Recensione di Gianluca “Dottor Killex” Arena
Tra tanti sparatutto che ci concentrano sul multiplayer, proponendo campagne brevissime e spesso insulse, ci sono prodotti, come il recente reboot di Doom, i due Wolfenstein e Shadow Warrior che hanno concentrato i propri sforzi sulle rispettive modalità per giocatore singolo, proponendo al pubblico esperienze qualitativamente notevoli e portatrici di un gameplay “vecchia scuola”, con nemici quanto mai arrembanti e ritmi di gioco molto elevati.
Dopo il buon riscontro, tanto di critica quanto di pubblico, ottenuto su PC qualche mese fa, ecco giungere anche su console Shadow Warrior 2, che abbiamo recensito per voi nella versione Xbox One.
Demoni invasori
Chi ha giocato al reboot di questa storica serie, datato 2013, saprà benissimo cosa aspettarsi da Shadow Warrior 2, tra battute al limite della decenza, volgarità assortite e continui riferimenti all’organo sessuale maschile: parliamo di una serie che ignora completamente il significato delle parole “politically correct”, e non esita a proporre una comicità da taverna come raramente abbiamo visto nelle ultime stagioni videoludiche.
Tra una parolaccia e un’esclamazione particolarmente colorita, Lo Wang, il protagonista, è costretto a prendere in carico un lavoro alquanto gravoso: recuperare il corpo della giovane Kamiko, figlia di un boss della yakuza, che, quando iniziano le vicende del gioco, è posseduto da un demone fuori controllo, evocato durante un esperimento scientifico che, come spesso capita, non ha dato gli esiti sperati.
L’incentivo è di quelli altamente motivanti: non avendo un corpo, l’anima e la coscienza della ragazza prendono temporanea residenza in quello di Lo Wang, che quindi sente nella sua testa anche la voce di Kamiko, con la quale inscena dei siparietti gustosissimi, frutto di non poche risate in diversi punti dell’avventura.
I motivi per cui, oltre ad ondate di demoni vomitate dall’inferno, si debbano affrontare anche umani, nemici meccanizzati, esponenti della mafia e alterazioni genetiche di varia natura sono risibili, come il tono della narrazione e la gran parte dei dialoghi: Shadow Warrior 2 non si prende mai sul serio, e riesce a coinvolgere il giocatore meno schizzinoso in un turbinio di situazioni paradossali, umorismo di bassa lega ed improperi irripetibili.
Ecco che, allora, accettare missioni da una discinta diavolessa diventa presto la norma, come l’affrontare demoni che fanno riferimenti sessuali quanto (se non più) dello sboccato protagonista: coloro i quali cercano profondità narrativa o una campagna che abbia un capo ed una coda, probabilmente non le troveranno qui, ma saremmo degli ipocriti a non ammettere che il becero umorismo di Lo Wang e compagnia ci abbia fatto sorridere in più di un’occasione.
Cambio di registro
A seconda che si sia giocato il primo episodio o la versione PC di questo sequel, le aspettative cambiano radicalmente: rispetto al predecessore, che ha rilanciato il franchise, Shadow Warrior 2 è un prodotto più ampio, che concede estrema libertà tanto nel livello di personalizzazione quanto nel ritmo da imporre all’avanzamento lungo la campagna principale, che può essere inframezzata da decine di missioni secondarie se non messa del tutto da parte.
Questo perché, a differenza del titolo del 2013, il team di sviluppo non si è limitato a proporre una campagna in single player lineare e concisa, ma ha pensato di trasformare la struttura di gioco in qualcosa di più simile ad un Rage o ad un Borderlands qualsiasi, con un hub centrale a cui tornare tra una missione e l’altra e nel quale accettare una serie di missioni non strettamente legate all’arco narrativo principale.
Questa scelta di game design, oltre a diluire l’esperienza di gioco e ad aumentare drasticamente la longevità complessiva, colora il titolo di venature da gioco di ruolo in prima persona, con la variante del combattimento corpo a corpo, la possibilità di inserire fino a tre modificatori negli slot per le armi e una quantità abnorme di loot da rinvenire.
Purtroppo, essendo il team comunque indipendente, quest’abbondanza non è a buon mercato, ma arriva al prezzo della varietà (delle missioni stesse, dei nemici, finanche dei livelli, che pure sono generati in maniera randomica) e della cura per i dettagli, come appare evidente da hitbox a tratti un po’ approssimative e da un’intelligenza artificiale nemica aggressiva ma raramente capace di attuare strategie degne di questo nome.
