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Recensioni

Fist of the North Star: Lost Paradise – Recensione (PS4)

Il team Yakuza ha confezionato un titolo che riparte dalle meccaniche della sua serie più famosa, inserendole in un contesto che conosciamo bene, grazie alla nostra infanzia passata davanti alla tv: l’universo di Ken il Guerriero. I videogiochi tratti dal manga e/o dall’anime  non sono sempre stati all’altezza dell’opera originale, ma stavolta qualcosa sembra essere cambiato.

L’enorme esperienza maturata nella serie Yakuza avrà favorito la creazione di un prodotto di qualità e all’altezza delle aspettative? In questa recensione di Fist of the North Star: Lost Paradise cerchiamo di rispondere alla domanda senza farci accecare troppo dalla nostra passione per le tecniche di combattimento di Kenshiro e per i titoli con protagonista il Drago di Dojima, Kazuma Kiryu.

Mai, mai scorderai l’attimo, la terra che tremò

La trama che ci vede protagonisti in Lost Paradise è inedita e non riprende una stagione specifica dell’anime o la serie di manga. Nel prologo, vediamo Kenshiro intento a raggiungere la cima più alta di una torre per affrontare Shin in un combattimento all’ultimo sangue, reo di aver portato via Yuria (o Julia come la conosciamo in Italia). La donna non è lì. Ken comincia un viaggio nelle Wasteland per ricongiungersi con l’amata.

Camminiamo per le terre desolate, assetati e stanchi. Raggiungiamo un villaggio, uno degli ultimi sussulti di civiltà in un mondo devastato dalla guerra nucleare. Qui, dopo essere stati rifocillati e rimessi in sesto, veniamo a sapere che nelle Wasteland esiste un luogo, una sorta di paradiso perduto, dove potremo continuare la nostra ricerca di Yuria: si tratta di Eden, la Città dei Miracoli.

Raggiunto il posto, ci renderemo conto che non sarà facile entrarvi e ottenere la fiducia degli abitanti. Faremo la conoscenza di Xsana, l’imperatrice di Eden, che ha chiuso le porte della città per paura degli attacchi dell’Army of Ruin, e di Jagre, il capo dei guardiani, diffidente sulla nostra presenza lì. La storia si dipanerà capitolo dopo capitolo facendoci incontrare personaggi sia inediti sia iconici della saga. Non vogliamo rovinarvi la sorpresa, ma sappiate che molti personaggi che amiamo di Ken il Guerriero sono presenti anche in Lost Paradise.

Va riconosciuto che non siamo di fronte a una trama eccezionale come siamo stati abituati con la serie Yakuza. Si nota che il team di sviluppo abbia voluto puntare maggiormente sui personaggi, sul contesto generale piuttosto che su una storia che rimanesse negli annali. Inoltre, va evidenziata la notevole differenza di toni con cui viene portata avanti la vicenda. Nell’anime e nel manga, l’atmosfera ha dei connotati molto cupi, invece nel videogioco questi vengono sostituiti spesso da uno stile narrativo più scanzonato, ripreso direttamente da Yakuza, con personaggi che parlano e si muovono in modi che ai puristi potrebbero sembrare fuori posto.

Ken, sei tu, fantastico guerriero

Il gameplay di Fist of the North Star: Lost Paradise ha molte meccaniche in comune con quelle di Yakuza, cosa che non rappresenta affatto un problema, anzi. Muoviamo i nostri passi nella città di Eden, liberamente esplorabile, intenti a risolvere missioni principali e non a suon di pugni. Il combat system è stato rivisto per immergere il giocatore pienamente nell’universo narrativo di Ken il Guerriero. Attacchi “leggeri” e pesanti rimangono la base, mentre con il tasto cerchio non si effettua la consueta presa, ma si dà inizio alla meccanica di combattimento più bella da vedere, più divertente e, ovviamente, più in linea con il contesto: le tecniche di Hokuto Shinken.

Premendo al momento giusto il tasto cerchio, Ken effettuerà una delle tantissime tecniche della scuola di Hokuto dalle conseguenze terribili per i nemici. Il fantastico guerriero, colpendo i punti di pressione, distrugge dall’interno il corpo dell’avversario, il quale esplode in un mare di sangue. Ogni tecnica portata a termine con successo viene descritta su schermo ed evidenziata da una voce narrante con tanto di animazione che mostra la terribile fine del nemico. Tutto molto spettacolare, anche se, quando i nemici sono davvero tanti, può risultare un po’ sfiancante dover aspettare che la scenetta finisca prima di riprendere a combattere.

