La verità è un insieme di bugie. Un caffè bollente bevuto tutto d’un fiato. Si può fingere. Mascherare il dolore. Scottarsi però è inevitabile e piano piano, quel continuo bruciare, riporta tutto a galla.
Dopo averci portato nello spazio con il recente ADR1FT, 505 Games torna sulla terra per raccontarci della scomparsa di un ragazzo avvenuta in Virginia.
Recensione di Simone Alvaro “Guybrush89” Segatori
VERSIONE TESTATA: PS4
E’ con questa frase che il gioco ci invita a Kingdom, una cittadina di campagna teatro di una misteriosa sparizione. Lucas Fairfax è scomparso e tutto quello che rimane di lui sono un mucchio di strane fotografie. A seguire il caso è Anne Tarver, agente dell’FBI fresca di distintivo, e la sua collega anziana Maria Halperin.
Il ritrovamento del ragazzo non è però l’unico obiettivo dell’indagine di Anne perché con il progredire dell’avventura la capacità di giudizio della protagonista sarà messa a dura prova. La poliziotta dovrà andare contro la sua etica, sapere distinguere la realtà e superare i dubbi che la porteranno ad indagare persino sulla propria partner.
Queste sono le informazioni che emergono dai primi minuti di gioco e che sono apparsi per mesi nei trailer forniti dagli sviluppatori, ma che cosa è davvero Virginia? Una sbiadita immagine riflessa. Degli oscuri sogni premonitori. Un ragazzo scomparso. Frammenti, tracce, pezzi di un puzzle da risolvere che non costituiscono solo il mistero all’interno del gioco ma il gioco stesso. Virginia è un videogioco atipico, lontano anche dal termine stesso di videogioco. E’ piuttosto un esperienza, una scia di indizi che il giocatore dovrà raccogliere per arrivare a capire la storia o meglio la sua versione della storia. Gli stralci di vita di Anne Tarver sono raccontati come dei ricordi farraginosi di cui non è sicura nemmeno la protagonista. La memoria può cambiare la forma di una stanza, i colori di un edificio, arrivando a distorcere perfino i ricordi. Persino Proust, nella sua “Ricerca del Tempo Perduto”, ha cambiato idea sulle Madeleine che nelle prime versioni erano biscotti e prima ancora fette di pane imburrato. I ricordi, per quanto dettagliati, sono pur sempre un interpretazione della realtà che abbiamo vissuto. Sono irrilevanti rispetto ai fatti. E proprio i fatti sono l’elemento inafferrabile, o quasi, del gioco. Nascosti sotto gli occhi, in bella vista eppure così difficili da collegare e ricostruire. Mozziconi. Briciole di verità disperse da un vento di inganni e bugie. Un po’ come la narrazione stessa dell’avventura, caratterizzata da un approccio narrativo non convenzionale e ispirato dai tagli e dalle inquadrature tipiche dell’industria cinematografica, volte ad impreziosire il racconto ma allo stesso a confondere il giocatore. Il titolo fa bella mostra delle tecniche di montaggio come jump cuts e dissolvenze che difficilmente trovano spazio in un videogioco oltre che in qualche filmato di intermezzo. Il cinema non ispira però solo il modo di raccontare ma anche la trama ne viene contaminata e cavalca l’onda della nostalgia che ci ha colto in questo periodo, rifacendosi alle serie tv 80-90. Gli sviluppatori infatti sembrano aver idealmente posto la loro Kingdom a qualche km da Twin Peaks, da cui Virginia attinge a piene mani suscitando nel giocatore un ansia simile a quella che era in grado di trasmettere il serial di David Lynch. E lo fa raccontando una storia senza parole. Muta. Tranne qualche scritta posta su alcune porte e una manciata di dossier e scartoffie dell’FBI, in Virginia non troverete altro che musica ed immagini. I Character Design hanno sapientemente scelto di non far parlare i loro personaggi, che diventano straordinariamente espressivi e comunicativi proprio grazie al silenzio. La vera voce del gioco è affidata alla colonna sonora, e che colonna sonora visto che il titolo è totalmente musicato dall’orchestra filarmonica di Praga che accompagnerà Anne nella sua indagine, nella sua vita privata e negli oscuri recessi della sua mente.
