Recensione di Gianluca “DottorKillex” Arena
Quando si parla di giochi di ruolo di matrice giapponese, nel Sol Levante solamente Dragon Quest e Final Fantasy possono fregiarsi di vantare un seguito maggiore della serie Tales of di Namco Bandai: numeri alla mano, parliamo di uno dei brand di maggior successo degli ultimi vent’anni, che ha mantenuto un livello qualitativo medio molto alto, a prescindere dalle varie piattaforme che ne hanno ospitato i vari episodi.
Forse anche per questo Tales of Zestiria era piaciuto ma senza scaldare più di tanto i cuori degli appassionati: nonostante lo sviluppo sia partito anche in questo caso su PS3, Tales of Berseria giunge a raddrizzare decisamente il tiro, proponendo tematiche ed intrecci rivolti ad un pubblico apparentemente più maturo, corredati da una serie di meccaniche rodate sebbene già viste.
Questi gli ingredienti: vediamo insieme com’è venuto il cocktail finale.
Vendetta, tremenda vendetta
Tales of Berseria è una mela dello stesso cesto di Zestiria, ma ha un sapore completamente diverso: se il titolo uscito nel 2015 metteva il giocatore nei panni del salvatore dell’umanità, un eroe senza macchia che combatteva strenuamente la malvagità, quest’ultima fatica di Namco Bandai lo pone invece negli assai più scomodi panni di Velvet Crow, una ragazza che ha perso tutto e intende vendicarsi della persona che ritiene responsabile delle sue innumerevoli sventure.
Dopo un prologo in cui ci viene mostrato uno spaccato della vita quotidiana di Velvet, suo fratello minore Laphicet e il loro cognato Artorius, tutti orfani di Celica, la moglie di quest’ultimo e sorella maggiore dei due ragazzi, la svolta arriverà in una notte scarlatta, con il cielo intriso di sangue, quando lo spadaccino sacrificherà la vita del piccolo Laphicet per i suoi scopi, proprio dinanzi agli occhi atterriti di Velvet.
Nel vano tentativo di salvare suo fratello, l’antieroina del gioco contrarrà la demonite, piaga che si sta rapidamente diffondendo nel regno di Midgand e che trasforma gli umani in bestie assetate di sangue, che attaccano a vista qualunque forma vivente.
Il giocatore guadagnerà nuovamente il controllo di Velvet nelle maleodoranti segrete di Titania, isola penitenziario dov’è stata rinchiusa per tre anni, durante i quali non si è cibata di altro se non di suoi simili, tramite il suo mostruoso braccio demoniaco, capace di assorbire l’energia vitale di uomini, demoni e malak.
Velvet sfrutterà al meglio l’inatteso aiuto ricevuto in queste circostanze, liberando anche tutti gli altri detenuti così da distogliere l’attenzione degli esorcisti di guardia e darsi alla fuga, in compagnia di Magilou, una strega irritante quanto sottile, e Rokurou, un samurai che dimostra da subito un forte senso della lealtà.
Con queste premesse, Tales of Berseria passerà alla storia non solo come il primo capitolo della serie che permette di impersonare un eroe di sesso femminile, ma anche come uno dei più oscuri, violenti e amari episodi del franchise, sebbene, progredendo lungo la storyline principale non mancheranno tratti tipici della serie, tra cui momenti molto più leggeri, scambi di battute buffi e situazioni al limite del paradossale.
L’intento del team di sceneggiatori sembra essere quello di distanziarsi dai canoni di Zestiria, con cui pure Berseria condivide l’universo di gioco, e il risultato può dirsi brillantemente raggiunto, grazie a un intreccio annodato attorno ad emozioni come l’egoismo, la rabbia e l’odio e ad un cast di personaggi sopra le righe, assai lontani dagli stereotipi del genere.
Un nuovo modo di combattere
Il sistema di gioco, perlopiù immutato rispetto al precedente episodio, vede comunque un nuovo bilanciamento del combat system, che si configura come un’evoluzione di quello visto in Zestiria, con aggiunte gradite che lo rendono ancora più dinamico e vi aggiungono un certo spessore strategico.
Al centro dei combattimenti c’è adesso la Barra Anima, elemento da tenere costantemente d’occhio durante le battaglie: si possono iniziare i combattimenti con un numero di Anime variabile da due a quattro, a seconda delle condizioni iniziali dello scontro.
Se il giocatore riesce a prendere di sorpresa un nemico, inizierà con quattro anime, mentre, nel caso opposto, si dovrà accontentare di sole due, mentre gli scontri regolari garantiranno tre anime: queste sono fondamentali perché, in assenza di una barra del mana, rappresentano il serbatoio da cui attingere per tutte le mosse, che siano Arti Mistiche o Marziali (rispettivamente magiche e fisiche).
Come in Zestiria, quindi, non è possibile attaccare senza soluzione di continuità, perché il button mashing paga solamente negli scontri più semplici: o meglio, tecnicamente, differentemente dal prequel, sarebbe anche possibile ma i colpi scagliati a barra svuotata risulteranno molto più deboli, con un alto rischio di mancare il bersaglio o di vederli parati dal nemico.
Basterà attendere qualche secondo, o meglio ancora parare un paio di colpi avversari (il tasto adibito alla parata è L1) per vedere la barra ricaricarsi, e ricominciare così a martellare i nemici.
Inoltre, il numero di anime con cui si inizia un combattimento può essere aumentato in vari modi, tra cui colpire ripetutamente le debolezze elementali dei nemici, causare loro status alterati o stordirli, ma le stesse regole valgono anche per il party, ed è quindi opportuno dotarsi di equipaggiamenti appositi ed utilizzare intelligentemente la parata.
