Recensione di Gianluca “DottorKillex” Arena
Bigger, bolder and better sono le tre parole d’ordine quando si progetta un sequel che sia di un film o, come nel nostro caso, di un videogioco: quando una formula funziona, il seguito diretto difficilmente si prende la responsabilità di stravolgerne le meccaniche, finendo piuttosto con il riproporre i punti forti della produzione e, se possibile, ampliarli.
Sotto molti punti di vista, Toukiden 2 applica alla perfezione il mantra sopracitato, ma non manca, stante l’ossatura del prequel, di infondere una buona quantità di novità, la più eclatante delle quali è sicuramente rappresentata dal passaggio ad un (quasi) open world.
Andiamo allora a vedere se e come gli elementi nuovi si innestano nel gameplay del titolo Koei Tecmo.
Demoni come se piovesse
Il livello narrativo dei titoli appartenenti al sottogenere dei cosiddetti hunting game non è mai stato particolarmente elevato: se Capcom con Monster Hunter ha iniziato a dare qualche segnale di preoccuparsene solamente negli ultimi due capitoli usciti, a memoria i soli Freedom Wars e God Eater hanno tentato qualcosa di un po’ più ambizioso sotto questo aspetto.
Toukiden 2, avendo alzato l’asticella con l’implementazione di un mondo aperto e liberamente esplorabile, non poteva che migliorare anche questo aspetto, puntando sullo stesso universo narrativo dei due capitoli precedenti ma offrendo un punto di vista differente.
E difatti, sebbene affidandosi a cliché ormai abusatissimi (dall’amnesia dell’eroe principale alla discontinuità spazio-temporale), il comparto narrativo di questo seguito si dimostra maggiormente articolato rispetto a quanto visto finora, mettendo il giocatore nei panni di un eroe della prima ora, inghiottito da un demone di grandi dimensioni durante la prima battaglia tra l’umanità e la minaccia proveniente dagli inferi, ribattezzata Awakening.
Al suo risveglio, il nostro si ritrova in un villaggio sconosciuto, situato agli antipodi di quello in cui stava combattendo solo pochi istanti prima, solo per scoprire che sono passati ben dieci anni da quella battaglia, e che l’umanità l’ha persa: il mondo di Nakatsu Kuni è adesso avvolto nei miasmi infernali, e i demoni sono a capo della catena alimentare, con l’uomo ridotto a vivere in cattività.
Nel tentativo di recuperare brandelli di memoria e ricacciare i demoni da dove sono venuti, il nostro si arruola nella sezione locale degli Slayer, umani capaci di uccidere i demoni, ed inizia un percorso che lo porterà a legarsi alla comunità e, contemporaneamente, ad aiutare il Professore (un’eccentrica ricercatrice che lo ha ricondotto al villaggio dopo averlo rinvenuto svenuto nei campi) ad affinare le sue ricerche tecnologiche, una delle poche frecce rimaste nell’arco della razza umana.
Senza scomodare paragoni improponibili, l’intreccio funziona, impreziosito da un gran numero di linee di testo doppiate in lingua originale, e contribuisce a contestualizzare le decine di missioni che si intraprenderanno prima di veder scorrere i crediti finali.
Senza catene
Nonostante il combat system sia rimasto pressoché immutato, il che non rappresenta una cattiva notizia in sé visti i buoni risultati raggiunti da Kiwami da questo punto di vista, per il resto Koei Tecmo non ha avuto un approccio conservativo alla sua creatura, visto che ha trasformato un hunting game basato su mappe in un gioco di ruolo d’azione open world, con tutto ciò che ne consegue.
Adesso, al giocatore, che pure può accedere a missioni identiche a quelle che hanno caratterizzato i primi due episodi, con limiti di tempo e una mappa circoscritta, è concesso di varcare le soglie del villaggio che funge da hub per avventurarsi nel mondo di gioco liberamente, esplorando la mappa alla ricerca di collezionabili, affrontando missioni secondarie elargite da diversi NPC o imbattendosi in eventi istanziati, in cui aiutare altri Slayer in difficoltà.
Sebbene il mondo di gioco non possa vantare le dimensioni e la densità di quelli di titoli molto più blasonati, sostiene bene la nuova struttura di gioco, complice il fatto che il team di sviluppo, nel tentativo di non disorientare eccessivamente i giocatori, ha ideato un sistema di scoperta progressiva della mappa, limitando inizialmente l’accesso a determinate zone, invase dai mefitici miasmi infernali.
Ora dopo ora, il giocatore purificherà determinate aree, sconfiggendo Oni di grosse dimensioni al loro interno e chiudendo varchi con la dimensione infernale, rendendole così liberamente esplorabili e attivando, nel processo, un punto di viaggio rapido, indispensabile per non appesantire le fasi esplorative.
