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Recensioni

Vane | Recensione (PS4)

Vane è un videogioco indie che ricalca le orme di titoli più noti, in cui seguiamo il cammino di giovani e misteriosi avventurieri alla ricerca di qualcosa in un viaggio introspettivo e intimo. Sin dalle prime immagini e dai primi trailer, Vane è stato accostato a Journey, uno dei giochi migliori a trattare questa tematica. Eppure, le fonti di ispirazione non si fermano qui, anzi, si fanno man mano più ambiziose e mirano a vette molto difficili da raggiungere: Vane ha molto in comune, o almeno vorrebbe averlo, con le creazioni di Fumito Ueda, prima fra tutte Ico.

Le motivazioni di questa vicinanza vanno cercate nel team di sviluppo, Friend & Foe, che nonostante sia molto piccolo, annovera tra le proprie fila alcuni ex membri del Team Ico. Saranno riusciti a infondere la loro esperienza in Vane? Scopriamolo in questa recensione.

Vane | Il corvo e la bambina

Come spesso accade in titoli di questo tipo, la trama è particolarmente criptica e ci farà capire qualcosa solo durante le battute finali o neanche in quelle. Il gioco inizia senza una cutscene, senza un preambolo e senza un tutorial: siamo una figura incappucciata, forse una donna, che protegge con il proprio corpo un oggetto misterioso in uno scenario surreale e apocalittico. Arrivati presso una struttura irreale, veniamo accolti da un personaggio inquietante  e dalla silhouette insolitamente allungata.

A questo punto, parte una nuova sequenza, completante diversa per ambientazione e atmosfera. Ora siamo un uccello, un corvo dalle piume lucenti, che vola libero guardando dall’alto un’intera distesa desertica e pietrosa. Attraversiamo una grotta e qui, venuti a contatto con una strana pozza dorata, ci trasformiamo in una figura umana, una bambina. Inizia il viaggio vero e proprio in cui saremo chiamati a visitare vecchie rovine e risolvere enigmi per mettere insieme i pezzi di un puzzle complicatissimo da comprendere.

La trama, come avete intuito, ci dirà davvero poco e lascerà a noi il compito di svelarla pian piano, con ritmi volutamente lenti e distensivi. La domanda, però, sorge spontanea: c’è davvero bisogno di creare storie in cui siamo, il più delle volte, esclusi e gettati in un mondo sconosciuto senza avere il benché minimo sentore di ciò che sta avvenendo? Come vedrete, non è questo il vero problema di Vane, un titolo con un’atmosfera davvero molto evocativa e, ci dispiace dover sempre ripetere questa parola quando di parla di indie, poetica.

Un’atmosfera che ci lascia dietro qualche dubbio.

Atmosfera che si perde nel deserto

Sì, l’atmosfera del gioco è senza dubbio un punto forte di Vane, ma qualcosa è andato storto. Nel videogioco di Friend & Foe, i ritmi sono molto più lenti e compassati rispetto ai titoli del suo stesso genere e, considerando che di solito questi non sono certamente votati all’azione, ma alla contemplazione, potete immaginare quanto sia riflessivo Vane. Troppo. Il problema principale è che la progressione di gioco si perde in se stessa, volendo imitare titoli come Journey e Ico, ma ampliandone la struttura in modo fin troppo temerario.

Quando saremo nei “panni” del volatile dovremo aggirarci in volo intorno a scenari molto ampi e tristemente vuoti, cosa che risulta senza dubbio evocativa, grazie a un buon sonoro che sa sfruttare anche i lunghi silenzi, ma alla lunga frustrante, perché questa vacuità scenografica si ripercuote anche sui contenuti.

Vane è un gioco di esplorazione e risoluzione di enigmi: la prima è affidata al corvo che ha il compito di scoprire i luoghi interattivi e in cui c’è qualcosa da fare, mentre gli enigmi sono, il più delle volte, affare della bambina protagonista, la quale può saltare e spingere oggetti. Gli enigmi di Vane sono semplici, ma il vero dilemma del gioco è: dove sono gli enigmi? Vi renderete conto dopo pochi minuti di gioco che il vero enigma di Vane è capire cosa fare e comprendere dove si celino i misteri di un mondo vasto e dispersivo.

La bellezza di Journey stava, tra le altre cose, nella sua struttura fintamente smisurata. Giocando a Journey ci si sentiva davvero persi in un mondo magico e troppo grande per noi, ma, pad alla mano, non ci si perdeva mai, grazie a un level design lineare che simulava ampiezza.

Se Vane fosse stato “ristretto” sarebbe risultato più godibile, perché spesso l’atmosfera si perde nella frustrazione di dover cercare qualcosa da fare. Sappiamo benissimo, ovviamente, che l’obiettivo fosse proprio quello di generare meraviglia, stupore e disorientamento, ma ci chiediamo, ancora una volta, se ci sia bisogno, negli indie, di proporre sempre questa formula.

Tecnicamente da rivedere

Dal punto di vista tecnico, le ambientazioni sono belle da vedere al primo impatto, ma tendono a diventare noiose dopo un po’ che siamo in giro a sbattere le ali. Dinanzi a noi, la landa desertica presenta sprazzi di verde con pacifiche oasi, canyon profondissimi, grotte inesplorate al cui interno possiamo trovare strutture arcane, sulle formazioni rocciose più alte non è raro trovare installazioni metalliche simili ad antenne con scopi più disparati.

Possiamo dire che, stilisticamente, Vane è un buonissimo prodotto, ma anche questo aspetto viene un po’ rovinato da problemi tecnici abbastanza fastidiosi. Tra questi ci sono le compenetrazioni che sono un vero pugno nell’occhio nel 2019, a queste aggiungiamo un difetto grafico che si presenta quando ci si avvicina troppo a una superficie. Le rocce tendono a diventare trasparenti quando ci attacchiamo a esse, provocando anche un giro a 180 gradi della telecamera.

La telecamera, altro punto dolente di Vane. La gestione della visuale è tragicomica in molte circostanze, nei panni della bambina, e non sarà raro cadere da sporgenze molto sottili o non vedere minimamente una zona sopraelevata a causa di una telecamera che va un po’ dove gli pare.

Commento finale

Vane è un videogioco con delle ottime premesse e con fonti di ispirazione di grande valore. Forse proprio questo ha creato problemi agli sviluppatori: Vane è ambizioso, voleva ampliare la struttura di un titolo come Journey e riprendere i canoni dei titoli di Fumito Ueda, ma non è riuscito appieno nel suo intento. Un gioco meno dispersivo, più chiaro nella progressione avrebbe ottenuto risultati migliori. Anche tecnicamente ci sono errori fin troppo grossolani per considerarlo un vero erede dei titoli a cui Vane vuole fare riferimento. 

This post was published on 17 Gennaio 2019 13:43

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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