Il primo impatto con Dark Devotion è tutto sommato niente male: una pixel art da urlo, un atmosfera estremamente ben caratterizzata, giochi di luce e ombre dovunque in grado di mandare gli occhi di chi guarda in brodo di giuggiole ed una grande quantità di avversari contro cui applicare la sacra legge della rotolata/schivata, una delle massime che ogni buon giocatore di soulslike dovrebbe conoscere.
Si, Dark Devotion è un Soulslike leggermente ibridato con altri generi: c’è metroidvania al suo interno, c’è la follia randomica di un roguelike in alcuni dei suoi tratti ma c’è un sistema di combattimento che sembra preso di peso da Dark Souls, Salt & Sanctuary e dall’allegra compagnia di game designer che è rimasta innamorata dell’opera magna di Hidetaka Miyazaki.
Nato dalle idee di Hibernian Workshop, un piccolissimo studio indipendente francese, il titolo ha dalla sua i fondi raggiunti tramite una campagna kickstarter ed una notevole dose di richiami a tutta quella cultura architettonica europea tipica di un certo medioevo.
Vediamo ora insieme se Dark Devotion è un titolo che merita tempo o se è lecito lasciarlo sugli scaffali virtuali di Steam.
L’introduzione narrativa con cui il titolo avanza la sua proposta ludica al giocatore non è originale ma riesce quantomeno ad essere efficace: Dark Devotion pesca a piene mani dall’immaginario medioevale, dall’architettura gotica, dalla cultura templare e da moltissime altre fonti per mettere in piedi un mondo oscuro, quasi malato nella sua idea di fede, da ricostruire attraverso dialoghi criptici e testi lasciati in giro per i dungeon.
La narrazione, in sostanza, è portata avanti attraverso gli stilemi tipici che Miyazaki ha messo in piedi con il suo Dark Souls e con Demon Souls: un mondo raccontato in modo frammentario che può raggiungere un senso di completezza attraverso la ricerca e la pazienza.
Il mondo di Dark Devotion è pregno di una religione portata all’estremo, di una fede usata come materia di scambio (come dopo vedremo), di un senso di colpa lancinante che costringe gli uomini a perseguire le loro missioni anche dopo la morte.
Il peccato è forse legato alla quantità di spazio dedicato alla narrativa: un’idea del genere avrebbe potuto fare tranquillamente breccia nel cuore di moltissimi giocatori se soltanto ci fossero stati più dialoghi e più elementi in cui potersi immergere.
Quel poco che il gioco presenta è di buona qualità ma finisce per risultare troppo criptico e privo di scene madre che fungano da traino per l’esperienza; un vero peccato.
Dal punto di vista più prettamente ludico Dark Devotion si comporta molto meglio nonostante qualche presa di posizione curiosa e non particolarmente felice. Il titolo presenta un combat system ancorato a quello che Dark Souls ha ricordato a tutti i game designer anni e anni fà: tutte le azioni di gioco sono legate indissolubilmente alla stamina del proprio personaggio.
La bidimensionalità modifica davvero di poco il gameplay del titolo, qui davvero molto vicino ad un’ esperienza 1:1 rispetto a quella che Salt & Sanctuary presentò ai giocatori nel 2016.
Dove Dark Devotion mescola le carte è nell’ibridazione.
L’anima metroidvaniosa di Dark Devotion si vede nel gameplay più avventuroso della media, con trappole e interruttori con cui interagire, nella mappa interconnessa richiamabile con un tasto e nelle sezioni platform per così dire dove vedremo la nostra pazienza messa a dura prova. Morire nel titolo di Hiberniam Studios è tutto fuorché difficile e ci si ritroverà spesso a fare i conti con la schermata del game over, per poi venir resuscitati all’interno dell’hub centrale spogli di qualsiasi avere. Questa povertà assoluta di risorse verrà affrontata esplorando e mettendo le mani su una vastissima gamma di oggetti che il titolo mette a disposizione del giocatore.
