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Recensioni

Outward – Recensione (PS4)

Outward è la prima grande release dei Nine Dots Studio, supportata e distribuita da Deep Silver con una grande campagna marketing e sviluppato sia per PC che per PS4. 

È un titolo a dir poco singolare, complicato per usare un eufemismo, e sicuramente non per tutti i videogiocatori. Scoprite insieme a noi con questa recensione se Outward fa al caso vostro.

 

Un mondo (e le sue molteplici storie) da esplorare in lungo e in largo

 

 

Dopo un tutorial bello zeppo di nozioni e comandi da memorizzare completamente facoltativo, Outward ci lancerà in medias res nel suo mondo di gioco fantasy. Il nostro personaggio customizzabile si è appena risvegliato da un naufragio, e scopre che tutto il lavoro, le ricchezze e gli oggetti leggendari accumulati in mesi di lavoro e commercio sono finiti in fondo al mare. Quel che è peggio è che ora non ha alcuna possibilità di pagare il suo debito familiare con la città di Cierzo, e se non pagherà entro 5 giorni verrà cacciato dalla comunità.

L’obiettivo iniziale è dunque quello di guadagnare una somma sufficiente a pagare parte del debito, oppure convincere la comunità ad annullarcelo compiendo una qualche buona azione. Da qui in poi, l’intero mondo di Aurai con le sue città, gilde, creature e tesori sarà alla nostra portata.

Outward infatti non è un gioco che punta su di una storyline lineare ed importante, e permette al giocatore di ignorare qualunque sotto forma di quest: l’importanza ed il fulcro del gioco è l’esplorazione, la sopravvivenza e la caccia di tesori.

 

 

Ciò non significa che la storia sia completamente assente: dopo la quest iniziale, infatti, avremo tre missioni guida da poter intraprendere che ci porteranno in tre parti diverse del mondo, legandoci a tre diversi personaggi e tre diverse società ognuna con la propria storia e peculiarità.

In questo modo Outward risulta esser un’esperienza particolarmente fresca e priva di vincoli narrativi, e permette al giocatore non solo di ritornare sui propri passi e di esplorare numerose zone e questline, ma anche di sbagliare liberamente ed adattarsi alle conseguenze delle proprie azioni. 

Non aspettatevi però dialoghi e comprimari memorabili alla Baldur’s Gate o un mondo di gioco fantasy originalissimo come Horizon Zero Dawn: le ambientazione, le missioni ed i personaggi principali di Outward sprizzano standardizzazione e banalità da tutti i pori e non vi rimarranno impressi per molto tempo.

Di tutt’altra fattura è invece il gameplay, nocciolo duro e puro di Outward.

Avventura Cappa, Spada, Sacco a Pelo, Zaino, Razioni da viaggio…

 

 

Bisogna dirlo chiaro e tondo: Outward non è un gioco semplice. Usciti dal tutorial vi potrà sembrare di aver appreso pienamente le meccaniche di gioco e di esser pronti ad esplorare il mondo senza sosta, ma la realtà dura e cruda è ben diversa

Outward è un’esperienza che punta moltissimo al realismo della sopravvivenza e alla difficoltà massima dei combattimenti. Viaggiando dovrete tener conto di temperatura corporea, sazietà, sete, malattie, stanchezza, crafting e stato dell’equipaggiamento, mentre anche il più semplice lupo al di fuori dei confini della città potrà darvi filo da torcere, o addirittura sconfiggervi al primo incontro.

Una meccanica curiosa che porterà parecchie situazione spiacevoli ma divertenti è la totale assenza di un game over. Il vostro esploratore potrà infatti venir sconfitto da banditi ed animali, ma invece di morire si risveglierà in prigione o all’interno di una tana, con ferite e malus pesantissimi e la fuga come unica opzione. Ciò accadrà ogni volta che perderete i sensi, trascinandovi in luoghi più o meno ospitali in base alla vostra posizione o addirittura portandovi a fallire alcune missioni.

Proprio per questo motivo in Outward vi è un unico slot di salvataggio, e non sarà possibile sovrascriverlo o ricaricare un salvataggio precedente: dovrete vivere con le conseguenze delle vostre azioni, ed arrangiarvi per superare i terribili ostacoli naturali e non che vi ritroverete davanti.

