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Recensioni

Generation Zero – Recensione (PC)

Avalanche Studios, il team di sviluppo dietro a Just Cause, prova per la prima volta la strada dello sviluppo indipendente rilasciando Generation Zero, un FPS cooperativo con una forte enfasi sulle IA dei nemici robotici ed un’ambientazione cruda e realistica.

I ragazzi di Avalanche sono riusciti a creare un titolo di qualità in questo loro esperimento, oppure le risorse spese nella creazione di un nuovo engine di loro proprietà e la collaborazione con THQ Nordic sono state sprecate? Scopritelo in questa recensione.

Videorecensione Generation Zero

 

Quando Stranger Things incontra quell’episodio in bianco e nero di Black Mirror

 

 

In una time-line alternativa la Svezia, timorosa di un’invasione da parte dell’URSS, organizza un sistema di difesa nazionale attuo a preparare l’intera popolazione alla guerra. Costruisce bunker, addestra i ragazzi e gli studenti ed inizia una massiccia produzione di armi.

Nel 1989, una camerata di studenti di un liceo sparisce nel bel mezzo di una gita in un remoto arcipelago svedese. Il giocatore impersonerà uno di questi studenti che potrà personalizzare con degli abiti che trasudano gli incredibili Anni 80′, e si risveglierà sulla spiaggia dell’isola principale.

Basterà poco per accorgersi che la situazione non quadra: non c’è alcun segno di civiltà umana per chilometri oltre a case, fattorie e veicoli completamente deserti ed abbandonati. In compenso circolano numerose macchine quadrupedi ed antropomorfe molto ostili che ci attaccheranno a vista.

Sarà nostro compito scoprire cosa è successo nell’arcipelago e se tutti questi disordini siano causati da un attacco sovietico, un esperimento finito male oppure qualcosa di molto più grave.

 

 

La premessa, per quanto interessante e ben strutturata, manca di un dato fondamentale: un adeguato supporto e sviluppo della narrativa. Come accade spesso in questi giochi multiplayer open-world, la trama riesce ad avanzare solo tramite una narrazione indiretta che non deve andare ad intaccare il ritmo del gameplay.

Ciò significa che, in un’ambientazione priva di NPC o cutscenes che mandano avanti la storia, le uniche informazioni che possiamo ricavare sono quelle date da registrazioni, documenti e lettere trovati quasi per caso o al termine di una missione, che diluiscono fin troppo gli elementi narrativi generando un interesse piuttosto irrisorio nel giocatore.

Ovviamente le informazioni più dettagliate riguardo gli eventi della storia sono nascoste in zone o legate a missioni molto avanzate e pericolose, ma la sensazione che traspira alla lettura di questi documenti è solamente quella dell’esigenza di creare una sorta di tappa-buchi narrativo al posto di una vera e propria storia. Il metodo di raccolta, collezione e soprattutto fruizione di questi documenti non va a giovare affatto la qualità dell’esperienza. 

 

Il Terminator dei Terminator

 

Pad alla mano, Generation Zero risulta esser un normalissimo FPS con meccaniche di looting, progressione ed abilità da RPG e stealth. Ci saranno lunghe fasi di spostamenti a piedi per la regione svedese, intervallate dai combattimenti coi robot e il completamento di missioni, caratterizzate unicamente dall’andare da un punto A a un punto B o nell’eliminare un determinato numero di nemici.

Il controllo del personaggio risulterà esser legnoso e poco reattivo, anche con un sistema di progressione e sblocco di abilità passive che vanno a migliorare i parametri dei personaggi. Si guadagna davvero troppa poca esperienza per livellare decentemente, e l’unico modo per acquisire abbastanza esperienza è il combattimento a viso aperto coi robot.

Il sistema di stealth di Generation Zero, quindi, è particolarmente buggato e poco funzionale. Saranno molte le volte in cui i nemici vi scopriranno da dietro ripari ed edifici senza che voi muoviate un muscolo, e spesso anche i loro proiettili saranno in grado di trapassare le pareti e ferirvi.  Non c’è neanche un modo furtivo per eliminare i robot, visto che anche sparando attraverso un silenziatore allerterà chiunque si trovi in zona.

