L’autunno del 2013, oltre a vedere l’uscita delle console di corrente generazione, vide il grande ritorno di Shinji Mikami, acclamatissimo regista e creatore dei videogames iconici come i primi titoli della saga di Resident Evil, dietro la “macchina da presa” con The Evil Within. Il survival horror vecchio stile fece breccia nei cuori di milioni di giocatori e fu acclamato dalla critica, ma terminata l’uscita dei DLC dedicati a July Kidman, per oltre tre anni non se ne seppe più nulla.
Questo fino all’E3 2017 dopo parecchi mesi di mormorii e voci di corridoi che volevano, appunto, l’annuncio di un nuovo titolo della saga per una release nell’autunno di quest’anno.
Ed ecco che, a ridosso di Halloween, The Evil Within 2 esce finalmente sugli scaffali. Mikami cede il passo al direttore degli effetti visivi del primo capitolo John Johans ma l’intento resta il medesimo: accompagnarci in uno spaventoso viaggio nella psiche e nell’inconscio umano assieme al detective Sebastian Castellanos tramite il diabolico marchingegno denominato STEM.
Ritorna la Mobius, ritorna lo spettro del Beacon Mental Hospital e ritorna July Kidman ma stavolta non saremo prigionieri di un incubo, ma detective in un mondo fittizio. Dovremo districarci tra strani omicidi virtuali in luoghi digitali lugubri e malsani alla ricerca della ragione per cui STEM non funziona più, ma soprattutto, alla ricerca della figlia di Castellanos, la piccola Lily.
Chi ha giocato il primo capitolo potrà notare fin da subito una netta differenza visiva: i colori in questo secondo capitolo sono più saturi, al contrario del primo, dove in alcune aree la saturazione dei colori era talmente bassa da sembrare quasi bianco e nero.
Ritorna l’HUD, invariata dal primo capitolo se non per i colori, ritornano gli oggetti accompagnati da tante novità e ritornano le dinamiche stealth oltre a quelle survival e shooter. Le aree sono più ampie, quasi da open world. Torna anche il crafting con una nuova interfaccia molto più user friendly rispetto al primo titolo e con la possibilità di creare oggetti nuovi o potenziare le armi.
Il salvataggio non avviene più tramite il passaggio attraverso uno specchio rotto di carrolliana memoria da una dimensione onirica ad un’altra e l’interazione con l’inquietante ed inespressiva infermiera Tatiana del primo capitolo (che non preoccupatevi, tornerà in un qualche modo), ma verrà effettuato tramite un ben più semplice sistema elettronico piazzato nelle safe house. Al loro interno troveremo anche tavoli per il crafting, riserve di munizioni e materiali che si riempiranno col trascorrere del tempo in game, e una comodissima macchina per il caffè che ci permetterà di recuperare completamente la salute.
Qualcuno potrà storcere il naso all’introduzione di tutti questi sistemi che facilitano moltissimo l’avanzamento nel gioco, ma dato che Castellanos questa volta è entrato in un sistema preimpostato dalla Mobius che doveva riprodurre una tipica cittadina americana chiamata Union, è quasi logico che la stessa azienda abbia voluto rendere le cose più semplici ai propri tecnici e ai propri addetti alla sicurezza.
Potremo inoltre continuare a craftare oggetti anche quando saremo lontani dai banchi da lavoro, al costo di un maggior numero di componenti e senza la possibilità di potenziare le armi a nostra disposizione.
Tango Gameworks non è stata con le mani in mano in questi anni, tra la fine del periodo di supporto del primo capitolo all’inizio dello sviluppo di The Evil Within 2, ma ha osservato attentamente i trend e i prodotti videoludici rilasciati durante tutto il periodo.
Il risultato è un titolo che alterna momenti survival horror classici a sezioni più stealth action, con un sistema di combattimento che abbinato alla raccolta di risorse a al crafting diventa un gioco molto più simile ad un The Last Of Us che ad un survival horror più classico come era The Evil Within. Anche certe ambientazioni, certe azioni e alcune animazioni di Sebastian rimandano moltissimo a Joel, mentre la presenza di missioni secondarie associate ad un obiettivo primario possono dare quasi l’idea che gli sviluppatori abbiano preso spunto da Metal Gear Solid V The Phantom Pain, piuttosto che guardare indietro ai primi titoli di Resident Evil o della serie di Silent Hill.
