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Pubblicato in: Recensioni

Destiny – I signori del ferro

Recensione di Gialuca “DottorKillex” Arena

E così, a oltre due anni dal lancio, sembra (e sottolineiamo sembra, perché nel mondo dei videogiochi moderno mai dire mai) giunta al capolinea l’epopea del primo Destiny di Bungie, di cui è già noto che uscirà un seguito.
Dopo i buoni risultati raggiunti con il Re dei Corrotti, che, secondo molti, era la versione del gioco che sarebbe dovuta arrivare nei negozi al lancio, oggi il team di sviluppo americano si accommiata dal suo pubblico con il lancio dell’ultima espansione, I signori del ferro, che porta in dote una nuova campagna per giocatore singolo e moltissime attività PvE e PvP, nella speranza che la fanbase del titolo torni a popolare i server di gioco per qualche mese ancora, prima di passare oltre.
Abbiamo giocato l’espansione per voi, e questo è il nostro giudizio.

La corruzione dilaga

Dopo i grandi passi avanti compiuti con il Re dei Caduti in quanto a narrazione, presentazione dei personaggi e contestualizzazione delle missioni, I signori del ferro veste un po’ i panni del gambero, pur potendo contare su un setting tra i più affascinanti sin dal lancio di Destiny.
La breve storyline principale, composta di sole cinque missioni (cui ne seguono diverse secondarie) ruota intorno ai signori del ferro che danno il nome al titolo, antichi guardiani che vigilavano sui regni degli uomini da tempo immemore.
Tra questi c’è Lord Saladin, finalmente un volto dietro la maschera, protagonista indiscusso della narrazione, che si rivela molto più chiara rispetto a quelle cui ci aveva abituato Bungie nel periodo pre – Re dei corrotti: l’esposizione non è mai eccessiva, quanto invece utile a comprendere meglio quanto si sta per fare e perché è necessario spazzare via i caduti, ancora una volta.
La minaccia rappresentata da essi è ancora più significativa, perché, entrati in contatto con la SIVA, un’entità biomeccanica che sembra uscita dai peggiori incubi di Katsuhiro Otomo, se ne sono impossessati, senza accorgersi che, in realtà, era la SIVA a possedere loro, corrompendone la volontà e piegandola ai suoi scopi.
Il risultato è che orde di Caduti modificati, con sfumature tendenti al rosso e comportamenti ancora più aggressivi del solito, pattugliano le Plaguelands, la nuova area che fa da sfondo a molte delle quest e delle sparatorie che compongono l’espansione.
La mancanza di molti dei personaggi incontrati fin qui (da Eris Morn al Viaggiatore, giusto per citarne due) e una conclusione abbastanza insoddisfacente delle vicende tolgono mordente ad un intreccio altrimenti discretamente studiato, punteggiato da un maggior numero di sequenze cinematiche rispetto al passato e da una più accentuata spettacolarità della presentazione.
Si poteva fare meglio, insomma, ma le fondamenta perché Destiny 2 si riveli narrativamente più piacevole del suo predecessore sono state gettate.

