaria per superare una determinata curva o schivare un determinato elemento dello scenario.
La completa assenza di un qualche tipo di semplificazione nel menù delle opzioni taglia fuori i giocatori meno avvezzi all’uso degli analogici e a poco serve modificare la sensibilità degli stick o la profondità del campo visivo. Davvero un gran peccato per un videogioco che si basa in modo praticamente univoco sul gameplay di cui è dotato. Alcuni dei cento livelli del titolo, divisi in cinque differenti ambientazione, finiranno per popolare gli incubi più tristi di molti giocatori.
Fortunatamente a indorare un po’ l’amara pillola ci pensa il comparto tecnico artistico che, sebbene non faccia gridare al miracolo, sa sicuramente difendersi in modo egregio.
Figlio dei nostri tempi.
La prima cosa che salta all’occhio avviando una partita di Verlet Swing è infatti il setting decisamente atipico: teste di sculture romane, colori sul neon, delfini volanti e pavimentazione a quadrettoni che sembra uscita da una di quelle strane immagini che trovate sul vostro social network di fiducia. Chiunque abbia lavorato sul comparto artistico del titolo ha una certa dimestichezza con tale immaginario visto che è riuscito a reimmaginare in tale salsa una vasta gamma di non luoghi.
La prima ambientazione, ad esempio, porta il giocatore all’interno di luoghi con colonne greche, architetture esotiche e palme digitali; la seconda sposta il giocatore all’interno di un mondo prevalentemente acquatico, che sembra richiamare in più frangenti il seapunk. Dal fondo del mare si arriverà ad esplorare un luogo pieno di cibo, lontanamente paragonabile all’apposito pianeta di Super Mario Odissey, senza dimenticare una location pesantemente retrowave come il Wondercon 1998, perfetta per azzerare il volume del gioco (nonostante sia un peccato) per ascoltare del sano Carpenter Brut.
L’ultima location, per inciso, è una specie di stramba rilettura dell’inferno, al limite tra l’ambientazione di Devil Daggers ed una versione sotto LSD di Doom; robe che aggiungono un certo quid al titolo che altrimenti rischierebbe di trovarsi schiacciato sotto il peso del suo sistema di controllo. Tecnicamente su Nintendo Switch il lavoro di Flamebait Games scorre liscio come l’olio, senza ne rallentamenti ne stramberie; da segnalare unicamente dei crash sporadici legati al menù principali, capitati giusto un paio di volte su 10 ore di gameplay, risolvibili semplicemente chiudendo l’applicativo dal menù della console.
Da segnalare anche il comparto sonoro, composto da tracce di elettronica tra il mellifluo e l’etereo, che ben si adattano alle atmosfere vaporose e fuori dal tempo delle ambientazioni del titolo.
La versione Nintendo Switch del titolo, come prevedibile, non possiede alcuen delle importanti caratteristiche altrimenti presenti nella versione PC: niente interazione con Twitch e niente supporto per Steam Workshop; limitazioni importanti che sono controbilanciate dal poter giocare (malino) in mobilità.
Verlet Swing non è chiaramente un titolo nato per stare su Switch ma tutto sommato si tiene a galla, forte di un idea di fondo divertente e di un buon comparto artistico/tecnico. I cento livelli del titolo vi faranno più volte piangere sangue a causa del sistema di controllo farraginoso, arginabile soltanto attraverso tempo, pazienza e ripetuti game over.