Operation Babel New Tokyo Legacy – Recensione

Articolo a cura di Gianluca “DottorKillex” Arena

Tra i pochissimi a credere ancora nelle potenzialità di Playstation Vita, gioiellino incompreso di casa Sony, c’è NIS America, che non manca mai di localizzare prodotti dal sapore tipicamente giapponese e proporli al pubblico occidentale, con fortune alterne ma l’innegabile merito di proporre qualcosa di diverso rispetto alla massa. Operation Babel New Tokyo Legacy si inquadra perfettamente in questo filone di prodotti: seguito diretto di un titolo uscito su Vita nel 2015 e poi portato anche su PC, si tratta di un dungeon crawler vecchia scuola, duro e complesso. Lo abbiamo recensito per voi.

Altro che Nazioni Unite

La storia dietro Operation Babel è inizialmente di quelle piuttosto sbrigative, e, contrariamente a moltissimi prodotti giapponesi contemporanei, non si parla troppo addosso, quantomeno nella prima parte dell’avventura: al giocatore viene dato un assaggio di una delle battaglie combattute dal comandante Alice Mifune, conclusasi con una sfolgorante vittoria, e poi, senza troppi preamboli, lo si getta nel bel mezzo dell’azione. In una Tokyo non troppo diversa da quella attuale (ormai location preferita della stragrande maggioranza dei prodotti provenienti dal Sol Levante), il nostro alter ego si risveglia per le strade di Ginza, devastate da fiamme ed esplosioni portate da un mostro a tre teste, che, affrontato da una ragazza in età scolare, decide di darsi alla fuga. Si scoprirà poi che questa ragazza è una studentessa di una scuola solo all’apparenza come tutte le altre, nei cui sotterranei il preside comanda una speciale task force di giovani prodigi, coadiuvato dalla prof di matematica e da altre figure del corpo docente. Inutile dire che l’avatar del giocatore è risultato idoneo ai test fisici ed è portatore di geni particolari, che gli consentono (a sua insaputa) di combattere minacce extraterrestri e demoniache. Nel cielo della capitale giapponese è apparso uno strano oggetto non identificato, enorme nelle dimensioni e decisamente minaccioso nelle apparenze: di comune accordo con le Nazioni Unite, la crema dell’organizzazione di cui sopra, che si chiama Xth Squad, è stata inviata a New York per contrastare la minaccia, e quindi un gran numero di nuove reclute è necessario per rimpiazzare i combattenti partiti. La missione è chiara, e di vitale importanza per il genere umano: infiltrarsi nell’oggetto non identificato e capire se costituisce o meno una minaccia per la Terra, e, nel qual caso, sbaragliare qualsiasi ostile. Dopo una prima, fisiologica fase di apprendistato, il ruolo dell’alter ego del giocatore sarà ovviamente centrale, anche se il plot, appesantito da un gran numero di dialoghi, perde presto di mordente, limitandosi al ruolo di pretesto per giustificare le numerose sortite all’interno dei dungeon lungo i quali si dipanerà la corposa avventura principale, completabile in un tempo compreso tra le quaranta e le cinquanta ore.