 

Nonostante i pochissimi incentivati ad un approccio diretto al combattimento, vi troverete ben presto con le mani legate e sarete costretti a combattere come in un qualunque altro FPS. Ed è qui che l’intero concetto di strategia in tempo reale in cui si basa Generation Zero viene meno: i combattimenti sono piuttosto facili, anche con nemici teoricamente pericolosi. 

Sia in solitaria che in cooperativa bastano pochi colpi ai serbatoi dei robot più piccoli per distruggerli completamente. Per i robot bipedi più grandi e meglio armati c’è solo bisogno di un fuoco concentrato su alcuni dei loro moduli per renderli completamente inoffensivi.

L’intelligenza artificiale dei nemici purtroppo non sembra poi così sviluppata: spesso i robot si incastreranno nel tentativo di azzuffarvi o stanarvi dal vostro riparo, e poiché attaccano mediamente solo uno alla volta risultano esser mediamente pericolosi solo in campo aperto ed in branco.

Discorso analogo per il sistema di loothing che offre ben poco oltre a munizioni, armi, modifiche per armi e oggetti da supporto. La varietà nulla degli oggetti trovabili, nonostante un sistema di rarità come in molti altri RPG, non incentiva per niente il loothing di case e nemici dopo le prime ore di gioco. La gestione dell’inventario è pessima e richiede numerosi passaggi intermedi per selezionare l’oggetto desiderato. Gli stessi robot non rilasciano equipaggiamento interessante al di fuori di altre munizioni, e le tipologie di armi trovabili nelle location interne sono davvero troppo poche.

 

Gli Anni 80′ mostrano i muscoli

 

Dal punto di vista tecnico, invece, Generation Zero è decisamente migliore: considerando che il titolo è quasi al pari di un indie e che gira sul nuovo motore grafico Apex mai sperimentato prima, il risultato è davvero notevole.

Il gioco è quasi completamente esente da caricamenti dopo l’avvio, ed è capace di gestire molti elementi a schermo come numerosi nemici, esplosioni ed effetti particellari senza appesantirsi troppo. Texture e modelli poligonali dei robot sono incredibilmente ben realizzati, mentre lasciano un po’ a desiderare quelli dei giocatori e degli ambienti interni, ripetitivi ed identici tra loro e con zero elementi di interattività. 

Il fiore all’occhiello del motore grafico è senza dubbio la realizzazione di foreste, ambienti esterni ed effetti atmosferici che a tratti risultano esser piuttosto incantevoli, regalando scorci della tundra svedese davvero da cartolina.

 

Sul fronte audio non c’è molto da dire, vista l’assenza di una costante colonna sonora o di effetti sonori particolarmente memorabili. Spari, rumori di vegetazioni e versi metallici dei robot sono all’ordine del giorno, e spesso sovrastano le tracce audio synthwave che partono durante i combattimenti e in alcuni frangenti dell’esplorazione.

Numerosi sono purtroppo i bug, sia dal punto di vista visivo con compenetrazioni poligonali degli elementi dello scenario, sia da quello del gameplay come il già citato sistema di stealth oppure muri e buchi invisibili dai quali non è possibile uscire se non tramite suicidio o disconnessione dal gioco. L’online è invece funzionale ed anche in fase di recensione, prima del rilascio del titolo, non ha procurato alcun tipo di problema di connessione.

 

Considerazioni finali

 

È chiaro che quello dei ragazzi di Avalanche Studios è stato un progetto più ambizioso delle loro risorse e capacità. Generation Zero risulta esser più simile ad un early access con molte potenzialità ed altrettanti problemi, ma è venduto come un gioco completo e a prezzo quasi pieno. Un sistema di gioco basato su shooting, looting e stealth dove solo 1 dei 3 pilastri funziona porta ad una monotonia prevedibile, e nulla può la premessa di una storia interessante ma quasi inesistente nello sconfiggere la noia. Il gioco online rende ovviamente l’esperienza più piacevole e divertente, ma solo se si ha una manciata di amici disponibili ad ignorare gli evidenti difetti del titolo. Ora come ora, Generation Zero non può venir caldamente consigliato a molti, ma siamo del parere che con il giusto supporto e costanti aggiornamenti, forse anche cambiamenti sostanziali alla formula del gameplay, il gioco potrebbe tramutare il suo potenziale in qualità vera e propria. 

 

This post was published on 22 Marzo 2019 16:01

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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