Sono poi possibili due attacchi speciali, alla pressione dei tasti L2 ed R2, di diversa intensità e strategicamente rilevanti: il primo, possibile solamente al riempimento di un contatore che tiene conto dei danni inflitti e subiti, è capace di prolungare ulteriormente le già lunghissime stringhe di combo che è possibile concatenare, ma è il secondo, l’Anima di Sfondamento, quello che davvero può capovolgere le sorti di uno scontro.
Se in possesso di almeno tre anime, il giocatore può richiamare questo potente attacco, che, oltre ad infliggere danni molto consistenti per tutta la sua (breve) durata, offre anche altri effetti collaterali sui quali il giocatore può influire, come la rigenerazione progressiva dei punti vita di chi lo ha scagliato, un accresciuto numero di punti esperienza a fine battaglia o un’alta possibilità di infliggere status alterati al nemico colpito, giusto per citare qualche esempio.
Oltre a ponderare le possibili combinazioni, il giocatore dovrà anche valutare come e quando utilizzare questo attacco, perché ogni volta che richiama l’Anima di Sfondamento cede una sua anima al bersaglio: appare quindi evidente che non è il caso di abusarne, e che, soprattutto in occasione delle boss fight, la profondità strategica del sistema di combattimento ne benefici.
Fatto salvo un minigioco prettamente testuale che coinvolge una nave da mandare in esplorazione in territori sconosciuti, utile più che altro a rimpinguare le casse del giocatore, l’ossatura del prodotto ricalca pedissequamente quella del capitolo precedente, con tutto ciò che ne consegue.
L’esplorazione svolge un ruolo sempre meno preponderante, viste le ridotte dimensioni delle mappe e la piattezza del design di dungeon e aree esterne alle cittadine, e, come da tradizione per gli ultimi episodi del franchise, il controllo del giocatore sul sistema di crescita dei membri del party è molto limitato, nell’ottica di far spendere meno tempo possibile nei menu di gioco al fine di privilegiare la narrazione, e, soprattutto, l’energetico combat system.
Bene, ma non benissimo
L’analisi dell’aspetto tecnico di Tales of Berseria non può che essere duplice, a seconda che la si confronti con altri giochi di ruolo visti su PS4 o con i Tales of usciti precedentemente, a partire proprio da Zestiria.
Nel primo caso, sarebbe l’insoddisfazione a prendere il sopravvento: nonostante un’ottima direzione artistica e un intelligente utilizzo del cel shading, che copre le magagne di alcune texture di superficie in bassa risoluzione, Berseria appare evidentemente figlio della vecchia generazione di console, con animazioni un po’ legnose, mappe limitate nella loro estensione ed espressioni facciali poco convincenti.
Al di là delle promesse di titoli come Horizon Zero Dawn, insomma, il confronto con molti giochi di ruolo già disponibili sull’ammiraglia Sony (come Thw Witcher 3) è impietoso per il prodotto Namco Bandai.
Da un altro punto di vista, però, raffrontando questo titolo con Zestiria, si notano passi avanti dal punto di vista della modellazione poligonale, della telecamera, adesso molto meno d’intralcio nei combattimenti al chiuso, e della stabilità del framerate, molto più vicino ai 60 fps stabili rispetto al recente passato.
Sotto molti punti di vista, quindi, siamo dinanzi al Tales of più bello di sempre da vedere, e siamo sinceramente curiosi di vedere, a partire dai prossimi capitoli, cosa saranno in grado di fare gli sviluppatori senza la zavorra rappresentata dallo sviluppo su Playstation 3.
Ci ha convinto meno, invece, la colonna sonora, più per il confronto con le eccellenze del passato che per demeriti propri: il doppiaggio è infatti di ottima qualità, tanto nella traccia giapponese quanto in quella inglese, ma non abbiamo ascoltato pezzi capaci di rimanere impressi a console spenta, com’era invece spesso successo con alcuni dei lavori precedenti di Sakuraba-san, storico compositore della serie.
Come da tradizione per la serie, poi, la longevità complessiva è molto soddisfacente: dedicandoci solamente ad alcune missioni secondarie per questioni di tempo, abbiamo completato il titolo in poco più di quaranta ore, ma la moltitudine di opzioni per chi volesse prolungare il proprio tempo a Midgand permette di aggiungere almeno altre quindici – venti ore al computo.
Commento finale
Con Tales of Berseria Namco Bandai riesce a dare continuità al progetto iniziato con Zestiria e, nel contempo, a migliorarne alcune delle criticità, come la narrativa un po’ insipida e la telecamera annaspante.
Ne viene fuori un JRPG che, pur aderendo completamente ai canoni classici della serie per quanto concerne battle system, ritmo e bilanciamento tra fasi dialogiche e ludiche, riesce a distinguersi grazie un cast di personaggi molto diverso dal solito, capitanato da una protagonista combattuta, umana come non mai, tra le migliori che la longeva saga ha visto fin qui.
Si tratta quindi di un prodotto dai due volti, che osa poco dal punto di vista delle meccaniche di gioco eppure si diverte a farsi beffe delle aspettative del pubblico da quello narrativo, e che, nel complesso, risulta comunque più gradevole dell’immediato predecessore.
In considerazione di questo, tutti coloro che non disdegnano un gioco di ruolo classico, con tutti i crismi che caratterizzano il genere, dovrebbero farci quantomeno un pensierino.