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Recensione: Deadbeat Heroes

Una ricetta assurda

Provate a immaginare di avere davanti uno shaker di quelli per cocktail, ma che al posto di una bevanda una volta usato trasformi gli ingredienti che vi inserite in un videogioco. Immaginate ora di metterci dentro un po’ di Batman del recentemente scomparso Adam West, un po’ di Austin Powers, un pizzico di Kingsmen e una spruzzata di humor inglese, agitate con forza, versate su Steam e guarnite con un tocco aggiuntivo di Mark Millar e il suo leggiadro nonsense. Quel che ne esce è Deadbeat Heroes, un piccolo beat ’em up che lancia letteralmente il prendersi sul serio fuori dalla finestra e si mostra per quello che è, ovvero un relativamente breve momento di intrattenimento videoludico rimpinzato di riferimenti alla pop culture e al mondo di cinema e fumetti che fa ridere solo a guardarlo.

Grafica coloratissima, look retro anni 60, battute a doppio senso, cattivi improponibili e un supereroe che è un misto tra Galahad di Kingsmen (il personaggio di Colin Firth per intenderci) e il Clark Kent di Christopher Reeve e un capo supereroe che soffre di sciatica. Scopo del gioco? Eliminare tutti gli strambi supercattivi da Londra pestando a sangue i loro scagnozzi finché questi non si arrabbiano ed escono dal loro nascondiglio per cercare di farvi fuori a loro volta. Niente di più, niente di meno. Non aspettatevi chissà quale trama, non è diversa da un cinecomic qualunque: buoni contro cattivi e i cattivi sono strambi assai.

Deadbeat Heroes è un beat ’em up senza troppe pretese che più che puntare sul gameplay punta sul fattore intrattenimento duro e puro. Non porta nulla di nuovo: la grafica è minimale ma funzionale e il grosso del gioco lo si porta avanti con quattro mosse base senza stare a diventare matti con combo strane, sequenze di tasti astruse o impossibili da memorizzare.  Andando avanti arriveranno scagnozzi un po’ più tosti da stendere, ma basterà imparare quei due trucchetti – spiegati per filo e per segno ogni volta che un goon un po’ più potente viene introdotto – e potrete procedere senza problemi.

Il grosso della difficoltà sta nel raggiungere il voto minimo necessario per il completamento dello stage, in quanto il boss finale del capitolo si “arrabbierà” abbastanza da farsi vedere solo se raggiungerete il grado minimo in tutti e tre gli stage di cui è composta quella sezione particolare. In caso di insuccesso non disperate, ogni stage sarà ripetibile e sono tutti talmente brevi che rigiocarli non vi richiederà più di cinque minuti.

Le bossfight sono quanto di più semplice ci sia: ognuno ha le proprie debolezze e i propri punti di forza, solitamente stanno su una piattaforma rialzata a lanciare i propri attacchi e ondate di mob più deboli per distrarvi, ma nulla di eccessivamente complesso. Caricate la supermossa e vi libererete di loro con quattro o cinque colpi.

Comparto tecnico ben fatto

Non siamo sicuramente di fronte ad un capolavoro, ma Deadbeat Heroes è fatto bene. Graficamente ne abbiamo già parlato, è minimale ma di buona fattura, i comandi rispondono bene ma non pensate si possa portare a termine semplicemente con il button mashing: ogni colpo ha un certo lag time in cui non si potrà usare, per la semplice ragione che altrimenti il gameplay sarebbe sbilancianto in vostro favore, rendendovi quasi invulnerabili.

Ottimo invece l’audio, forse l’aspetto tecnico che più è riuscito in Deadbeat Heroes. Le musiche sono piacevoli e rimandano ad un’epoca diversa che molti di noi hanno visto solo tramite film e telefilm, i suoni sembrano usciti direttamente dalla serie di Batman degli anni 60. per non parlare delle onomatopee che spuntano a caso di tanto in tanto. Una cosa molto carina è l’introduzione della mossa “quip”, letteralmente “fare una battuta di spirito”, utile per estendere il tempo necessario per inanellare una serie di colpi andati a segno più lunga e per farsi una risatina.

Peccato però che…

Diventi noioso in fretta, per lo meno in single player. In multiplayer locale cooperativo Deadbeat Heroes ci guadagna, diventa un po’ più divertente e godibile, ma da soli diventa un po’ noioso, e neanche troppo tardi. Il gioco è mediamente lungo per essere un titolo indie senza troppe pretese, lo si potrebbe completare in una sessione sola se si ha la pazienza di star lì senza interruzioni, ma il problema è proprio trovarla. Meglio raccattare un amico, un fidanzato o fidanzata, il marito o la moglie o perché no pure un figlio, collegare due pad e giocare insieme. E’ molto, molto più appagante, un po’ come per altri beat ’em up recentemente usciti come Charlie Murder.

Deadbeat Heroes è un titolo senza pretese ma che riserva delle sorprese molto carine e apprezzabili. Per i fan del genere, per chi ama le coop locali e per chi ama i supereroi, siano essi quelli “standard” o quelli un po’ meno brandizzati, vedi appunto i prodotti di Mark Millar. E perché no, per i fan di Austin Powers.

 

 

This post was published on 13 Ottobre 2017 12:00

Eleonora Muzzi

Professionista del doppio senso, videogiocatrice da un quarto di secolo, scrittrice per hobby, geek da sempre. Alla ricerca di più posto per sistemare i fumetti e videogiochi. Gioco ad un po' di tutto, non ho un genere preferito in assoluto, ma tendo a prediligere FPS con elementi RPG e stealth, anche se di tanto in tanto potreste trovarmi in un tunnel chiamato Cities Skylines in cui mi rintano per settimane a volte, dimenticandomi che esistono altri tipi di gioco.

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