Recensione di Gianluca “DottorKillex” Arena
Nel marasma di remake e remaster di titoli usciti solo un paio d’anni prima, i giocatori rischiano di fare di tutta l’erba un fascio, perdendosi opere meritevoli, condotte in porto con amore, rispetto del materiale di partenza e grande cura per i dettagli, anche a fronte di budget assai limitati.
La descrizione si adatta perfettamente a Wonder Boy: The Dragon’s Trap, remake di un fortunatissimo platform d’azione originariamente uscito su Sega Master System, sul quale chi scrive ha passato decine di pomeriggi, consumando i polpastrelli per una giusta causa.
Sviluppato essenzialmente da un duo di programmatori francesi (i Lizardcube) e pubblicato da DotEmu, che di recente ha regalato Ys Origin alla platea PS4, sbarca oggi su Xbox One, Switch e sull’ammiraglia Sony.
Abbiamo recensito per voi proprio quest’ultima versione.
Memorie dorate si affollano nella mente al solo nominare Wonder Boy III The Dragon’s Trap, uno degli action platform che hanno segnato la nostra infanzia e l’epoca d’oro delle console ad otto bit, da cui l’industria videoludica attinge a piene mani anche a distanza di quasi tre decenni.
Il titolo in questione era motivo di vanto e di orgoglio per tutti i possessori di Sega Master System, schiacciati dall’enorme popolarità del NES ma fieri di una console che seppe ospitare titoli di grandissima qualità, e che, sotto tanti punti di vista, dalla potenza bruta alle conversioni arcade, sorpassava il ben più illustre predecessore.
Proprio quando i fan della serie avevano perso le speranze, tra licenze scadute e polvere accumulatasi sull’immagine del franchise, ecco che un piccolo studio francese, i già citati Lizardcube, annunciava un remake di Wonder Boy The Dragon’s Trap, denunciando amore viscerale per la creatura di Nishizawa, peraltro invitato a più riprese negli studi dello sviluppatore per supervisionare i lavori.
Ed eccoci qui, come se un trentennio non fosse passato, a saltellare da una splendida grafica cartoon a quella originale ad otto bit alla semplice pressione di un tasto, con la possibilità di salvare i progressi utilizzando le password come nel titolo originale, con una buona traduzione italiana dei testi e una colonna sonora riarrangiata, che esalta le sonorità di quella originale.
Per la cronaca, l’esile traccia narrativa è rimasta invariata, come anche altri aspetti della produzione, le cui dinamiche di gioco non richiedevano modifiche radicali o sconvolgimenti, come vedremo.
Ancora una volta, il giocatore vestirà i panni dell’eroe senza nome, che, sconfitto Meka-Dragon all’interno del suo castello, lo vedrà scagliargli addosso una potente maledizione in punto di morte, a causa della quale si tramuterà in un bizzarro lucertolone umanoide, che, a sua volta, acquisirà l’abilità di trasformarsi in altre forme, utili ad avanzare durante l’avventura, completabile in quattro o cinque ore circa.
Partendo da un hub centrale, il giocatore potrà accedere a diverse aree tematiche, ognuna dotata di nemici e sfide specifiche, tutte affrontabili nell’ordine preferito, con una buona dose di backtracking a condire il tutto: se l’orribile (ma efficace) neologismo “metroidvania” vi ronza per la testa, siete sulla strada giusta.
Come dice un vecchi adagio, se non è rotto non c’è alcun bisogno di aggiustarlo.
I ragazzi di Lizardcube, grandi fan dell’originale, lo sanno bene, e non hanno minimamente alterato gli equilibri ludici di Wonder Boy The Dragon’s Trap, aggiungendo solamente la possibilità di scegliere tra tre differenti livelli di difficoltà e una protagonista femminile, che si rivela, però, essere poco più di un palette-swap in omaggio alle videogiocatrici.
L’avanzamento lungo i livelli di gioco, allora, è ancora cadenzato da un misto di semplici combattimenti (semplici per le meccaniche, non certo in senso assoluto…) e fasi platform, che però, come nel titolo del 1989, risultano leggermente penalizzate da una certa inerzia del protagonista, che ricorda un po’ il modo in cui si controllava Luigi negli ultimi episodi bidimensionali di Super Mario.
