Day Is Gone. È con questa canzone che Noah Gundersen & The Forest chiudevano la sesta stagione di Sons of Anarchy, un preludio a quella che sarebbe stata la fine di uno dei migliori prodotti del panorama televisivo. Nemmeno due anni dopo dalla sua chiusura Bend Studio portava all’E3 2016 Days Gone, un’avventura in cui un motociclista doveva sopravvivere in un mondo post-apocalittico. Dopo quel primo video di gameplay l’esclusiva Sony è però scomparsa dai radar lasciando il pubblico interdetto e ricomparendo solo nel corso del 2018. Abbiamo riempito il serbatoio e siamo saliti in sella con Deacon e compagni alla scoperta dell’apocalisse zombie di Bend Studio, scoprite se questi giorni andati sono valsi l’attesa nella nostra recensione di Days Gone.
Un’epidemia misteriosa, un doloroso addio, la scelta di rimanere. Days Gone inizia così, spostandosi subito anni dopo e mostrandoci le conseguenze di quella scelta. Deacon è un motociclista, un randagio della strada che farebbe di tutto per l’altro membro della sua gang e amico, Boozer, con cui ha consumato tanti km d’asfalto. Per lui ha perso la donna che amava Sarah, scegliendo di rimanere in mezzo al contagio piuttosto che scappare nell’elicottero dei soccorsi. Questo però è il passato, quando Deacon non aveva ancora la barba e il mondo, o meglio, l’Oregon, il mondo di gioco, non era ridotto ad una distesa di foreste tinte di sangue, morte e putrefazione. Non c’è tempo per pensare a quello che è stato, i Furiosi (sorta di zombie geneticamente modificati) sono ovunque e tutto quello che bisogna fare è guardare avanti e sopravvivere.
Dalla prima occhiata data nel 2016, Days Gone ci era parso subito un titolo sparatutto carico di narrativa come solo mamma Sony sa fare. Ora che ci abbiamo potuto mettere le mani sopra ci siamo accorti che la realtà è un’altra e pur avendo quell’ispirazione di base, il titolo non riesce mai a raggiungere un pieno potenziale attestandosi come un open-world survival che pesca a piene mani da tutte le grandi esclusive Sony senza però riuscire a mettere su un’impalcatura strutturale o narrativa davvero degna di carattere.
Ennesima epidemia misteriosa, esperimento fallito, punizione divina (lascio a voi il piacere della scoperta) che manda in pappa tutto quello che il genere umano ha creato. Si torna al baratto, la gente si guarda in cagnesco e si spara senza un motivo plausibile. Qualcuno prova ad andare avanti, qualcuno impazzisce, qualcuno si lascia divorare. E intanto degli scienziati misteriosi si muovono nell’ombra studiando un modo per salvare la pelle a tutti. Quanti di voi hanno già giocato una trama del genere in The Last of Us o Dead Rising? Quanti hanno visto al cinema questa storia con The Road o 28 Giorni Dopo? Quanti hanno letto la serie Metro o il classico di Matheson Io sono leggenda?
Ho citato solo alcuni dei numerosi titoli ambientati in universi post-apocalittici, ma siamo davvero pieni di storie del genere, magari proprio per un perverso desiderio di far finire tutto o di vedere fino a che punto siamo disposti ad arrivare, chi lo sa. Ognuno di questi prodotti però è riuscito a dare la sua versione del “mondo che è andato avanti” volendo tirare in mezzo anche King. Ognuno di essi ha imposto delle regole precise, degli schemi, in cui il lettore/spettatore/giocatore è stato in grado di immedesimarsi. Days Gone non ci riesce. Ci prova, fa il compitino, estende la sua trama lungo vari percorsi chiamati Storie che servono a raccontarci di questa America settentrionale dilaniata dalla malattia, ma dopo poche ore ci si rende conto che le uniche che vale la pena portare avanti sono Ricordo e Caccia alla Nero. Il resto più che aggiungere toglie molto alla narrazione appesantendola con obbiettivi ripetitivi e missioni che spingono a fare qualcosa per dei superstiti privi di qualsiasi istinto di autoconservazione. E anche volendo proseguire solo per le vie principali ci si accorge che la varietà nella progressione è minima e nonostante le oltre 6 ore di cut-scene inserite le azioni da compiere sono sempre le stesse: porta oggetto da A a B con la moto, attendi il momento in cui un elicottero della Nero si paleserà, segui gli scienziati, metti il GPS e torna alla moto.