Una cosa che ci ha colpito particolarmente è la scelta cromatica e lo stile pastello usato negli scenari anche se Virginia tratta tematiche più cupe e decisamente noir. La grafica di gioco sembra un’esagerazione della vera Virginia che riprende le bellezze naturali del suo paesaggio e le trasforma in disegni tipici della poster art, saturi di colori, che sembrano pronti per finire su una cartolina. Si ha la perenne sensazione di trovarsi in un luogo in cui l’estate sta volgendo al termine e la luminosa luce del sole sta per essere coperta da un banco di nubi. Una scelta insolita per un gioco del genere che al primo sguardo può non piacere ma una volta essere entrati all’interno della narrazione scoprirete che non c’erano colori migliori per delineare una verità sempre più sbiadita e sfuggevole.
Virginia è un esperimento interattivo. E’ difficile parlare di un gameplay vero e proprio perché quello che ci troviamo di fronte non è un videogioco ma una storia. Una storia in cui possiamo partecipare. Impersonando Anne e interagendo con alcuni oggetti e persone tramite la semplice pressione di un unico tasto. Ma oltre a questo non c’è niente. Il resto è affidato al ritmo del montaggio. Al passaggio continuo da una scena all’altra. Molto spesso ci troveremo ad affrontare scenari di pochi secondi in cui tutto quello che dovremo fare sarà guardare da un finestrino, aprire una porta o bere un caffè. Non ci sono enigmi da superare, solo una lunga serie di azioni che ci porteranno ad un inevitabile fine. Anche la raccolta degli oggetti è atipica. Nelle avventure grafiche tradizionali, genere videoludico a cui Virginia si avvicina di più, troviamo un menù in cui tenere traccia degli oggetti raccolti per usarli in futuro. In Virginia la raccolta degli oggetti è secondaria, non funzionale al proseguo della narrazione. Persino raccogliere un oggetto è un azione che va compresa, come ogni cosa in questo gioco. Raccogliendo le piume sparse negli scenari e prestando particolare attenzione, sarà possibile notare in casa di Anne una bacheca che le raccoglie. Lo stesso vale per i fiori e per altri piccoli dettagli che vanno notati, semplicemente guardandoli. L’unico modo di raccogliere indizi è osservare. E lo stesso vale per i trofei che vengono sbloccati semplicemente osservando, a volte un cambiamento e altre volte una costante. Il vero gioco in Virginia non è tanto la storia raccontata, quanto quella che è in grado di ricostruire il giocatore al termine dell’avventura principale.
Strano. Il nostro viaggio a Virginia non può essere definito diversamente eppure il titolo sviluppato da Variable State ci ha rapito dall’inizio alla fine. Una fine che è arrivata troppo presto, viste le 2 ore scarse di gioco, ma che ancora adesso fatichiamo a digerire e comprendere pienamente. Perché è possibile che finiate il gioco rimanendo spiazzati, smarriti e nel peggiore dei casi delusi. Senza risposte e ancora alla ricerca di una soluzione al mistero. Il titolo però non vuole assolutamente aiutarvi a comprendere anzi, spera di confondervi sempre di più, scena dopo scena. In una lunga sequenza interattiva montata come una serie tv, dove è il gioco a giocare con il giocatore, sbattendogli di continuo in faccia la verità montata come se fosse una bugia. Consigliato a chi cerca una storia in cui immergersi e sprofondare, a chi ama cercare i particolari e mettere insieme i pezzi, a chi è rimasto negli anni ’80 ed è un inguaribile appassionato di thriller, comprate un biglietto di sola andata per Virginia, non ve ne pentirete!
This post was published on 22 Settembre 2016 11:33
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