Articolo a cura di Gianluca “DottorKillex” Arena
Per molti un franchise dormiente da troppi anni, per altri una serie minore tra quelle in seno a Square Enix, Star Ocean ha nondimeno segnato un’epoca, al tempo del suo debutto, unico (o quasi) nel suo genere a mescolare ambientazioni, temi e personaggi del fantasy classico con la fantascienza, senza che questo miscuglio risultasse indigesto. A diversi anni da The Last Hope, giunge in occidente Integrity and Faithlessness, quinto capitolo di questa storica serie, che prova a riportarla in auge anche tra le nuove generazioni di giocatori, all’insegna della tradizione ma anche, nel contempo, dell’apertura a tutti coloro che non si sono mai cimentati con uno degli episodi del franchise. Operazione riuscita? Scopriamolo insieme.
Sin dalle primissime battute, Star Ocean Integrity and Faithlessness tradisce le proprie intenzioni, ovvero porsi come capitolo di rottura rispetto al passato della serie, proponendo sì temi e dinamiche note ma in maniera del tutto inedita, privilegiando i neofiti e tutti coloro che, magari, hanno giocato solamente uno (o al massimo un paio) dei precedenti episodi. Le prime cinque ore di gioco, infatti, non forniscono praticamente alcun contesto per le azioni del giocatore, sballottato da un piccolo villaggio costiero, Stahl, che ha dato i natali a Fidel, il protagonista, alla capitale, dove chiedere rinforzi per difendersi dalle razzie di un gruppo di banditi della zona. Dopo un viavai abbastanza tedioso, Fidel e Miki, sua amica d’infanzia, incontrano sulla loro strada una misteriosa ragazzina, apparentemente spaesata e (ovviamente) priva di memoria: inutile dire che ne prendono a cuore le sorti e la riportano con loro al villaggio, dando così la stura ad una serie di eventi che si trascinano senza troppa convinzione per una trentina scarsa di ore. Questi, in linea con il lore della serie, vedono il giocatore al centro di un plot a base di viaggi intergalattici (più chiacchierati che effettuati, a dire il vero), esperimenti senza scrupoli sugli umani e due potenze che si confrontano per il possesso di fonti di potere che potrebbero garantire loro la supremazia sull’intera galassia. La scelta di dare priorità al gameplay, alleggerendo le fasi dialogiche e relegando al motore di gioco le poche cutscene, a conti fatti, si rivela salvifica, perché la qualità dell’intreccio e la caratterizzazione dei personaggi, a partire dall’insipido protagonista, lasciano parecchio a desiderare: senza continuità narrativa con la serie, e con l’approfondimento delle personalità delegato alle sole scene opzionali che si attivano all’ingresso nelle città, i membri del party, composto da ben sette elementi, si riveleranno poco più che compagni di battaglia. Non aiuta il fatto che Relia, la ragazzina di cui sopra, motore delle vicende e perno del plot anche nelle sue battute conclusive, incarni parecchi dei clichè cui i JRPG hanno abituato l’utenza da diversi anni a questa parte, dall’amnesia alla timidezza: difficile sviluppare empatia per un cast che, pur avendo del potenziale, si limita al compitino, senza mai provare a far vibrare le corde dell’anima del giocatore. Analizzato dal solo punto di vista della storia, quindi, Star Ocean Integrity and Faithlessness si rivela uno dei capitoli meno riusciti dell’intera serie.
