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Recensione: ECHO

Lo scorso maggio Square Enix ha deciso di rompere con Io-Interactive. A causa di ciò, lo studio danese si è visto costretto a licenziare diversi membri dello studio e a dover rivalutare il suo futuro. La cosa non era una novità, tanto che vi erano già stati licenziamenti e membri del team che avevano lasciato Io-Interactive un anno prima, fondando lo studio danese Ultra Ultra.

ECHO, opera prima di Ultra Ultra, è uno stealth game fantascientifico pieno di stile, con dinamiche fresche, un’estetica che colpisce immediatamente, e un universo narrativo affascinante.

En, protagonista di ECHO, al suo risveglio.

Un universo criptico

ECHO ci mette nei panni di En, protagonista dal passato nebbioso che si risveglia sul lettino di un’astronave. Ad accompagnare il nostro risveglio c’è London, l’intelligenza artificiale della nave che non nasconde il suo astio per la protagonista.

L’universo narrativo del gioco è estremamente criptico: nelle prime fasi di questo mondo sappiamo solo che En è scappata da suo Nonno e che quest’ultimo ha incaricato Foster, proprietario della nave a cui London è legato, di catturarla e riportargliela.

Del passato scopriremo molto poco, solitamente grazie alla protagonista o all’intelligenza artificiale che la accompagna, ma una delle poche cose che abbiamo in chiaro sin dalle prime battute è che En ha dormito per più di un secolo e che Foster è morto per colpa sua (motivo per cui London la tratta aspramente). Nel mondo di ECHO, tuttavia, la morte non è permanente, non quella di Foster perlomeno: egli è infatti stato “trasferito” dentro un cubo.

Una cosa importante che devo sottolineare riguardo alla cripticità (e al fascino) di questo universo narrativo è legata al fatto che ECHO non fa uso di infodump, ovvero quando vengono vomitate informazioni al giocatore per rendergli familiare un mondo a cui non appartiene. Noi in quanto giocatori saremo estranei a questo mondo per tutto il gioco. En e London parlano tra di loro, non con noi. I loro dialoghi non sono mai diretti verso di noi, non ci “spiegano” le cose: le loro conversazioni non sono una scusa per renderci consapevoli di quello che succede nel loro mondo, ma piuttosto servono a loro per chiarirsi e comunicare le proprie posizioni all’interno dell’universo narrativo. Il giocatore non è altro che uno spettatore di questa narrazione.

Il palazzo è maestoso ed inquietante al tempo stesso.

Il palazzo ci osserva

Se escludiamo la prima fase di gioco, ECHO è ambientato all’interno di un leggendario palazzo che ricopre l’intera superficie del pianeta che lo ospita, arrivando sino alle profondità del suo nucleo. En è interessata al riportare in vita Foster, ma veniamo a sapere ben presto che questo enorme edificio è stato pensato come magione per i ricchi e i potenti.

Proprio durante la nostra esplorazione, qualcosa di strano accade: il cubo ci segnala la via da prendere, interferendo misteriosamente con la nostra interfaccia, e il palazzo alterna cicli di luce a cicli di blackout. Alcune forme di vita spuntano dal nulla dopo ogni ciclo, prendendo la nostra immagine e somiglianza, e cercheranno di ucciderci a vista.

Questa è l’introduzione ad ECHO e a ciò che lo rende un ottimo stealth game. La struttura del palazzo è divisa in aree e per poter proseguire avremo bisogno di superare diversi ostacoli come ad esempio ottenere scettri che permettano di aprire determinate porte, raggiungere specifici ascensori, oppure raccogliere un certo numero di sfere che ci garantiscano l’accesso all’area successiva. Il problema principale, comunque, saremo noi stessi. O, meglio, le nostre copie.