Evoluzione senza rivoluzioni

La campagna per giocatore singolo, che comunque non ha mai rappresentato il punto focale di Destiny sin dal lancio della versione “liscia”, non dura che poco meno di due ore, anche se tre delle cinque missioni che la compongono si possono annoverare tra le migliori che il prodotto Bungie ha proposto fin qui: il ritmo, le nuove armi, il ritorno del Gjallarhorn (da ottenere tramite un’apposita serie di quest collaterali) e delle location particolarmente evocative riescono parzialmente a supplire alla brevità dell’esperienza.
Al termine delle missioni, dopo una boss fight molto ben congegnata che prevede un massiccio utilizzo del corpo a corpo, il giocatore può pattugliare liberamente le Plaguelands, dedicarsi all’incursione Furia Meccanica, lanciata lo scorso venerdì, o alla Forgia dell’Arconte, evento pubblico che riprende qualcosa dalla Prigione degli Anziani e tantissimo dalla Corte di Oryx, senza però riuscire a replicarne il successo.
Per quanto concerne il PvP ed il Crogiolo, invece, spicca l’esordio della modalità Supremacy, una rivisitazione abbastanza palese dell’arcinota Kill Confirmed già vista in decine di FPS durante l’ultimo decennio.
La carne al fuoco, quindi, non manca, ma andiamo con ordine: Furia Meccanica è un’incursione ben strutturata, che pone il giocatore dapprima contro Vosik, in uno scontro a due fasi da non sottovalutare, e poi contro Aksis, nemesi ancora più impegnativa, al termine di un percorso abbastanza obbligato che lascia poco spazio all’esplorazione.
La Forgia dell’Arconte mette il giocatore di fronte a una sequela infinita di nemici, che però, anziché apparire ad ondate, vengono generati praticamente senza sosta, almeno fino al raggiungimento di uno degli obiettivi necessari ad evocare il boss: il ritmo è indiavolato, ma il bilanciamento ed il level design non sempre soddisfano a pieno.
La sensazione di riciclo generale è aumentata dal fato che dei tre assalti al momento disponibili uno solo è davvero inedito, e che molti dei campi di battaglia non sono che versioni rivedute delle mappe già visitate numerose volte durante gli scorsi due anni.
Va un po’ meglio dal lato PvP, con quattro mappe del tutto nuove e la modalità Supremacy, che ruota intorno al raccoglimento degli emblemi dei nemici abbattuti (o dei compagni caduti) dopo l’eliminazione: alla ferocia del combattimento si aggiunge così un sottile strato strategico, per evitare di venire uccisi mentre si è sulla strada per l’emblema faticosamente guadagnato.
Ciò che questa modalità perde in originalità lo guadagna in frenesia e familiarità, insomma.
Chiudiamo con due delle novità meno pubblicizzate ma più utili a migliorare l’esperienza di gioco complessiva: l’introduzione dei match privati e (finalmente!) quella di una sorta di taccuino su cui il gioco annota tutti i progressi del giocatore in ognuna delle modalità di gioco (dal PvP al PvE, passando per le missioni della campagna single player), conferendogli armi, bonus e potenziamenti di varia natura al raggiungimento di determinati obiettivi interni.
Il senso di progressione ne giova enormemente, sottraendo dall’equazione la spiacevole sensazione di stare uccidendo centinaia di nemici per puro esercizio di riflessi: chi, tra i nostri lettori, gioca Destiny dal settembre 2014 capirà cosa intendiamo.

Non troppo meglio

All’annuncio dell’interruzione del supporto per Playstation 3 e Xbox 360, motivato con l’intenzione di aggirare le limitazioni tecniche e di memoria cui le console delle vecchia generazione costringevano, tutti i fan di Destiny si aspettavano che I signori del ferro portasse in dote una certa quantità di migliorie a livello visivo.
Queste, in effetti, ci sono state, ma non sul mero versante tecnico: la draw distance, l’effettistica, la conta poligonale sono identiche al recente passato (la versione da noi testata è quella per Playstation 4), ma sono il design del mondo di gioco e la qualità delle ambientazioni a dimostrare maggiore cura e caratterizzazione.
A partire anche solo dal picco di Felwinter, spazzato da venti gelidi e popolato di lupi che pigramente osservano il passaggio del giocatore, fino a giungere alle mappe già visitate ma adesso corrotte dall’avanzata biometallica dei SIVA, la nuova espansione propone alcuni degli scorci più memorabili dello sparatutto Bungie fin qui.
Lo sforzo narrativo di cui si parlava poc’anzi, insomma, ha coinvolto anche l’intero world design, rendendo quest’ultima espansione la migliore dal punto di vista artistico piuttosto che tecnico.
Se, invece, ci si volesse soffermare esclusivamente su quest’ultimo versante, le analisi precedentemente fatte per Il casato dei lupi e per il più recente Re dei Corrotti sarebbero ancora valide, con miglioramenti minimi e percepibili solamente all’occhio più attento, relegati perlopiù al comparto illuminazione.
Questo, beninteso, non significa che I signori del ferro deluda, perché Destiny, sin dalla sua uscita, non è mai stato un gioco brutto da vedere, ma, semplicemente, le aspettative susseguenti alla fine del supporto per le vecchie console rimangono parzialmente disattese, soprattutto alla luce del continuo riciclo di modelli nemici e dell’accorciamento minimo dei tempi di caricamento, che rimangono uno dei talloni d’Achille sin dal lancio di due anni or sono.

Commento finale

A parte un riciclo eccessivo di situazioni e nemici, che fa pensare che la saga di Destiny sia stata sfruttata forse anche più del lecito, non c’è nulla di sbagliato ne I signori del ferro, che va a posizionarsi al secondo posto in una ideale classifica delle espansioni del titolo Bungie, subito dopo Il Re dei corrotti.
La nuova incursione diverte, i contenuti non mancano (sebbene la campagna iniziale sia scandalosamente corta) e il gunplay rimane su livelli altissimi, nonostante la narrazione e la varietà generale facciano un passo indietro rispetto all’espansione precedente.
Se siete fan di Destiny, l’acquisto avrebbe senso, ma non crediate che questo DLC possa farvi cambiare idea sull’ambizioso sparatutto MMO di Bungie.

This post was published on 28 Settembre 2016 16:57

Redazione Player.it

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