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Just Cause 4 | Recensione PS4

Rico Rodriguez torna a far danni ed entra letteralmente nell’occhio del ciclone. Pubblicato da Square Enix e sviluppato da Avalanche Studios, Just Cause 4 promette di essere un enorme parco giochi esplosivo come da tradizione. Il progetto è, stando alle parole degli stessi sviluppatori, più ambizioso dei capitoli precedenti: Avalanche ha infatti esternato l’intenzione di creare il “miglior open world di sempre“. Ci sarà riuscita? Vediamo insieme in questa recensione.

Abbiamo provato la versione per Playstation 4.

Just Cause 4: Rico Rodriguez sempre in mezzo ai guai

Rico Rodriguez ormai non lavora più per l’Agenzia e torna a Solis, un’estesa isola del Sud America, per indagare sul Progetto Illapa. Sulla regione si stanno abbattendo tornado e tempeste dalla potenza catastrofica e la colpa di questo cambiamento climatico sembra portare proprio la firma del Progetto Illapa.

Può un’arma cambiare, a piacimento di chi la possiede, il clima facendo nevicare quando non dovrebbe o scatenando forti tempeste di sabbia? A quanto pare, il controllo atmosferico è una realtà contro cui Rico dovrà lottare. Non basta.

Secondo le sue fonti, al progetto avrebbe lavorato anche suo padre, Miguel Rodriguez, uno scienziato. Rico dovrà anche farsi largo tra gli uomini della milizia della Mano Nera, organizzazione che ben conosciamo dai precedenti capitoli.

La storia non è mai stata il punto forte di Just Cause, un mero pretesto per inviare Rico Rodriguez in qualche isola  del Mediterraneo – Medici – o in stati del sud est asiatico vessati da un dittatore, per fare più casino possibile e mandare in aria i piani di loschi figuri. Anche in Just Cause 4 non manca il cattivone di turno, tal Espinosa che non aggiunge o toglie nulla alla trama del gioco, che rimane abbastanza piatta, nonostante l’aggiunta della questione padre/figlio.

Nulla di che dal punto di vista emotivo. Siamo abituati a slanci narrativi ben migliori. Non è dalla trama che si giudica un Just Cause, ma dal gameplay adrenalinico e frenetico, marchio di fabbrica di Avalanche Studios. Ebbene, vediamo allora come si comporta Just Cause 4 sotto questo punto di vista.

Just Cause 4: più grande è sempre meglio?

La sensazione è che si stia facendo a gara a chi fa l’open world più grande e tentacolare. Ma più grande è davvero meglio? Partiamo dalle basi: Just Cause 4 mette a disposizione una mappa molto grande, quella di Solis, divisa in regioni. Attraversare i vari biomi da cui è composta Solis non è certo un problema considerato l’elevato numero di veicoli disponibili e i gadget che Rico potrà usare fin dai primi minuti di gioco. Da questo punto di vista, la progressione di gioco ci mostra fin da subito le intenzioni di Just Cause: farci fare tutto subito, senza il bisogno di sbloccare rampini e tute alari. È già tutto nostro.

Solis può essere attraversata in orizzontale e in verticale grazie a automobili, veicoli su due ruote, elicotteri, aerei caccia militari, motoscafi, carri armati. Rico ha con sé poi un rampino che gli permette di agganciarsi a qualsiasi superficie in modo da ridurre le distanze dall’obiettivo sia in linea retta sia puntando verso l’alto. Le scalate saranno praticamente all’ordine del giorno e il lancio del rampino diventerà un’abitudine tanto da far diventare il tasto L1 quello principale, anche rispetto ai grilletti dorsali che servono alle sparatorie.

Il rampino può essere poi usato in abbinamento con il paracadute, facendoci prendere quota quando abbiamo bisogno della vista aerea. C’è poi la tuta alare, il gadget più divertente: con essa diventiamo dei provetti scoiattoli volanti, possiamo planare o buttarci in picchiata per poi aprire il paracadute e atterrare. Altra aggiunta che vediamo già dai primi minuti è una sorta di sistema Fulton, ispirato a The Phantom Pain. Lanciato il rampino, possiamo con una seconda pressione far apparire dei palloni in grado di sollevare eventuali ostacoli.

Le missioni invece portano il giocatore a compiere ciò che la serie perpetua da anni: fare danni e scatenare il caos. La Mano Nera ha varie strutture che controllano la regioni di Solis, nostro biettivo è far saltare tutto, sempre, in qualsiasi modo. Le varie operazioni sul campo vedono Rico alle prese con camion da scortare, ostaggi da liberare da strutture di rieducazione, dati da recuperare da una scatola nera, varie console da hackerare per scoprire informazioni. In linea di massima, le attività proposte, prese da sole, potrebbero anche divertire, ma sono inserite in un sistema di progressione paradossalmente lento e stantio.