La nicchia della nicchia

L’ossatura ludica di Operation Babel è praticamente identica a quella del suo predecessore, e, come tale, estremamente classica: con una visuale in prima persona, il giocatore è chiamato ad esplorare una serie di labirinti pieni di nemici, con un party che consta di un massimo di sei personaggi, divisi su due file, e con i combattimenti che avvengono a turni. Questa struttura ha resistito bene allo scorrere del tempo, se si pensa che i primi esponenti di questo sottogenere dei giochi di ruolo hanno una trentina d’anni abbondanti, ma il prezzo da pagare, dapprima per limitazioni tecnologiche e oggi per scelte di game design, è in termini di spettacolarità e di varietà delle dinamiche di gioco. L’ultima fatica dei ragazzi di Experience, già autori di alcuni tra i migliori esponenti del genere nella libreria di PlaystationVita, cerca di distinguersi soprattutto per due sistemi all’opera, anche se svolge un pessimo lavoro nell’introdurli ai giocatori: il primo è chiamato Blood Codes System, il secondo Rise and Drop. Il primo consente di selezionare due classi differenti in fase di creazione dei membri del party, che potranno essere editati da zero o scelti tra quelli “preconfezionati” disponibili ad inizio avventura: in caso si opti per una classe secondaria in aggiunta a quella primaria, si potrà godere di skill e abilità passive aggiuntive, ma al prezzo di un maggiore quantitativo di punti esperienza necessari per passare di livello. Il secondo, invece, ben congegnato solo sulla carta, aumenta progressivamente il livello dei nemici di vittoria in vittoria: ad ogni incontro, quindi, ci si troverà dinanzi a sfide sempre più impegnative, ricompensate da loot di alto livello. L’unico modo per interrompere questa spirale è fuggire da uno scontro, azione che resetta il contatore del Rise and Drop e riporta la difficoltà ad un livello più accettabile, soprattutto per i neofiti. Se, sulla carta, questi due sistemi sembrano funzionare egregiamente, in pratica le cose vanno spesso diversamente: il Blood Code System rende la prima decina abbondante di ore di gioco decisamente in salita, con il rischio di scoraggiare i giocatori meno avvezzi al genere, per poi produrre delle vere e proprie macchine da guerra durante la seconda metà dell’avventura, sbilanciando la difficoltà generale. Gli effetti del Rise and Drop sono anche più deleteri, se possibile, per due motivi: per salire di livello è necessario tornare alla base, con una scelta di game design assurda, che si traduce nell’impossibilità di utilizzare equipaggiamento utile all’avanzamento quando lo si rinviene perché esso richiede un livello minimo non ancora raggiunto. Secondariamente, la frequenza con cui i nemici portano a segno colpi critici, soprattutto nelle fasi avanzate dell’avventura, rende a volte ingiuste e frustranti le fasi di combattimento, aumentando le probabilità di perdere ore di progressi in seguito a un colpo mancato e ad un critico subito. Anche in seguito ad un’attenta pianificazione e ad una gestione minuziosa del party e dell’equipaggiamento, quindi, il gioco restituisce tropo spesso la sensazione di essere comunque in mano all’aleatorietà, un elemento che non dovrebbe essere così pregnante in un prodotto di questo tipo.

Come tanti altri

Considerando il modesto budget a disposizione e l’agguerrita concorrenza sulla piattaforma portatile Sony, un vero e proprio paradiso per gli amanti dei dungeon crawler in prima persona, Operation Babel avrebbe dovuto fare molto di più dal punto di vista del character design per distinguersi dalla massa, nel tentativo di destare l’interesse degli appassionati del genere. Invece il prodotto pubblicato da NIS si limita al compitino, poggiandosi su personaggi stereotipati e assai poco accattivanti, visti e rivisti in centinaia di produzioni similari, a partire dal primo episodio della serie: difficilmente al giocatore rimarranno impressi la personalità o l’aspetto di uno di essi, e questo non aiuta né ad immedesimarsi nelle vicende narrate né ad affezionarsi agli attori principali, tutti sostituibili sulla lunga distanza. Non che gli artwork e il lavoro grafico siano inguardabili, sia chiaro, ma, semplicemente, non spiccano per alcuna caratteristica unica o particolare, rientrando nella media senza infamia né lode. Discorso analogo per l’accompagnamento sonoro, alquanto impalpabile, ma non per la quantità di contenuti, fortunatamente, visto che Operation Babel può tenere impegnati per almeno una cinquantina scarsa di ore, valore non da poco considerando i tempi che corrono e la durata media di molti prodotti pubblicati recentemente.

Commento finale

Ci sono dungeon crawler di gran lunga migliori di Operation Babel, anche solo limitando l’analisi alla libreria di PlaystationVita, eppure l’ultima fatica di Experience potrebbe regalare numerose ore di sfida agli appassionati più oltranzisti di questo sottogenere ruolistico, al di là di un paio di incomprensibili scelte di game design e di una trama che stenta a decollare per gran parte dell’avventura. Prendetene in considerazione l’acquisto solamente se appartenete alla ristretta nicchia di coloro che hanno già completato prodotti come Stranger of Sword City, Demon gaze e Ray Gigant.