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Recensioni

Recensione Riot: Civil Unrest (Nintendo Switch)

Ad oltre un anno dal rilascio in accesso anticipato su Steam di Riot: Civil Unrest, un progetto tutto italiano di Leonard Menchiari, Merge Games e IV Productions, è in arrivo la versione definitiva del gioco prevista anche per Nintendo Switch e PS4.

Dopo un paio di giorni di prova proprio sulla console Nintendo, siamo pronti a parlarvi dell’effettiva qualità di questo struggente e particolare titolo nostrano, previsto per il 5 Febbraio su PC e 7 Febbraio per le restanti console.

La Violenta Rivoluzione dei Giorni Nostri

 

 

Leonard Menchiari è uno sviluppatore italiano che ha visto in prima persona cosa significhi ritrovarsi nel bel mezzo di una manifestazione per nulla pacifica. Ha assistito a numerosi scontri tra polizia e manifestanti No TAV in Val di Susa, uno dei primi scenari di gioco. È rimasto colpito non tanto dalla violenza specifica di uno dei due schieramenti, ma dalla confusione e paura generale che imperversava sia tra le forze dell’ordine che tra i semplici cittadini. 

Da questa riflessione è nata l’idea di Riot: Civil Unrest, un gioco che possa comunicare quella stessa paura e confusione tipica di chi si ritrova in mezzo ad una rivolta senza sapere cosa fare, se seguire gli ordini, fuggire o menare le mani ingiustificatamente.

All’epoca dell’accesso anticipato questo obiettivo è stato frainteso da molti politici e giornalisti, che in modo più o meno consapevole hanno additato il progetto di Menchiari come una sorta di simulatore di violenza gratuita. Fortunatamente Leonard è riuscito più volte a rispondere in modo chiaro e conciso a queste accuse, valorizzando il vero scopo di Riot, ovvero la creazione di un punto di vista diverso, più diretto e divulgativo, di quello che succede dentro alle manifestazioni moderne, spesso filtrate molto grossolanamente dai media.

 

Tutto il Mondo è Paese (in rivolta)

 

 

Riot: Civil Unrest presenta subito con un menù minimale e dallo stile pixel art graffiante le sue modalità di gioco:

  • Modalità Global: un’enorme campagna con livelli di difficoltà crescente da affrontare schierandosi con le forze dell’ordine oppure con i manifestanti. Superando i livelli sbloccheremo numerosi equipaggiamenti per fronteggiare al meglio lo schieramento avversario. Dovremo tener conto anche di come affrontare lo stage, poiché le nostre azioni ed il nostro approccio determineranno l’opinione pubblica, che potrebbe fornirci dei bonus o malus al punteggio per il livello successivo.
  • Modalità Campagna: quattro campagne composte da quattro o cinque livelli ciascuna, ognuna concentrata su alcune delle manifestazioni più importanti e violente di questo decennio. Ogni livello di ogni campagna sarà giocabile sia dalla parte dei Rioters che da quella della Polizia, e potremo modificare l’equipaggiamento delle nostre unità per adattarlo al nostro stile di gioco.
  • Modalità Versus: una semplice modalità multigiocatore in locale che ci permetterà di scendere in uno qualsiasi degli scenari della Modalità Global e “lottare” contro un nostro amico.

 

 

Lo scopo di ogni livello è semplice: far vincere il proprio schieramento annientando quello avversario. Per farlo dovremmo risolvere un obiettivo specifico in un determinato lasso di tempo: con le Forze dell’Ordine dovremo ad esempio sgomberare una piazza, distruggere delle tende o semplicemente sedare una rivolta; obiettivi simili si avranno con i Manifestanti, caratterizzati da tattiche più difensive su alcuni livelli, specialmente all’inizio, mentre molto più aggressive e pericolose sugli stage più avanzati.

L’obiettivo non è però una condizione obbligatoria per la vittoria. Uno schieramento può, ad esempio, perdere lo scontro “diretto”, ma ottenere una vittoria politica qualora un nostro membro sia stato mal menato o peggio ucciso e non ci sia stata alcun tipo di vendetta o ritorsione da parte nostra.

Sotto questo aspetto, il titolo rispecchia fedelmente quell’intenzione di raccontare il mondo delle proteste (in)civili nel modo più oggettivo e distaccato possibile. La grafica minimalista e quasi caotica delle battaglie accentua ancor di più quel senso di terrore che potrebbe cogliere ognuno di noi, trascinato dalla foga di una rivoluzione.

