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Pubblicato in: Recensioni

Tales of Zestiria – Recensione

Articolo a cura di Gianluca “Dottorkillex” Arena

Finora stranamente assente all’appello dei giochi di ruolo giapponesi approdati su Playstation 4, la saga di “Tales of” di Bandai Namco debutta sulla console Sony con Tales of Zestiria, capitolo cross gen (è disponibile anche in versione PS3, piattaforma di riferimento all’inizio del ciclo di programmazione) che promette l’aggiunta di un open world al consueto, viscerale sistema di combattimento in real time, che ha contribuito a decretare il successo dei numerosi capitoli che l’hanno preceduto.
Dopo quasi cinquanta ore di test, eccovi il nostro parare su uno dei JRPG più attesi del 2015.

Umanità in ginocchio

Nonostante la palette di colori ricchissima e il tratto spensierato che ne caratterizzano il colpo d’occhio, i temi trattati da Tales of Zestiria sono più seri di quanto si possa pensare: il mondo degli uomini, stretto tra l’avidità e l’egoismo, sta nutrendo, con il suo carico di emozioni negative, gli Avernali, spiriti malefici che, celati alla vista delle persone, vivono in mezzo a loro, accumulando ricchezze e cibandosi delle debolezze umane.
Questa corruzione dilagante non può non avere effetti  anche sulla natura, tanto che, nel filmato che apre le danze, il cielo si oscura all’improvviso, annegando la terra in una notte senza fine: secondo la leggenda, solo un Redentore può salvare l’umanità, e indovinate a chi toccherà interpretarlo?
Al di là dei parallelismi religiosi, le vicende narrate dall’ultima fatica del team di Hideo Baba, dopo un inizio molto lento, riescono a carburare, proponendo però un cast di personaggi altalenante, all’interno del quale coesistono personalità ben delineate e stereotipi ambulanti, presi di peso dall’immaginario ruolistico giapponese, che proprio la saga dei Tales of ha contribuito a creare nel corso degli ultimi vent’anni.
Paradossalmente, il personaggio più bidimensionale è proprio il protagonista: Sorey incarna perfettamente il profilo del bravo ragazzo di campagna, con una conoscenza delle cose del mondo assai limitata, il cui buon cuore lo porta a vivere un’avventura eccezionale e a rivestire un ruolo cardine per la salvezza del genere umano, che passa per i Serafini, spiriti benigni contrapposti agli Avernali.
Completamente autoconclusivo e staccato dalle trame che l’hanno preceduto, l’intreccio regge, tutto sommato egregiamente, a patto che il giocatore sia disposto a passare sopra l’utilizzo di luoghi comuni e personaggi dei quali, già dopo una mezza occhiata, è possibile prevedere il comportamento per tutto il resto dell’avventura.
I neofiti del genere, cui, come vedremo, il titolo sembra essere primariamente indirizzato, si godranno comunque la storia senza troppo impegno, giungendo al termine non prima di una cinquantina di ore abbondanti.