Interessanti sono anche i brevi momenti investigativi che poteranno più di un utente a pensare alla Modalità Detective della serie Batman Arkham. Stessa cosa vale per alcune serrature che si dovranno aprire usando modulatori di frequenza, cosa già vista, appunto, nella serie di titoli Rocksteady dedicati al Cavaliere Oscuro.
Un bene? Un male? Un po’ tutti e due? No, solo un’esperienza di gioco diversa dal primo capitolo, una spolverata ad un gameplay tornato di moda negli ultimi anni per staccarsene e crescere, pur rimanendo ancorato a qualcosa che si è dimostrato vincente. Di fatto funziona bene e si adatta alla nuova veste semi open world che Tango Gameworks ha voluto dare al secondo titolo della saga.
Rimane quasi del tutto inalterata la dinamica di uccisione delle creature, che di senziente ormai non hanno più nulla se non la volontà di ammazzare qualsiasi cosa si muova e martoriarne il corpo a morsi.
Graficamente, The Evil Within 2 non fa gridare al miracolo. Sviluppato su STEM Engine, una variante del motore id Tech di id Software (lo stesso su cui sono stati sviluppati Doom e Prey), è sicuramente fluido e grazie ad un ottimo lavoro di ottimizzazione può essere giocato puntando a settaggi abbastanza alti anche su sistemi non recentissimi.
Non è un mostro di realismo, ma non intende nemmeno esserlo. Una grafica eccessivamente realistica su un titolo del genere può risultare deleteria per un giocatore un po’ sensibile, in quanto pur distaccandosi dall’atmosfera al limite del raggelante del primo capitolo, non manca di momenti horror nudi e crudi.
Ottimo lavoro per quanto il sonoro. Musiche ridotte all’osso ma rumori di fondo e ambientali eccellenti, per non parlare del doppiaggio originale che pur non contando grandi nomi nel cast, è di altissima qualità.
I comandi sono responsivi e precisi, sia utilizzando mouse e tastiera che usando un controller, nel nostro caso un Dual Shock 4.
Per quanto The Evil Within 2 sia un ottimo lavoro, siamo ben lontani dalla perfezione. Nonostante la narrativa incalzante, le ottime novità apportate al gameplay, la nuova direzione artistica e un comparto tecnico che, nonostante la grafica non proprio modernissima, si difende molto bene, non è esente da difetti. Possiamo notare infatti una tendenza al citazionismo e all’eccessivo uso di rimandi e di location già viste.
Abbiamo già citato The Last Of Us per il gameplay più action e meno survival, ma non è strano arrivare ad Union e pensare a Silent Hill Downpour senza le sezioni nell’Altro Mondo, o, per citare un titolo molto più recente, le prime fasi dentro lo STEM si svolgono in una casa che, ad un appassionato del genere, farà pensare sicuramente all’ambientazione di Resident Evil 7.
Può far storcere il naso anche la scelta di ambientare il titolo in un mondo così vasto e potenzialmente dispersivo, con anche l’aggiunta di missioni secondarie che, sì, aiutano moltissimo a comprendere meglio la lore della saga, ma che per un giocatore di titoli di questo tipo possono risultare di troppo.
Non lo sono necessariamente, ma se ci si mette nei panni di un appassionato di survival horror più old school come era in effetti il primo Evil Within, si può effettivamente avere questa impressione.
The Evil Within 2 è un titolo convincente, incalzante e moderno, che porta avanti una saga ben piantata nelle radici survival horror di metà anni 90. Ne porta avanti l’eredità e traghettandola in un contesto moderno nel modo corretto, prendendo ciò che avevano cominciato nel primo capitolo ed ampliandolo fino a creare un mondo nuovo, più aperto, ma non meno spaventoso.
This post was published on 14 Ottobre 2017 9:12
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