Questa sembra essere proprio la settimana dell’horror. Dopo avervi raccontato del mito di Slenderman e le origini di questo genere con Silent Hill, abbiamo avuto modo di provare il nuovo frutto delle fatiche della casa Supermassive Games: The Inpatient. Questo racconto, ambientato nell’universo narrativo di Until Dawn e pensato per la periferica di realtà virtuale della PS4, non ci ha solo stupito per qualità e realizzazione, ma è riuscito anche a convincerci delle enormi potenzialità del VR per quanto riguarda il genere dei survival horror. Ecco il racconto della nostra prova.
“Salve, sa dirmi chi è lei e dove si trova?”. Sono queste le prime parole che ci vengono rivolte all’inizio della nostra avventura in questo The Inpatient. Il punto però è che, come il protagonista affetto da amnesia temporanea del famoso film di Nolan “Memento“, nemmeno noi abbiamo idea di chi siamo o cosa ci facciamo legati ad una sedia a rotelle. Il primo impatto con il tetro sanatorio di Blackwood Pines è tutt’altro che rassicurante. Durante il tragitto dalla stanza in cui eravamo alla nostra “camera” (che sarebbe meglio chiamare cella) avremo modo di familiarizzare con la struttura e i suoi occupanti, guardandoci attorno nei lunghi corridoi anni ’50.
I comandi sono molto semplici e avremo modo di provarli in un breve tutorial. Con il visore possiamo guardarci attorno ed orientarci a 360°, mentre con i due controller MOVE avremo l’uso delle mani. Il tasto T serve per afferrare gli oggetti, mentre con il pad centrale del controller destro centreremo lo sguardo nella direzione in cui siamo orientati. Per camminare dobbiamo tenere premuto il pad del controller sinistro. Una delle prime “regole” è che non possiamo camminare lateralmente o indietro. Qualsiasi spostamento viene effettuato camminando in avanti e sposando la visuale di volta in volta. Questo semplice espediente sembra essere stato messo a punto per limitare il fastidio da motion sickness.
Dopo un breve giretto nella nostra stanza, utile sopratutto a farci sbirciare la data sul calendario (siamo nel Febbraio del 1952) avremo modo di fare conoscenza con uno degli espedienti narrativi di questa avventura, i flashback. Determinati oggetti faranno infatti fluire in noi dei ricordi che man mano andranno a costruire la nostra storia. Ovviamente, saltando alcuni oggetti avremo meno pezzi su cui basare la nostra ricostruzione.
Come se l’amnesia non fosse abbastanza, appena chiuderemo gli occhi per riposarci la struttura calerà in uno spettrale stato onirico. Ci troveremo a vagare fuori dalla nostra cella, tra tetri corridoi e strani animali, corna, grida e diaboliche visioni. In questa fase si percepisce tutta la potenza del VR e verremo gettati quasi immediatamente in uno stato di costante panico e paura.
Come per gli altri titoli survival della Supermassive, anche questo The Inpatient ruota attorno al cosidetto “effetto farfalla“. Una minuscola decisione presa in un singolo momento può avere effetti in tutt’altra parte della storia. Dare una determinata risposta o scegliere una strada al posto di un’altra ci conduce a rami di narrazione completamente diversi. A seconda di come decideremo di comportarci i personaggi avranno verso di noi atteggiamenti diametralmente opposti, aprendoci o precludendoci determinati scenari.
Vi basti sapere che la prima volta che ho finito il titolo, la trama non mi è stata chiara per niente. Ho dovuto rigiocarlo da capo e provare altre scelte per trovare nuovi elementi e vivere un’avventura totalmente diversa. Ogni volta che metteremo mano al titolo, scopriremo qualcosa che prima non avevamo scoperto, aggiungendo di volta in volta un tassello. Questo sicuramente aumenta la fruibilità di una storia che, di base, si attesta sulle 4 o 5 ore di gioco.
La forza di questo titolo è sicuramente nelle curatissime ambientazioni, nell’opprimente senso di instabilità e terrore in cui veniamo gettati fin dalle prime fasi e nella riuscita caratterizzazione, anche facciale, dei personaggi che avremo modo di incontrare nel sanatorio. Vivremo nel costante dubbio del non sapere di chi possiamo fidarci e tutto questo mi ha richiamato alla mente la trama di un certo “Shutter Island”.
Per una componente emotiva e psicologica portata ai massimi livelli, bisogna dire però che questo The Inpatient manca invece di una reale dose di azione. Non avremo infatti alcuna arma contro i pericoli che ci circondano. Non potremo correre, ma solo camminare in giro alla ricerca di risposte e salvezza. Saremo sempre nel costante terrore di incappare in qualche pericolo ma con l’impressione di essere quasi “guidati” su un binario narrativo che lascia poco alla libertà individuale se non nei bivi. Spaventi ed elementi horror però non mancano e la tensione è ben costruita sfruttando le ovvie potenzialità della realtà virtuale.
Tecnicamente parlando, il lavoro fatto su questo gioco è impeccabile. La grafica, ad oggi, è la migliore vista su un titolo per il VR. Le ambientazioni, sempre chiuse e claustrofobiche, sono curate in modo maniacale. Anche la realizzazione dei volti dei personaggi è degna di nota. Il sonoro (fondamentale in un titolo horror) contribuisce a creare un’atmosfera che è il vero punto di forza di tutto il prodotto.
Un’altra peculiarità è la possibilità di utilizzare i comandi vocali. Quando uno dei personaggi ci porrà una domanda, per rispondere ci basterà leggere ad alta voce una risposta, rendendo il tutto ancor più immersivo. Il titolo poi è stato completamente localizzato in italiano, altro punto a suo favore.
Nonostante questo sia uno degli esperimenti per VR più riusciti, non è esente da difetti. Il sistema di puntamento non è sempre perfetto e capita di avere problemi anche nel compiere operazioni abbastanza semplici come afferrare oggetti o attraversare porte. Il senso di nausea causato dal motion sickness è, per nostra fortuna, molto ridotto. Da questo punto di vista l’impossibilità di correre e la scelta di poter camminare solo in avanti lo hanno eliminato quasi del tutto.
Un altro elemento non banale è rappresentato dalla complessità della trama. Per chi non ha giocato ad Until Dawn, è quasi impossibile trovare un filo logico nella narrazione. Benché la storia sia un capitolo a parte, è evidente come i richiami e rimandi all’altro titolo siano continui e quasi necessari per comprendere a pieno quello che sta accadendo nel sanatorio. Il consiglio, se possibile, è quello di cimentarsi in questa avventura dopo aver completato l’altra, anche se restano due prodotti differenti e giocabili in modo indipendente.
The Inpatient, ad oggi, è forse il gioco per VR più riuscito e completo per PS4. Il costante senso di oppressione e incubo, unito ad una realizzazione tecnica di prim’ordine ci proiettano in un mondo nel quale nulla è come sembra. Gli elementi horror si sposano alla perfezione con una periferica in grado di regalare emozioni e spaventi molto reali. I lievi difetti di controllo e una scelta di base atta a minimizzare gli effetti del motion sickness non inficiano un’esperienza che, seppur breve, pretende di essere giocata più e più volte per cogliere tutte le sfumature di una trama che risulta essere tutt’altro che banale.
Versione provata su PS4 VR, grazie alla copia omaggio per la stampa fornita dalla Sony Interactive Entertainment Europe
This post was published on 23 Gennaio 2018 6:01
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