Ad evitare una sonora bocciatura ad un prodotto così deludente sul piano narrativo sopraggiunge, fortunatamente, un combat system frenetico, che, sebbene sfoci troppo spesso nel button mashing più becero, riesce a tenere alto il ritmo di gioco e a rendere le fasi di grinding e di esplorazione piacevoli, senza appesantirle eccessivamente. I nemici sono visibili sulla mappa, e, ingaggiandoli, non c’è alcuna transizione in schermate apposite: si combatte dove si incontrano gli avversari, in tempi mediamente molto rapidi, senza interrompere il fluire dell’azione. Se, dall’avvento di Tri Ace in seno alla saga, il combat system si era velocizzato e aveva virato all’azione, qui le cose sono portate all’eccesso: premere furiosamente uno dei due pulsanti di attacco (X e cerchio nella versione PS4 da noi testata) consente di vomitare una lunga serie di fendenti sui malcapitati nemici, spesso incapaci di reagire per tempo. Ad ognuno dei due pulsanti può essere assegnata un’abilità di combattimento specifica, scelta tra una rosa abbastanza ampia, sbloccabile tramite l’impiego di punti guadagnati dopo ogni combattimento: il gioco incentiva a cambiare colpi piuttosto spesso, anche per ovviare all’altrimenti ripetitivo schema, e a studiare il triangolo delle mosse che regola gli scontri. Attacco veloce batte attacco potente, attacco potente sfonda la guardia avversaria e la guardia nullifica l’attacco veloce: puntando su questo semplice sistema, gli sviluppatori pensavano di offrire un minimo di profondità strategica alle battaglie, che, in verità, si ravvisa solamente negli scontri contro i numerosi boss che punteggiano l’avanzamento nella storyline principale. Il grosso dei combattimenti regolari, infatti, può essere risolto premendo un singolo tasto alla nausea, finché lo schermo non è stato ripulito dai nemici: si crea così uno iato piuttosto importante tra la semplicità delle battaglie ordinarie e il grinding richiesto da molti dei boss, invero piuttosto coriacei, con pattern di attacco capaci di sbaragliare il party in una manciata di secondi. Il grinding è una pratica da sempre connaturata a molti giochi di ruolo di stampo orientale, e in particolare alla saga di Star Ocean, ma in Integrity and Faithlessness lo abbiamo trovato spesso eccessivo, complice anche il fatto che il gioco innalza artificiosamente la difficoltà degli scontri, quasi a voler costringere il giocatore a spendere ore a livellare. Un esempio: in diverse circostanze, il prodotto proporrà boss fight in sequenza, senza la possibilità di salvare tra una e l’altra, costringendo, in caso di morte durante la seconda, a ripetere anche la prima. Se a questo si aggiunge il fatto che le cutscene e i dialoghi non possono essere saltati (una soluzione di game design francamente incomprensibile), c’è da farsi il segno della croce quando ci si scontra con un mostro che va oltre le capacità del party. A conti fatti, le nuove generazioni, che magari cercano un prodotto adrenalinico e che non ceda alla verbosità di molti congeneri, soprattutto giapponesi, potrebbero trovare pane per i loro denti con l’ultima fatica Square Enix, ma i fan di vecchia data difficilmente saranno soddisfatti dalla superficialità e dalla scarsa cura per i dettagli che contraddistinguono il pacchetto.
L’aspetto tecnico della produzione vive di alti e bassi, soprattutto a causa dello sviluppo cross gen con Playstation 3, sebbene quest’ultima versione non sia arrivata in Europa: il numero di caricamenti tra un’area e la successiva, la loro limitata ampiezza, l’inespressività dei volti dei protagonisti ed una conta poligonale assai risicata (soprattutto negli esterni) sono lì a ricordarci come Star Ocean Integrity and Faithlessness su PS4 sia la versione abbellita di un gioco pensato e sviluppato principalmente con hardware della scorsa generazione in mente. Questo, comunque, non toglie nulla al buon character design, un po’ generico nel tratto ma coerente (lui sì) con lo spirito della serie fin qui, tra eroi con i capelli blu, maghe dai seni abbondanti e l’immancabile adolescente carina e dai forti poteri curativi. Stupisce un po’, anche stavolta non proprio in positivo, la durata complessiva della main quest, che, come detto, si ferma alla soglia delle trenta ore: va detto che siamo giunti ad uno dei finali tralasciando la maggior parte delle quest secondarie, ma anche che queste, pur presenti in gran numero, si somigliano tutte tra loro e raramente esulano dagli abusati schemi da MMO. Solo applausi, invece, per la colonna sonora del veterano Motoi Sakuraba, che spesso punteggia meglio del doppiaggio e dei sottotitoli (entrambi disponibili tanto in inglese quanto in giapponese) quanto accade a schermo: non siamo ai livelli dei migliori lavori del maestro, ma non manca poi così tanto.
L’augurio che possiamo fare a Star Ocean Integrity and Faithlessness è quello di riuscire ad allargare il bacino d’utenza del brand, obiettivo per raggiungere il quale il team di sviluppo ha sacrificato l’aspetto narrativo e il versante puramente ruolistico della produzione, a vantaggio dell’accessibilità e di un sistema di combattimento frenetico e totalmente improntato all’azione. Coloro che cercano un JRPG diverso dai suoi congeneri, ancora più ritmato dei recenti episodi della serie Tales of di Namco, troveranno qui il proprio piccolo paradiso; al contrario, gli appassionati del franchise della prima ora, abituati a ben altri valori produttivi, potrebbero rimanere delusi dal tentativo di rompere così nettamente i ponti con un passato glorioso.
This post was published on 30 Giugno 2016 11:56
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