Si procede, così, gradualmente, prolungando il piacere della scoperta e l’incontro con nuove tipologie di nemici ben oltre la prima ventina di ore di gioco.
Nel suo girovagare, il party si imbatterà in nemici in tempo reale, visibili sulla mappa, che spawnano ad intervalli regolari, alcuni in maniera fissa, altri in maniera casuale: questo genera un flusso continuo di brevi combattimenti alternati a sfide con demoni imponenti, capaci di portare via anche venti minuti abbondanti, durante i quali ulteriori nemici possono unirsi alla battaglia, aumentando un livello di difficoltà leggermente più accondiscendente che in passato, quantomeno nella prima parte.
Il gioco, in compenso, si dimostra ancora più profondo dei due predecessori, se è vero che consta di un gran numero di sistemi e sottosistemi: è possibile inviare droidi robotici perché ricerchino materiali per il crafting di nuovo equipaggiamento, allevare e portare in battaglia dei Tenko, esseri simili a volpi, cimentarsi in fasi di alchimia che sembrano una versione impoverita di quelle viste nella serie Atelier di Gust, cibarsi delle leccornie di Kuon, la cuoca del villaggio, per godere di buff temporanei e tanto altro ancora.
L’altra aggiunta di un certo peso è rappresentata dalla Demon Hand, una sorta di mano demoniaca richiamabile alla pressione del grilletto destro durante i combattimenti.
Questa feature ha una duplice funzione: la prima è che puntandola contro una parte del corpo dei mostri più grossi, consente di lanciarsi su di essi, aggiungendo dinamismo e spettacolarità agli scontri contro le bestie più imponenti.
In aggiunta, al riempimento di una barra sulla sinistra della schermata, che tiene conto tanto dei colpi inflitti quanto di quelli subiti, la Demon Hand può essere usata come un’arma, visto che è capace di amputare in un sol colpo uno degli arti degli Oni (anche dei più grossi), rivelandosi letale e oltremodo utile, visto che tranciare tutte le parti del corpo dei mostri rappresenta la via più rapida verso un consistente miglioramento dell’equipaggiamento del proprio eroe.
Due generazioni a confronto
Alla stregua di tutti i titoli sviluppati contemporaneamente per piattaforme della differenti capacità, in questo caso ben tre visto che nel paese del Sol Levante è stata distribuita anche la versione PS3, Toukiden 2 non brilla per qualità tecniche, il che, comunque, non vuol dire che sia brutto da vedere.
Se, infatti, la conta poligonale, gli effetti e le texture superficiali sembrano risentire dello sviluppo contemporaneo su piattaforme meno potenti, non mancano colpi d’occhio gradevoli e scorci da cartolina, a condizione che non si pretenda di paragonarli a prodotti recenti del calibro di Horizon Zero Dawn, giusto per citare un altro esponente a metà tra action in terza persona e gioco di ruolo.
In particolare, abbiamo apprezzato il design dei demoni, migliorato rispetto a quello, già buono, visto nelle due precedenti iterazioni, la stabilità del framerate, solidissimo anche nei momenti più concitati, nonostante il test sia stato svolto su una PS4 normale e non Pro, e la vastità della linea dell’orizzonte, impensabile se pensiamo alle aree limitate di Kiwami.
Nonostante sia possibile giocare in multiplayer con gli utenti PSVita e trasportare il salvataggio da una console all’altra, oltre che dalla demo e dal succitato Kiwami, non è presente l’opzione cross buy, ed è quindi necessario acquistare entrambe le versioni per quanti volessero continuare la loro avventura senza soluzione di continuità tra salotto e console portatile.
Non ci sentiamo, però, di penalizzare eccessivamente questa scelta per due motivi: è coerente con il passato recente della compagnia (anche se si è sempre in tempo per cambiare, cara Tecmo Koei) e il titolo tenta di farsi perdonare portando in dote un’enorme mole di contenuti, soprattutto per il single player ma anche per il multigiocatore, che assicura una longevità fuori parametro se rapportata ai due precedenti episodi, che pure non lesinavano da questo punto di vista.
Commento finale
Toukiden 2 non ha fatto il passo più lungo della gamba, riuscendo ad evolversi in un open world ricco di contenuti, passando quindi dall’essere un buon hunting game basato su mappe abbastanza limitate ad un’ottima scelta per coloro che hanno già spolpato i rappresentanti più illustri del genere (in ultimo lo splendido Horizon) e che siano alla ricerca di qualcosa di differente (e di meno ambizioso, bene sottolinearlo).
Ci sono delle imperfezioni legate principalmente alla presentazione, alla varietà delle quest secondarie e al riciclo piuttosto abbondante di mostri e situazioni ludiche rispetto al passato, ma il lavoro svolto da Omega Force è comunque degno di essere preso in considerazione da tutti gli utenti Playstation 4 e Vita, soprattutto grazie al buon combat system e all’enorme quantità di contenuti.