 

Dalle Parole ai Fatti

 

 

Quando si tratta di passare alla realizzazione del concetto di rivolta, Riot: Civil Unrest inizia a scoprire i propri altarini. A livello di gameplay il titolo è un RTS a visuale statica con lo schieramento della Polizia a destra e quello dei Rioters sulla sinistra. A seconda dello stage avremo diverse unità da controllare e che potremo passare in selezione tramite la pressione dei dorsali dei Joycon. Utilizzeremo la levetta analogica per direzionare il cammino dell’unità, le frecce direzionali per le formazioni o il cambio di equipaggiamento al volo ed i tasti frontali per le sue abilità. Ogni unità della polizia avrà equipaggiamento ed abilità diverse a seconda della classe, mentre i manifestanti avranno caratteristiche e skills più simili tra di loro ma verranno influenzati dai loro “Leader“, manifestanti speciali con varie statistiche e strategie.

Le Forze dell’Ordine risultano, in questo caso, un pelo più divertenti da giocare per via della loro suddivisione in classi e libertà d’azione più ampia. I Rioters, invece, oltre alla creazione di barriere umane o il lancio e l’utilizzo di varie tipologie di oggetti di distrazione, non sembrano non avere molte altre strategie. Inoltre, nonostante gli scenari di gioco siano molto diversificati tra loro, si sente l’arrivo di una certa ripetitività di fondo dopo alcuni stage.

Lottare per la Libertà non è una cosa Semplice

 

 

I difetti più grandi di Riot: Civil Unrest per Switch sono senza dubbio difetti di livello tecnico.

Abbiamo quello più importante di tutti, ovvero il sistema di controllo. Selezionare le nostre truppe unicamente tramite i dorsali nel mezzo della mischia è decisamente scomodo. Inoltre, il cursore che appare alla selezione delle abilità non è sempre preciso ed affidabile come vorremmo, e spesso si rischia di tirare un fumogeno da tutt’altra parte o formare una barricata dietro alla Polizia. Si sente molto la mancanza di un vero e proprio cursore che renda più facile selezionare ed indirizzare meglio le unità.

Problemi molto più gravi sono invece quelli relativi al pathfinding delle unità, spesso privo di senso. È molto facile che quest’ultime s’incastrino tra ostacoli o che peggio ancora perdano la propria formazione, costringendo l’IA del battaglione a tornare indietro e riformare le righe.

Alcune abilità ed oggetti non funzionano affatto quando vengono attivati, mentre altri hanno una probabilità di non funzionare. La meccanica dell’arresto inoltre, che obbliga la Polizia a muoversi assieme agli arrestati a scomparire nella parte destra dello schermo, diventa inutilizzabile assieme al pathfinding delle unità, che il più delle volte rimarranno bloccate.

 

 

Oltre a questi ostacoli legati al gameplay abbiamo altri problemi di natura grafica, come un framerate ballerino sia in modalità Dock che in modalità Handle, caricamenti e schermate con scritte sovrapposte tra loro ed alcuni crash del gioco.

Probabilmente i difetti grafici verranno corretti con qualche patch dopo la release del titolo, ma la struttura del gameplay mina di molto il controllo che il giocatore può avere sulle truppe e sulla situazione, essenziale per la buona riuscita di un RTS. C’è anche da tener conto che il team di sviluppo di Merge Games è ancora piccolo ed inesperto, e l’ambizioso progetto di Leonard Menchiari poteva venir realizzato in maniera ben peggiore.

 

In Sintesi

Riot: Civil Unrest è decisamente un titolo accattivante e dal grande impegno sociale e divulgativo. Ricrea perfettamente le sensazioni di caos e paura che possono nascere all’interno di due schieramenti opposti durante una rivolta o una manifestazione, e riesce ad essere anche completamente apolitico. Lo stile grafico in pixel-art minimale e privo di dettagli accentua ancor di più il concetto di uguaglianza tra Forze dell’Ordine e Rioters, esseri umani con le stesse paure e desideri. Il gameplay però non riesce a realizzare pienamente quest’idea, a causa di diversi problemi tecnici e di un sistema di controllo inadatto, poco reattivo e spesso influenzato fin troppo dal caso. Consigliamo l’acquisto a chi è disposto a sorvolare tali difetti per ottenere una nuova visione delle manifestazioni moderne e per riflettere su come e perché una manifestazione possa sfociare in una rivolta violenta.

 

This post was published on 2 Febbraio 2019 12:00

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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