Come avrete capito il comparto narrativo di Days Gone ci ha deluso molto così come la sua progressione deficitaria e nonostante l’impegno messo dagli sviluppatori anche i personaggi non sono riusciti ad entusiasmarci. L’intro è lento e Deacon non è certo John Marston. Ci prova, ha la moto al posto del cavallo, fa il burbero, un passato scosso da quei giorni andati che il titolo del gioco ricorda costantemente. A tratti instabile, a tratti menefreghista, un collage di topos che non portano mai però a un personaggio completo e a cui è difficile appassionarsi. Anche gli altri volti dell’avventura non rimangono nel cuore, fatta eccezione per la vecchia Tucker che ricorda una sorta di Mara Maionchi americana. E lo stesso discorso va fatto per i nemici come i Furiosi, che non si allontanano molto dai classici zombi, solo un po’ più bavosi oppure i Predoni, che non sono altro che poveri disgraziati come Deacon che cercano di sopravvivere in quell’inferno.
Le esclusive Sony sono famose per alzare l’asticella, per offrire qualcosa di nuovo o per trovare il modo di migliorare quello che già c’è. Ecco Days Gone purtroppo arranca anche in questo presentando un gameplay ricco di cose da fare ma mai nulla di originale. L’ispirazione alla base è chiara: Bend Studio ha preso Horizon Zero Dawn e lo ha calato in salsa The Last of Us. Deacon, proprio come Aloy, può scegliere d affrontare gli scontri in maniera stealth, nascondendosi tra i cespugli e distraendo i nemici con i sassi. Una soluzione quasi sempre preferibile, che porta all’eliminazione silenziosa dei nemici e che risulta fondamentale contro i Furiosi che diventano davvero letali solo quando si riuniscono in grandi gruppi. Come Aloy, Deacon avrà da subito accesso ad un arco, una balestra perfetta per non fare rumore e non attirare l’attenzione degli avversari. Giocando alla difficoltà classica comunque ci è sembrato che l’IA nemica fosse davvero troppo permissiva, dandoci quasi la possibilità di correre in mezzo agli avversari senza essere notati.
Se Aloy poteva cavalcare ogni sorta di belva techno-preistorica, passatemi il termine, Deacon avrà dalla sua una motocicletta che rappresenta il vero punto di forza della produzione. Viaggiare nell’Oregon di Days Gone a bordo della moto è davvero liberatorio e nonostante alcune incertezze nei comandi del mezzo, la guida scorre abbastanza fluida messa a repentaglio solo dalle trappole dei Ripugnanti, una sorta di setta di disadattati fuori di testa che sembrano essere usciti direttamente da Mad Max. Loro organizzeranno dei veri e propri agguati per mettere in difficoltà il giocatore, come corde tese o strade bloccate che porteranno Deacon a perdere la moto esponendolo allo scontro. A lungo andare però anche la moto diventa un peso perchè non si può cambiare e se per sbaglio ci si allontana per più di qualche passo poi bisogna tornare a prenderla e non basta fischiare per far si che ci corra incontro. Una gestione dei parcheggi interessante, che porta il giocatore a scegliere sempre accuratamente dove posizionarsi prima di ogni incursione in zone di combattimento, ma che col tempo rende il gameplay ancora più ripetitivo.
La moto introduce anche uno degli altri elementi caratteristici del gioco che però gli sviluppatori non sono riusciti a sfruttare al meglio: la meccanica survival. Potremo infatti immaginare Days Gone come un grande survival open world se solo la raccolta delle risorse e il crafting degli oggetti fossero davvero elementi centrali. La verità è che anche questi, come tutto il resto, sembrano un po’ elementi di contorno a qualcosa che dovrebbe stare al centro e che invece non c’è. Se si pensa alle meccaniche di un survival il giocatore è spesso messo alle strette da risorse che scarseggiano e da nemici da cui è meglio fuggire. In Days Gone tutto questo non succede perchè il mondo di gioco è pieno di risorse e materiali, nemmeno troppo differenti tra loro che, fatta eccezione per qualche elemento particolare, si trovano pressoché ovunque facendo sentire chi gioca libero di sprecare pallottole contro gli avversari perchè tanto ne troverà a bizzeffe. Ci troviamo infatti in un mondo in cui ci sono più fucili e benzina che fili d’erba e l’ansia di rimanere a secco con la moto viene mitigata dal fatto che troveremo una tanica per riempirla in ogni angolo. Infine, anche il crafting non richiede particolari abilità ma basta trovare i materiali indicati e crearli nel menù apposito.
