Recensione di Gianluca “DottorKillex” Arena
A seguito di una coppia di titoli in poco meno di due anni, accolti favorevolmente dallo zoccolo duro dei fan ma non universalmente riconosciuti come buoni, la serie di Sword Art online si appresta a tornare sugli schermi delle console Sony con Hollow Realization, capitolo per certi versi di rottura rispetto al recente passato perché annovera un nuovo mondo da esplorare, una serie di NPC inediti (sebbene non manchino una manciata di facce note) e qualche soluzione ludica fin qui inedita per la serie.
L’impressione è che Namco Bandai stia cercando di far quadrare il cerchio, puntando su una fanbase appassionata e cercando di affinare la formula di uscita in uscita in un processo graduale, ma costante.
Vediamo se e come la casa di sviluppo nipponica ci è riuscita nella nostra recensione della versione PS4.
Sopravvissuto all’abbraccio mortale della prima versione di Sword Art Online, e dopo il rapido excursus su Aincrad visto in Lost Song, Kirito si tuffa nuovamente in un VRMMORPG, uno di quei giochi di ruolo online che, in un futuro prossimo, hanno raggiunto un livello di realismo e di immersione senza pari: stavolta è chiamato a partecipare, con i suoi amici, alla beta di Sword Art Online: Origins, titolo appartenente alla stessa famiglia dei due che l’hanno preceduto.
Ambientato ad Ainground, il titolo sembra promettere bene, eccetto che per uno strano bug, che i nostri, in qualità di beta tester, sono chiamati ad investigare: uno dei personaggi non giocanti, dalle fattezze di una ragazzina adolescente, non dispone di alcun background o dato di programmazione, come se fosse stato inserito nel software ma mai ultimato, tanto che non può elargire ricompense monetarie al termine di una quest condotta subito fuori città.
Se, sulle prime, questa anomalia andrebbe segnalata al team di sviluppo così da essere corretta, il gruppo di avventurieri capitanati da Kirito finisce con l’affezionarsi alla giovane sconosciuta tanto da coprirla, nella speranza di proteggerla dalla cancellazione o dalla riscrittura del codice.
Rispetto ai due capitoli precedenti, che pure non brillavano per qualità dell’intreccio, abbiamo trovato pretestuosa e inconcludente la trama che sorregge Hollow Realization, punteggiata da dialoghi eccessivamente prolissi che stanno diventando un marchio di fabbrica (non esattamente di quelli di cui andare fieri) dei titoli di questa serie.
Sebbene nella seconda parte dell’avventura entrino in scena un paio di personaggi interessanti e si assista a qualche colpo di scena, per quanto telefonato, il giocatore che non sia un grande fan delle light novel originali (da cui comunque il plot si discosta sensibilmente) difficilmente si affezionerà ad un cast stereotipato e poco interessante.
Chissà che con l’arrivo venturo di Rain e Seven, due dei protagonisti del precedente Lost Song, annunciati da Bandai Namco come DLC gratuiti, la situazione possa migliorare, perché l’attuale manipolo di protagonisti manca di carisma, soprattutto se rapportato ai personaggi dell’opera originaria da cui la serie videoludica ha tratto spunto.
A fronte di una struttura di base rimasta immutata rispetto agli ultimi due episodi, con una marea di quest secondarie tutte molto simili tra loro, che scimmiottano in maniera piuttosto convincente quelle di un vero MMO, con tanto di istanze e di boss enormi alla fine di molte di esse, è il combat system ad aver goduto delle migliorie più consistenti, avendo aggiunto un sistema di combo discretamente profondo e la possibilità di influenzare maggiormente le skill utilizzate dai compagni di squadra tramite la meccanica dei complimenti.
Per quanto concerne il primo aspetto, Hollow Realization costruisce sulle fondamenta gettate da Lost Song l’anno scorso: alla semplice pressione del tasto quadrato, che corrisponde all’attacco semplice, sotto alla barra vitale del mostro che stiamo attaccando appare un moltiplicatore dei colpi, che tiene conto di tutti quelli portati e aumenta i danni inflitti man mano che questi aumentano di numero, premiando così i giocatori più veloci e gli assalti coordinati con i membri del proprio team.
Alla luce di questa introduzione, la possibilità di convogliare gli attacchi di tutto il team su un singolo bersaglio, presente anche nei vecchi capitoli, assume un’importanza strategica del tutto nuova, e consente di infliggere danni ingenti anche ai mastodontici boss, che comunque avranno, dalla loro, diversi nuovi attacchi per contrastare la potenza del party.