Attraverso l’esplorazione il giocatore potrà venire a contatto con le due principali tipologie di loot presenti all’interno del titolo: il loot randomico, legato agli oggetti utilizzabili, compare unicamente all’interno delle casse che sono posizionate nei dungeon con cura certosina; il resto degli oggetti che troveremo all’interno degli scuri cunicoli e delle segrete marcescenti del titolo sarà fisso; i mostri dropperanno determinate armi, alcuni angoli nasconderanno frecce per il proprio arco e così sarà nel corso di ogni corsa fatta.
L’aspetto roguelike del titolo è legato alla risorsa denominata fede e rappresenta uno dei twist più interessanti del gioco, nonché uno dei suoi difetti più marcati. La nostra eoina, sconfiggendo avversari, ottiene dei punti fede che possono essere spesi ingiro per degli altari specifici presenti all’interno dei livelli per ottenere benedizioni o per venir invece maledetti.
Benedizioni e maledizioni rappresentano, a livello di gameplay, dei bonus o dei malus alle statistiche che possono semplificare o rendere il titolo un inferno. La quantità di progressi fatta prima di ogni game over regola le dimensioni della maledizione/benedizione che si può ricevere, lasciando al giocatore un unico parametro da controllare; il resto è generato in modo randomico e non viene nemmeno spiegato al giocatore, lasciandolo spesso brancolare nel buio. Ci si ritroverà spesso a disintegrare i boss sul proprio cammino con una facilità inusitata unicamente grazie ad una benedizione ottenuta nella stanza prima della bossfight e ci si ritroverà invece a inveire contro il creato e la software house per la maledizione ottenuta anch’essa prima della stanza finale, andando a invalidare decine di minuti di certosina esplorazione.
La completa casualità e l’impossibilità per il giocatore di avere un qualche tipo di contenimento dei danni rende Dark Devotion un titolo strano: affascinante ma alle volte stupidamente frustrante.
Dove il titolo di Hiberniam Studios non sbaglia è il versante tecnico, uno dei migliori visti nel corso di questo 2019.
Dark Devotion riesce a splendere di luce propria grazie ad una pixel art certosina, realizzata con una maestria non particolarmente comune nel mondo dei videogiochi indipendenti e in grado di rendere memorabile un titolo fatto prevalentemente di architetture gotico/romaniche altrimenti difficilmente distinguibile le une della altre.
L’hub di gioco, per fare un esempio, è uno splendido esempio visivo di come si può creare un atmosfera attraverso numerose manciate di pixel: gli enormi sprite degli NPC lasciano trasudare un senso di angoscia ed agonia difficilmente trovato in titoli dello stesso genere o realizzati attraverso la stessa tecnica, il sistema di illuminazione del titolo aiuta enormemente la creazione di un atmosfera opprimente e plumbea, regalando con ogni raggio di luce naturale una vera e propria boccata d’aria per il giocatore.
Le animazioni dei personaggi sono fluide e realistiche quanto basta per farle armonizzare con quello che viene presentato dal resto del gioco, che riesce grazie all’art direction certosina, a non risultare stucchevole nonostante una color palette non esattamente estesissima; peccato per il comparto sonoro, non particolarmente memorabile ne in grado di dare ulteriore personalità ad un titolo che riesce a rimanere nella parte designata all’estetica del cervello umano.
Dark Devotion, in conclusione, è un videogioco con qualche problema ludico/narrativo legato a scelte rischiose fatte dagli sviluppatori. Il titolo rischia di non sembrare ne divertente ne coinvolgente a causa di una scarsa sensazione di controllo sul proprio proseguimento e a causa di una storyline che poteva essere gestita meglio; questo oscura un pochino l’incredibile lavoro tecnico fatto dalla software house francese, vera punta di diamante del titolo. Se siete appassionati di soulslike e non volete aspettare il prossimo titolo di From Software dategli assolutamente un’ occhiata.
Ringraziamo The Arcade Crew per averci permesso di provare il titolo su Steam.
This post was published on 20 Maggio 2019 12:00
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