Nel 2019 – ormai ci siamo –  dopo aver visto ben altri esempi di progressione, vedere una saga, ormai da ritenersi storica, come Just Cause, ancorata a certe meccaniche fa cadere un po’ le braccia.

Anche un parco giochi può stancare

Tutto bello e divertentissimo? Insomma. Il problema è che tutte queste possibilità sembrano gettate nella mischia apposta per nascondere una magagna del gameplay: in Just Cause 4 ci sono tante cose da fare, ma ripetute all’infinito e spalmate su una mappa che diventa un contenitore fin troppo spazioso. La problematica fondamentale risiede nel fatto che la progressione di gioco ripete in loop un cliché che poteva andare bene fino a dieci anni fa.

C’è una missione da sbloccare –> Aumenta la barra del caos facendo esplodere tutto –> Conquista la regione –> Ora la missione è sbloccata –> Ripeti tutto.

Le missioni secondarie non sono davvero tali, perché non farle significa non sbloccare le missioni principali, le quali sono pochissime e anche abbastanza semplici. Ora, è giusto che uno sviluppatore voglia che un giocatore faccia tutto e scopra tutto, ma non sarebbe più logico sviluppare un maggior numero di missioni principali, senza obbligare il giocatore a compiere azioni che da sole non hanno alcuna utilità intrinseca?

La progressione di gioco, in Just Cause 4, non è naturale, sa di artificiale da un chilometro. Questa è la mappa, in giro ci sono missioni in cui puoi far esplodere tutto, vedi tu cosa vuoi fare e noi ce ne laviamo le mani. Non ci sembra un bel modo di intendere la libertà d’azione.

Un lato tecnico che inficia il gameplay

Ricordiamo che questa recensione si basa sulla versione per PS4. Ebbene, dal punto di vista tecnico, abbiamo assistito a un bel salto carpiato all’indietro rispetto a Just Cause 3. Nel complesso, il gioco mostra scenari e ambienti che sembrano usciti dalla vecchia generazione di console. La piante sanno di finto, di oggetti ornamentali in plastica, l’illuminazione è pessima e rende tutto lucido – ad un certo punto abbiamo pensato che Rico si fosse ossigenato i capelli, la resa dell’acqua è terribile e alcune tipologie di terreno hanno così poche texture che sembrano prese da giochi per PS2.

Il gioco gira fluido, i movimenti di Rico sembrano meglio implementati rispetto al terzo capitolo, le fasi più concitate reggono bene… e adesso sappiamo perché. Il downgrade grafico è palese e offre una panoramica generale da mani nei capelli.

Perché diciamo che il lato tecnico inficia il gameplay? La bassa risoluzione spesso non ci ha permesso di vedere i nemici più lontani, quando andiamo in picchiata con la tuta alare o sfrecciamo su un’automobile agganciata col rampino il motion blur è fastidiosissimo, tanto da portare quasi alla nausea. Quando gironzoliamo per la mappa attaccati al paracadute, la mappa di gioco carica lo scenario sotto di noi e davanti ai nostri occhi andando a generare pop-up che pensavamo non esistessero più.

Tutto questo rovina l’esperienza perché i difetti grafici rendono ingiocabili alcune fasi. Immaginate ora di dover progredire nella storia come abbiamo descritto sopra, dovendo fare lo slalom tra pop-up, blur nauseabondo e modelli poligonali da licenza elementare per almeno 20 ore (questa è la longevità di Just Cause 4). No, a noi un’esperienza del genere non soddisfa.

Dal punto di vista del sonoro non c’è molto da segnalare, buone musiche, buoni effetti sonori, doppiaggio nella norma, ma niente di eclatante che possa passare alla storia.

Commento finale

Just Cause 4 è un parco giochi esplosivo, ma rischia di far annoiare ben prima dell’orario di chiusura. La progressione di gioco è legata ancora alle meccaniche mutuate dalla serie più di dieci anni fa. Le attività che compongono le 20 ore di gioco sono divertenti, ma inserite in questo sistema non funzionano più. Just Cause 4 è il regno del caos, dell’esplosione fine a se stessa e permette di esplorare una mappa molto grande con tanti veicoli e tanti gadget a disposizione. Ma non può bastare. Il lato tecnico su console è davvero scadente, tanto da inficiare anche il gameplay.

This post was published on 7 Dicembre 2018 22:36

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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