L’ordine Switch, impartibile in qualsiasi momento, interrompe qualunque azione i compagni di battaglia stiano eseguendo, impegnandoli in un attacco prioritario all’arma bianca, capace di prolungare le combo o di avviarne una nuova.
Il rovescio della medaglia è rappresentato dall’abbassamento della difficoltà degli scontri regolari, che spesso possono essere conclusi concatenando decine di attacchi in sequenza, senza dare agli avversari il tempo di reagire.
La seconda introduzione consente di complimentarsi con un compagno al termine di un’azione, così da fargli capire che abbiamo gradito ed ottenere in cambio che egli vi si specializzi: vale per l’uso di oggetti curativi, per una mossa speciale, per qualsiasi azione che il giocatore ritiene utile, e consente di aumentare l’influenza di Kirito (e quindi del giocatore) sui suoi compagni di viaggio.
Il sistema di combattimento beneficia anche della nuova Tavolozza, una griglia personalizzabile all’interno della quale è possibile includere tutte le abilità di maggiore utilizzo, semplificando notevolmente la vita al giocatore e riducendo il tempo speso nei menu durante gli scontri.
Queste modifiche non riscrivono il combat system, che rimane sostanzialmente in linea con quello visto nel precedente episodio, ma aggiungono dinamismo e rendono ogni battaglia un caos organizzato divertente, anche se un po’ troppo incline al button mashing.
Non abbiamo gradito, invece, la necessità di approfondire il rapporto con ognuno dei membri del party prima di poter avere diretto accesso al suo equipaggiamento: oltre che limitare il livello di personalizzazione del party, questa scelta di game design appare come un bieco tentativo di prolungare la durata complessiva, incomprensibile se si pensa che difficilmente si giungerà ai titoli di coda prima di trentacinque ore, che possono diventare anche cinquanta qualora si scegliesse di dedicarsi ad ognuna delle quest secondarie.
Pollice verso anche per queste ultime, utili solo a farmare un po’ di soldi ed esperienza ma che aggiungono pochissimo all’esperienza di gioco, riciclando senza vergogna location già visitate, mostri già sconfitti e obiettivi visti centinaia di volte da chiunque ami i giochi di ruolo giapponesi.
Il comparto tecnico, com’era accaduto già per i due titoli precedenti, risente molto dello sviluppo cross-gen, che, se da un lato consente di trasferire i salvataggi senza problemi tra Vita e PS4, dall’altro limita fortemente l’appeal visivo di Hollow Realization.
Massicce dosi di aliasing, modelli dei personaggi sufficienti ma assolutamente non al livello degli ultimi JRPG visti sull’ammiraglia Sony e texture in bassa risoluzione per alcuni mostri e quasi tutti i dungeon appaiono difetti difficilmente perdonabili su una console performante come Playstation 4, e, pur non avendo avuto modo di testarla direttamente, crediamo che la versione portatile, da questo punto di vista, risulti più gradevole per gli occhi.
A fronte di un doppiaggio generalmente buono, in linea con quello già apprezzato nei due capitoli degli anni scorsi, segnaliamo invece una traduzione dei testi approssimativa, capace di indurre all’errore tanto durante le (noiose) fasi di dating sim quanto nelle fasi di compravendita di oggetti.
Il team di sviluppo ha tentato di farsi perdonare questa pochezza visiva includendo una sezione multigiocatore ben fatta, in cui fino a quattro giocatori possono prendere parte a raid istanziati creati tramite una schermata accessibile dal menu principale, con la possibilità di scegliere regione di appartenenza, livello e preferenze dei partecipanti: i server non sono stati molto popolati durante le nostre prove, ma quando siamo riusciti a cimentarci in missioni online abbiamo apprezzato la stabilità del netcode e la quasi totale assenza di lag.
Rispetto a Lost Song, Hollow Realization fa segnare passi avanti dal punto di vista della vastità del mondo e della complessità del combat system ma, allo stesso tempo, anche passi indietro, soprattutto per quanto concerne la godibilità dell’intreccio e il maggior peso dato alle fasi da dating sim, che rallentano e appesantiscono la progressione, già di per sé abbastanza lenta.
Per queste ragioni, abbiamo deciso di assegnare, anche simbolicamente, la medesima votazione del gioco del 2015, in attesa che la saga spicchi il volo e faccia un balzo di qualità.
Per coloro i quali non avessero giocato alcuno dei titoli precedenti, Hollow Realization si configura comunque come una scelta discreta, un JRPG con alti e bassi che potrebbe piacere primariamente agli appassionati del genere, una volta esaurite le opzioni di maggiore qualità.
This post was published on 22 Novembre 2016 12:51
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