Durante il gioco, della durata di circa 30 ore, dovremmo spostarci in varie zone dell’Oregon facendo la conoscenza di 5 diverse comunità/campi che fungono un po’ da hub principale di ogni zona. In queste location avviene lo scambio di oggetti, la vendita di materiali, la compravendita di armi e il potenziamento della moto, quest’ultimo sempre molto guidato e lontano da una vera personalizzazione come eravamo portati a sperare.
Ogni campo ha delle missioni secondarie apposite che si dividono nell’affrontare più o meno valanghe di nemici, nel trasporto di qualche oggetto e nel salvataggio di poveri folli che si sono avventurati sempre in caverne sperdute difficili da raggiungere persino con la moto. A queste si aggiungono anche le missioni di Disinfestazione in cui liberare una zona dai nidi dei Furiosi. Le bestiacce in questione fanno dei nidi di paglia in alcune strutture che dovremmo liberare tramite l’utilizzo di un disinfestante molto efficace e che prende il nome di bomba molotov. Incendiato il nido però dovremo anche essere pronti allo scontro perchè ci saranno diverse creature non troppo contente di aver perso la casa. I campi hanno una meccanica interessante, quella della Fiducia che anche in questo caso non è stata pienamente sfruttata. Basta infatti portare a termine le loro missioni o vendergli i materiali per far salire questo parametro e sbloccare oggetti aggiuntivi nei negozi, un vero peccato non aver esplorato le possibilità che potevano scaturire dal preferire un campo piuttosto che un altro.
Tutte le missioni fanno salire la percentuale di completamento e granatiscono a Deacon dei punti abilità che potrà utilizzare per potenziare le sue statistiche vitali, una barra di resistenza che allunga il periodo di corsa e altre abilità di combattimento o di raccolta dei materiali o pelli di animali. Nel gioco è infatti presente anche la caccia ma come per tutto il resto sembra sempre una bozza di quanto già visto in altri titoli come la serie Red Dead Redemption o Assassin’s Creed.
Anche a livello di gunplay troviamo un setting che sa di vecchio, completamente da rivedere e ricco di bug e glitch che vanno ad inficiare sulle prestazioni della mira o sulla qualità della copertura. Persino nel corpo a corpo abbiamo notato spesso oggetti che ne compenetrano altri, come le mani di Deacon che finiscono spesso dentro la testa degli avversari insieme al coltello. Il gioco presenta purtroppo diversi bug che la patch da 20 GB da poco rilasciata non ha risolto come eventi casuali che bloccano dialoghi costringendo il giocatore a riascoltarli da capo. L’unreal Engine 4 utilizzato per far muovere il gioco svolge bene il suo lavoro ma la cura riposta sul protagonista non è la stessa vista negli altri personaggi e anche le foreste del gioco spesso si perdono in un sentimento di monotonia continua. Giocato su Ps4 standard abbiamo notato inoltre anche qualche calo di framerate durante le corse in moto che però risultano un vero spettacolo durante i cambiamenti climatici dinamici come acquazzoni o nevicate.
La moto di Deacon romba egregiamente per le foreste dell’Oregon e nonostante gli effetti sonori e le musiche risultino all’altezza di una esclusiva Sony, fatta eccezione per i versi dei Furiosi che sono un continuo di lamenti e respiri affannati che non vedi l’ora di far terminare con il fucile, il doppiaggio in italiano ci ha deluso parecchio. Al di là di qualche problema di sincronia la cosa che ci ha deluso di più è stata proprio la qualità del doppiaggio con voci sottotono o con tonalità che non funzionavano per il tipo di situazione proposta.
Un mezzo survival, un mezzo sparatutto, un mezzo horror, Days Gone è un gioco che sta nel mezzo di molte cose senza però avere nulla al suo centro. Potremo definirlo un gioco vuoto capace solo di fare il verso alle altre grandi esclusive di Sony. Tutto sa di già visto e già giocato. Bend Studio ha creato un universo ricco di potenzialità ma poi non l’ha sviluppato, limitandosi a riempire come possibile gli spazi vuoti. Un po’ come guardare solo gli episodi di The Walking Dead in cui non succede nulla, aspettando con attesa il colpo di scena che nel caso di Days Gone, purtroppo, non arriva mai. Il risultato finale è un titolo incerto che difficilmente verrà ricordato per il suo carattere distintivo ma più per la sua incapacità di averne uno.
This post was published on 27 Aprile 2019 11:32
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