Giunti alla fine di ogni livello, ci si dovrà confrontare con uno dei draghi guardiani, ognuno dei quali, alla morte, lascerà in eredità una delle cinque trasformazioni possibili, ognuna delle quali porta in dote nuove modi di affrontare il gioco: l’uomo-pesce può respirare sott’acqua, l’uomo-topo cammina senza difficoltà su pareti e soffitti, l’uomo-uccello può librarsi in volo e così via.
Al prezzo di un piccolo sforzo mnemonico, necessario per ricordarsi in quali punti si sono incontrati dei blocchi invalicabili, al giocatore si apriranno, progressivamente, porzioni sempre maggiori della mappa di gioco, alcune necessarie per il proseguimento dell’avventura, altre opzionali, all’interno delle quali sono contenuti tesori e nemici nascosti.
La produzione, infatti, si fregia anche di piccoli elementi ruolistici, che vanno dalla gestione dell’equipaggiamento del prode eroe, acquistabile in appositi negozi, alla possibilità di ampliare il numero di cuori (e quindi, come Link insegna, di colpi assorbibili) con il progredire.
A conti fatti, nessuno degli ingredienti sopravanza gli altri, e Wonder Boy The Dragon’s Trap non eccelle in nessuno di essi, se analizzati singolarmente: detto delle fasi platform, gli elementi da gioco di ruolo sono molto timidi, e, boss a parte, al livello di difficoltà standard non si suderà poi troppo.
Eppure, pad alla mano, appare evidente come il risultato sia di gran lunga maggiore della somma degli ingredienti, come per un dolce ben fatto, e la progressione risulta assai varia e piacevole, impreziosita dai classici momenti “a-ha!” quando si visita un livello di cui si pensava di sapere tutto, che invece nasconde sorprese anche alla terza o quarta passata.
La semplicità delle meccaniche di gioco rende anche questa versione di Wonder Boy The Dragon’s Trap molto appetibile tanto ai neofiti, che potranno così scoprire un classico senza tempo, quanto ai nostalgici, che rivivranno sensazioni mai dimenticate e potranno sentirsi di nuovo adolescenti alla semplice pressione di un tasto.
A fronte di una sfida dalle mille incognite, ovvero ricreare da zero un set di animazioni e praticamente l’intero comparto grafico del titolo senza discostarsi troppo dall’amatissimo originale, i ragazzi di Lizardcube hanno fatto un lavoro eccellente, cogliendo in pieno l’essenza di Wonder Boy e traslandola in alta definizione.
Il risultato è un titolo bellissimo da vedere, che trabocca di piccoli dettagli qua e là, che non lascia al caso nessun frame di animazione, proprio come una nipotina che somiglia ad una nonna ma, nel contempo, ne affina i tratti così da risultare ancora più graziosa nel complesso.
Il consiglio, per i giocatori più giovani, è di mantenere lo splendido stile grafico in HD, mentre per i più stagionati è di alternare lo stile moderno a quello classico, pixelloso e nostalgico, ogni volta che si torna in un livello già visitato, così da apprezzare al meglio il lavoro della piccola software house d’oltralpe.
Per quanto la sua parte fosse più agevole rispetto a chi si è occupato della grafica, Michael Geyre ha aggiunto un tocco personale ad una colonna sonora che era già indelebilmente stampata in un angolo della nostra mente, remixando pezzi storici, aggiungendo sottofondi delicati ad alcuni stage e rielaborando il sound design più in generale.
Se già quanto detto fin qui sarebbe più che sufficiente per consigliare l’acquisto del titolo, il fatto che sia proposto a meno di venti euro (indipendentemente dalla piattaforma di riferimento) lo rende ancora più allettante.
Lo abbiamo già scritto su queste pagine e non ci stancheremo mai di farlo: i remake non sono il male dell’industria videoludica se realizzati con amore e rispetto per il materiale originale.
Wonder Boy The Dragon’s Trap rappresenta un altro, perfetto esempio di quanto appena scritto: sviluppato da grandi fan del titolo di Nishizawa-san, che hanno scelto di esaltarne le qualità intrinseche e vi hanno aggiunto una presentazione adeguata ai tempi che viviamo, si candida ad essere l’acquisto perfetto non solo per tutti coloro che sono cresciuti con il Master System, ma anche per i più giovani tra gli amanti dei platform d’azione.
Se cercate un metroidvania semplice da approcciare ma mai banale nelle sue dinamiche, con una cosmesi che cattura l’occhio, potreste aver trovato il gioco che fa per voi.
This post was published on 19 Aprile 2017 11:53
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