Le frecce all’arco di Shadow Warrior 2, comunque, sono numerose: dalla grandissima varietà di armi di tutti i tipi ai poteri da ninja, passando per incantesimi che utilizzano il Chi, ovvero il corrispondente del mana del nostro eroe, è possibile approcciare le violente sparatorie in moltissime maniere differenti.
La nostra preferita, quando la tipologia di nemico ce l’ha permessa, è stata quella di fiaccare i gruppi da lontano, utilizzando prevalentemente fucili di precisione e lanciagranate, per poi arrivare a corto raggio, sfoderare la katana (o la motosega, o un’accetta) e finirli nella maniera più sanguinolenta possibile, ma questa è soltanto una delle molte opzioni possibili.
A tutto questo si aggiunge una cooperativa online piagata da diversi problemi nel netcode (anche se l’abbiamo testata nelle ore precedenti il lancio ed in quelle immediatamente successive), una dose di violenza digitale che farebbe impallidire molti film horror degli anni ’80 e un’eccellente mobilità del protagonista, capace di salti incredibili, schivate laterali fulminee e di correre a perdifiato senza limiti.
Peccato, come vedremo nel paragrafo successivo, che tutta questa frenesia venga mortificata dal dimezzamento del frame rate rispetto alla controparte PC.
Punti di vista
Shadow Warrior 2 delude dal punto di vista tecnico se comparato con la versione PC, ma, tutto sommato, riesce a soddisfare se preso in sé: il frame rate è dimezzato rispetto alla versione uscita l’anno scorso, e passa a trenta fps, e questa diminuzione di ritmo influisce sul gameplay.
Il titolo Flying Wild Hog è infatti un prodotto che fa della frenesia e del ritmo indiavolato due caratteristiche imprescindibili, ed entrambi questi elementi, in questa versione console, risultano decisamente meno preponderanti: su Xbox One, la versione da noi testata per questa recensione, abbiamo intravisto, peraltro, qualche rallentamento in più rispetto alla controparte PS4, oltre ad una risoluzione di 900p contro il full HD assicurato dalla macchina Sony.
Chiudono il cerchio la mancanza di supporto per l’opzione HDR, che su Xbox One S avrebbe reso più definiti e puliti i colori, e la presenza diffusa di texture in bassa risoluzione, che, in alcuni frangenti, intaccano volti e particolari durante i filmati con grafica in-game.
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, la fluidità, pur dimezzata rispetto alla versione PC, mantiene sempre un livello ben più che accettabile: i rallentamenti di cui sopra sono sporadici e mai troppo invasivi, e non ledono la godibilità del titolo, che per la maggior parte del tempo riesce, grazie al calo a 30 fps, a gestire con disinvoltura la grande mole di nemici a schermo e i numerosi effetti speciali tra esplosioni, smembramenti e mosse speciali.
Insomma, il lavoro svolto dal team polacco è a due facce: la versione Xbox One è la più debole delle tre attualmente sul mercato, e non regge minimamente il paragone con quella PC, che rimane quindi decisamente preferibile; d’altro canto, la scelta di bloccare il frame rate a trenta frame per secondo consente all’ammiraglia Microsoft di gestire abbastanza agilmente anche passaggi in cui, a 60 fps, avrebbe sofferto enormemente.
Se il bicchiere sia mezzo vuoto o meno, saranno i nostri lettori a deciderlo: noi ci limitiamo a dire che, non avendo il termine di paragone, Shadow Warrior 2 su Xbox One si difende benone, ma risulta comunque rimaneggiato (e non poco) rispetto alla controparte per PC.
Commento finale
Nonostante ci troviamo di fronte ad una versione castrata e meno rapida di quella uscita per PC durante lo scorso autunno, Shadow Warrior 2 rimane uno sparatutto in prima persona frenetico e adrenalinico, indicato per tutti coloro che hanno amato il primo episodio o il recente reboot di Doom.
Cionondimeno, dispiace che questo porting per l’ammiraglia Microsoft sia il peggiore del lotto, con framerate bloccato a trenta frame per secondo e una risoluzione di soli 900p: se avete modo di recuperare l’ultimo lavoro dei ragazzi di Flying Wild Hog su PC, quella rimane senza dubbio la versione di riferimento, altrimenti, a patto di non pretendere un comparto grafico da urlo, questa potrebbe soddisfarvi, grazie ad un gameplay approfondito rispetto al prequel e ad un notevole livello di personalizzazione del personaggio.