 

 

Il combattimento in particolare risulta molto proibitivo non tanto per la complessità del sistema o l’intelligenza artificiale, ma per la legnosità generale dei movimenti e l’incredibile quantità di danni che si riceve se non si è equipaggiati al meglio. Chiunque abbia giocato o abbia presente Gothic o Risen dei Piranha Bites può riuscire ad avere un’idea del combattimento di Outward.

Come se non bastasse in Outward non c’è alcun sistema di esperienza, e l’unico modo per diventare più forti sarà quello di ottenere, comprare o rubare equipaggiamento di qualità sempre più elevata oppure addestrarsi dietro compenso dai vari maestri di scherma e magia nelle città, per apprendere abilità attive o potenziamenti passivi.

Il sistema di magia è sicuramente il fiore all’occhiello del combattimento: ci saranno semplici incantesimi poco potenti da castare utilizzando mana, mentre altri molto più complessi e distruttivi che richiederanno la canalizzazione di numerosi altri incantesimi minori e l’utilizzo di gemme e rune particolari.

 

 

La soddisfazione che però regala Outward, bisogna dirlo, è incomparabile. Vincere un combattimento per il rotto della cuffia, con schivate appesantite da zaini, singoli fendenti mono-animati e fishing estremo dei nemici più pericolosi sarà qualcosa di completamente slegato da punti esperienza e skill overpowered, ma sarà tutto frutto della determinazione e conoscenza del giocatore.

All’inizio sarà molto, molto dura continuare a giocare con queste meccaniche punitive ed intransigente, ma Outward offrirà sempre un modo per superare le avversità e rafforzare il nostro esploratore. Basta non mollare e continuare ad andare avanti con determinazione.

 

E le texture? Le puoi craftare in end-game, se ci arrivi

 

Un bug che sovrappone i punti d’interesse di una località sopra la mappa di un’altra località. Orientarsi in Outward senza una mappa funzionante risulta particolarmente difficile

 

Il punto più basso di tutta la produzione è senza dubbio il comparto tecnico. I ragazzi di Nine Dots Studio hanno utilizzato Unity come motore di gioco, ma non sono stati in grado di creare un’esperienza visiva al pari dell’esperienza ludica.

Texture risalenti ai primi anni duemila, modelli poligonali poco dettagliati, animazioni ed effetti particellari basilari che non aiutano affatto il banale art design di aree e personaggi a brillare di luce propria. Numerosi sono anche i problemi tecnici e bug grafici, alcuni anche abbastanza fastidiosi da rovinare l’esperienza di gioco. Si salva giusto il sistema d’illuminazione in tempo reale, grazie al quale la notte ed il buio di una caverna risultano esser un ostacolo peggiore di nemici mostruosi.

Il comparto audio non è da meno, con effetti sonori scadenti ed un doppiaggio inglese non particolarmente impegnato. Si salvano le musiche, molto evocative seppur non originali e molte delle quali rilassanti e mai stancanti.

Il gioco su PS4 ha inoltre problemi di frame rate, che raggiunge anche picchi di 20 FPS nei combattimenti più concitati. Una chicca aggiuntiva è la modalità a due giocatori locale, con splitscreen integrato su PS4 e PC oltre alla classica modalità cooperativa online. Purtroppo a causa dei server completamente vuoti su PS4 non è stato possibile testare il net-code della modalità multigiocatore

 

In sintesi

 

Come detto in precedenza, Outward non è un titolo per tutti: proibitivo, complesso, richiede i suoi tempi e non tiene affatto per mano il giocatore. Le prime ore saranno un bagno di sangue e frustrazione, ma se riuscirete a far vostro il legnoso sistema di combattimento stile Gothic, le meccaniche da survival e le innumerevoli vie e modi per risolvere i vostri problemi, vi regalerà tanta soddisfazione ed esperienze per molto tempo. Astenetevi se cercate un RPG story-driven, se cercate un’esperienza facile e guidata o se non riuscite a superare il purtroppo poco curato comparto tecnico. 

 

 

 

 

This post was published on 2 Aprile 2019 11:28

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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