Nonostante ad un primo approccio questi nemici possano sembrare degli zombie senza cervello, gongolanti finché non ci notano, essi sono legati a doppio filo al palazzo stesso tramite la brillante meccanica che sta al centro di ECHO. Durante ogni ciclo di luce il palazzo ci osserverà e terrà conto del nostro comportamento per poi, dopo ogni blackout, imprimerlo nelle nostre copie. Le azioni che En compierà durante le fasi di luce verranno quindi usate contro di noi nel ciclo successivo, rendendoci artefici della nostra rovina.

Girare accucciati per non farsi scoprire farà girare accucciate anche le nostre copie, rendendole difficili da vedere. Sparare ad una copia che ci stava per uccidere permetterà ai nostri nemici di spararci a vista. Aprire porte, scavalcare, arrampicarsi, e molte altre azioni saranno i nostri strumenti per superare i livelli e, al contempo, le azioni che permetteremo alle nostre copie. Da qui il nome ECHO: le azioni delle nostre copie non sono altro che echi del nostro comportamento nel ciclo precedente.

Le fasi di blackout saranno spesso le più tese a causa della carenza di illuminazione, ma anche quelle in cui il rischiare sarà più ricompensato: durante il buio il palazzo è cieco e i nostri comportamenti in questa fase non influenzeranno il prossimo ciclo di echi. Dopo ogni blackout tutti gli echi eliminati torneranno in vita, quindi ricordate: se sparare a vista può essere una soluzione ad una situazione al cardiopalma, sarà anche un vostro problema nel ciclo successivo.

ECHO regala fantastici momenti al cardiopalma quando siamo circondati da copie intenzionate a ucciderci.

Complimenti all’architetto

Non si può parlare di ECHO senza complimentarsi per la direzione tecnica e artistica. A partire dal menu iniziale, l’estetica del gioco si divide principalmente in due: da una parte abbiamo neri, blu, e rossi per l’astronave e le fasi di buio, dall’altra abbiamo bianco, oro, bronzo, e rame per le fasi di luce. L’architettura del palazzo è direttamente ispirata ad uno stile di interior design veneziano del diciannovesimo secolo, fornendo ad ogni ambiente maestosità e opulenza. Contemporaneamente, però, la vuotezza e il silenzio che ci accompagnano affiancano il mondo di gioco con un decadentismo e un’obsolescenza persistenti.

Esplorare camere e corridoi che si estendono quasi all’infinito senza incontrare nessun suono ambientale o anima viva contribuisce anche alla perenne sensazione di solitudine della protagonista En. Solitudine interrotta ogni tanto dal dialogo con London, di fatto quasi compagno di viaggio, e dal sound design delle fasi con gli echi.

Se nelle fasi di esplorazione silenziosa la colonna sonora ci affianca musiche che sembrano uscite direttamente da uno spot per profumi francesi, in quelle stealth e più concitate un audio elettronico e pulsante rappresenterà perfettamente la tensione che ECHO può raggiungere in alcuni momenti.

La sentite anche voi la musica da spot di profumo francese?

Il Giudizio

ECHO è un’ottima opera prima. Il passato degli sviluppatori sulla serie Hitman trova qui ampio margine di espressione che forma il cuore dello stealth di questo gioco. Questo titolo è sicuramente una ventata d’aria fresca per il genere ma, come ogni stealth, può risultare frustrante e ripetitivo per i meno pazienti: agire inconsciamente per via della fretta renderà i nostri echo frettolosi e incoscienti. La direzione artistica ha fatto un ottimo lavoro e capiterà spesso di rimanere a bocca aperta davanti alle varie aree del palazzo.

Se il genere stealth fa per voi, siete pazienti, e non siete spaventati da un universo narrativo criptico, ECHO è sicuramente un gioco da avere.

 

This post was published on 11 Ottobre 2017 12:00

Rugerfred

Game Designer, videogiocatore, sperimentatore musicale e affamato di sapere. Ha un conto aperto con Volfied e troppi progetti aperti e non finiti per poter vivere tranquillamente. Cerca di dividere il proprio tempo libero tra gioco analogico e digitale, trovandosi così con giochi che occupano la maggior parte del suo spazio virtuale e fisico.

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