Le tecniche non sono tutte disponibili dall’inizio, ma vanno sbloccate spendendo gli “orbs” che si raccolgono dopo un combattimento. Questi sono di colori diversi e vanno a sbloccare, nell’apposito menu, varie statistiche. Il personaggio è così personalizzabile e potenziabile: possiamo aumentare l’efficacia degli attacchi, quella della difesa o sbloccare nuove combo. Inoltre, è presente, come in un gioco di ruolo, il level up del personaggio. Anche Ken, come Kazuma, può entrare in burst mode, ma non si tratta più della Heat mode di Yakuza, ma della Seven Star Gauge, rappresentata appunto dalle sette stelle dell’Orsa Maggiore.

La meccanica che differenzia maggiormente Lost Paradise da Yakuza è la possibilità di guidare veicoli. Un solo veicolo, a dire il vero, ma che può essere customizzato a nostro piacimento trovando i pezzi adatti, dal motore alle ruote. Il buggy a nostra disposizione può portarci in giro per le Wasteland dove possiamo incontrare feccia da malmenare o raccogliere risorse per il crafting. Sì, c’è anche il crafting. Questo serve alla creazione di talismani in un apposito store di Eden City. I talismani hanno vari effetti: aumento dell’attacco, aumento della difesa, riduzione del tempo di ricarica della burst mode. Per quanto riguarda la guida, non aspettatevi la profondità di Mad Max o di Rage, ma tutto sommato è un buon modo per diversificare il gameplay. Possiamo anche intraprendere delle gare di difficoltà crescente.

Come abbiamo accennato poco fa, l’atmosfera generale è meno cupa e così anche i compiti secondari di riflesso lo sono. Potremo distrarci diventando bounty killer, cioè eliminando la feccia più pericolosa della città – è anche il modo più veloce per fare soldi – oppure lavorando come bartender con tanto di minigioco alcolico. Anche in Lost Paradise torna il Casino e, come in Yakuza, potremo gestirlo. Insomma, vedremo un Kenshiro vestire panni che mai avremo immaginato su di lui. Nel gioco sono presenti anche ottanta substories che aumentano di molto la longevità del gioco. Non siamo ai livelli di Yakuza, ma per la quest principale ci vorranno comunque almeno 15 ore di gioco, tempo che aumenta anche a 20/25 con le missioni secondarie.

La sensazione generale è che comunque ci siano meno cose da fare rispetto a un qualunque gioco della serie Yakuza.

Sei l’energia, l’azzurra magia

Dal punto di vista grafico, la scelta di usare il cel shading ci appare sensata. Forse molti avrebbero voluto vedere un cambio di rotta, considerando che viene usato quasi sempre questo stile nei videogiochi di Ken il Guerriero. A noi non è affatto dispiaciuta la scelta e non pretendevamo assolutamente il fotorealismo. Dal punto di vista stilistico, ovviamente, non pensiate di ritrovarvi nella sfavillante e lussuriosa Kamurocho. Eden City è una città ricostruita dalle macerie della civiltà in rovina.

La popolazione sta provando a rialzarsi, quindi, la sera sarà possibile comunque vedere insegne luminose di bar, night club e del Casino, ma niente a che vedere con Sotenbori e con il quartiere a luci rosse di Tokyo. La sensazione di decadimento post apocalittico è resa abbastanza bene, anche se le sezioni a bordo della buggy in giro per le Wasteland non ci hanno convinto più di tanto. La zona è scarna e non dà particolari motivi per uscire dalle mura cittadine.

Per quanto riguarda i modelli dei nemici, sono fedeli a quelli dell’anime, con omaccioni muscolosissimi in maniera smisurata – o spropositatamente ciccioni – vestiti con armature di fortuna e tamarre e i capelli colorati. Questi, però, sono davvero tutti uguali, c’è pochissima varietà con bande piene zeppe di teppisti con lo stesso volto.

Dal punto di vista del sonoro, abbiamo buone musiche, ottimi effetti sonori durante i combattimenti e le animazioni delle tecniche di Hokuto, doppiaggio in inglese o in giapponese. I sottotitoli sono in inglese. La localizzazione italiana, come di consueto, non è stata contemplata dal team di sviluppo.

Fist of the North Star: Lost Paradise è un videogioco di buona qualità che, forse, avrebbe potuto e dovuto discostarsi un po’ di più da Yakuza, soprattutto dal punto di vista narrativo e di progressione nella storia. I toni cupi dell’anime e del manga sono stati soppiantati da un’atmosfera più canzonatoria. Il combat system è divertente, ben strutturato e offre ciò che tutti gli appassionati di Ken il Guerriero vogliono: massacrare i nemici usando le tecniche della scuola di Hokuto. La storia è inedita, ma siamo molto lontani dalla qualità eccezionale della serie Yakuza. La longevità è soddisfacente e graficamente il lavoro svolto è nel complesso di buona fattura. L’esperienza generale risulta piacevole.

This post was published on 1 Ottobre 2018 15:30

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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