Ognuno merita una possibilità

Se, ad uno sguardo veloce, potrebbe sembrare che il gameplay di Tales of Zestiria ricalchi abbastanza pedissequamente gli stilemi cui la saga ha abituato i suoi milioni di fan, già dopo una decina di ore di giocato ci si accorge che una serie di piccole modifiche ha spostato il focus del gioco, che, pur rimanendo immutato nei suoi capisaldi, strizza l’occhio a tutti coloro che non si sono mai cimentati con un JRPG che portasse il nome dei Tales.
Come da tradizione, il giocatore guida un party di personaggi di numero variabile, esplora il mondo di gioco (stavolta con meno schermate di caricamento ad interrompere le fasi di esplorazione) e combatte nemici visibili sulla mappa tramite un sistema di combattimento veloce, con forte enfasi sull’azione, che ricorda molto da vicino un action game all’acqua di rose.
Attacchi regolari e Arti sono mappati a piacimento ai tasti frontali di PS4, e, in combinazione con la direzione dello stick analogico, danno vita a combinazioni anche molto lunghe, che impediscono ai nemici di reagire, quasi fossimo in un picchiaduro: che siate veterani o neofiti, ogni battaglia di Tales of Zestiria saprà regalarvi una scossa di adrenalina.
Scelte di game design precise e coerenti tra loro, però, sembrano indirizzare il gioco verso un pubblico inesperto, più che verso la fanbase più affezionata alla saga: dalla gestione del personaggio a quella degli spuntini, ovvero oggetti consumabili che migliorano temporaneamente le caratteristiche del party, passando per la possibilità di recuperare tutti i punti ferita persi tra una battaglia e l’altra, il sistema appare pensato per quanti vogliano dare una possibilità alla serie per la prima volta.
Anche una volta ingaggiato un nemico, il nuovo sistema che regola quantità e frequenza dell’uso delle Arti risulta sbilanciato: queste consumano CS, intaccati, in maniera minore, anche dagli attacchi regolari, e ripristinabili semplicemente parando con successo un attacco avversario (tramite la pressione del tasto quadrato).
Questo significa, in soldoni, un flusso virtualmente infinito di mosse e skill a disposizione del giocatore, con l’ago della bilancia che finisce con il pendere verso il button mashing più forsennato in luogo di una pianificazione strategica basata sulla quantità rimanente di punti magici.
Se questa scelta, nel breve periodo, assicura combattimenti entusiasmanti già dai livelli più bassi e velocizza il ritmo degli scontri (e, conseguentemente, del gioco), alla lunga si sente la mancanza della profondità che caratterizzava i migliori esponenti della serie fin qui.
L’altro risultato è che la difficoltà di gioco si è fatta decisamente più accondiscendente, tanto che solamente il livello Difficile (l’ultimo dei quattro disponibili) è capace di offrire ai giocatori più navigati una sfida stimolante, a patto di non abusare della possibilità di fondersi con uno dei Serafini, ovviamente: alla pressione del dorsale sinistro, il protagonista indossa un’armatura magica, e vede ulteriormente potenziati i suoi valori di attacco e difesa, facendo strage delle truppe nemiche.
Certamente spettacolare, questa soluzione di gameplay mortifica il bilanciamento, sottraendo profondità ad un titolo altrimenti assai godibile.

PS3 to PS4

Il meraviglioso character design e la bellezza dei filmati di intermezzo, girati in uno stile anime che, personalmente, non stanca mai, non riescono comunque a nascondere le origini PS3 del progetto, con tante texture di bassa qualità sparse per il mondo di gioco a fare da contraltare agli ottimi modelli poligonali dei personaggi.
Considerando lo sviluppo cross gen e il fatto che raramente, prima di Zestiria, la saga aveva sfornato titoli inappuntabili a livello tecnico, si può chiudere un occhio sulle magagne grafiche, ma è bene tener presente, per i potenziali acquirenti, che la potenza di PS4 qui non si vede.
Molto bene, invece, il versante sonoro, che si fregia della doppia traccia audio giapponese/inglese, con la prima che si lascia preferire non solo per la qualità recitativa, ma anche per la sincronizzazione con il labiale dei personaggi a schermo.
Nessun appunto nemmeno sulla longevità, in linea con quella (sempre più che soddisfacente) del resto della serie: aspettatevi di spendere anche fino a settanta ore con il gioco in caso voleste affrontare tutte le ricerche e le missioni collaterali a quella principale.

Commento finale

Tales of Zestiria apre le porte a schiere di nuovi appassionati, nel tentativo di espandere ancora di più una fanbase già fortissima, tanto in patria quanto in occidente.
Proprio questa folta community, però, potrebbe non gradire le numerose, piccole semplificazioni che ne caratterizzano il gameplay, o l’involuzione del livello di sfida, caratteristica costante di molti degli episodi più riusciti della saga fin qua.
Siamo comunque dinanzi ad un prodotto meritevole, per offerta ludica, valori produttivi e tasso di divertimento, ma dall’esordio su PS4 era lecito attendersi qualcosina in più.

This post was published on 23 Ottobre 2015 11:24

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