Devil’s Third – Recensione

A cura di Stefania Sperandio

Qualche settimana fa, su queste stesse pagine, abbiamo parlato delle nostre prime impressioni relative a Devil’s Third, la più recente opera di Tomonobu Itagaki in uscita tra pochissimi giorni su Nintendo Wii U. Come ricorderete, il primo impatto non fu esattamente dei più felici, e anche in sede di recensione le nostre opinioni non sono cambiate. L’avventura tutta sangue e tatuaggi del gigantesco Ivan, insomma, non è esattamente la killer app della più giovane console domestica Nintendo, e viene stritolata da difetti grossolani e difficilmente ignorabili, anche se a tratti riesce a divertire.

Vediamo tutto quanto più da vicino.


Ivan non ha paura di niente 

La modalità cardine del gioco è ovviamente quella relativa alla campagna, nella quale controllerete il protagonista. Dopo il manifestarsi della sindrome di Kessler e il crollo dei satelliti per le telecomunicazioni, il mondo è un focolaio di guerra gravido di gruppi terroristici pronti a prenderne il controllo. Gli Stati Uniti sono quindi costretti a ricorrere all’aiuto di Ivan, ex compagno di un gruppo rivoluzionario ora particolarmente pericoloso e formidabile combattente, per tentare di risolvere la situazione. Così, all’interno di una narrativa rigorosamente in inglese che parte da uno spunto fantapolitico interessante e che finisce con lo sfociare nella fantascienza più grottesca (non anticipiamo niente), prendiamo finalmente il controllo dell’anti-eroe russo, comiciando la sequela di missioni che ci porteranno a cercare di risolvere la situazione. Come vi avevamo già anticipato in sede di anteprima, il gameplay si snoda così in ambientazioni lineari e quasi sempre rigorosamente orizzontali, separate le une dalle altre in un concetto di stage tradizionale. Le fasi esplorative, tuttavia, hanno davvero poco da dire, limitandovi a farvi vagare in veri e propri corridoi, e non è un segreto che il gioco punti tutto sui combattimenti. Questi ultimi si reggono su due meccaniche: l’hack n’ slash e lo sparatutto. Nel primo caso, Ivan porta sempre con sé un’arma da mischia (o le mani nude), e può mettere insieme delle combo letali per avere ragione dei nemici, facendoli letteralmente a pezzi – poco importa se a colpi di katana o di machete. Concatenando degli attacchi con successo, ci ritroveremo a caricare una barra e, al completamento di quest’ultima, a godere di circa trenta secondi di colpi potenziati particolarmente coreografici, con tanto di effetto rallentatore a spettacolarizzare le sequenze. Sebbene i nemici siano spesso stupidi, ma riescano comunque di tanto in tanto a costringervi ad usare le parate per provare a contrattaccare rapidamente, aprendo le loro difese, le meccaniche di combattimento ravvicinato sono effettivamente la parte che abbiamo trovato più gradevole dell’intera esperienza, se non altro per l’alto tasso di adrenalina. Va diversamente, invece, con le sparatorie, che sono contemporaneamente pilastro e tallone d’achille dell’offerta ludica: mano a mano che procederete negli stage, infatti, Itagaki ha benpensato di far corrispondere l’aumento di difficoltà ad un incremento esponenziale del numero di avversari, che vi spareranno addosso senza pietà, e di fatto il gameplay si costruirà interamente su di esse. L’approccio hack n’ slash diventa quindi impossibile da utilizzare – se non con i nemici più vicini – e dovrete ricorrere alle due armi da fuoco che Ivan può portare con sé, spesso raccogliendole direttamente sul campo di battaglia. Si va quindi dalle mitragliatrici ai fucili d’assalto, passando per i fucili da tiro, le pistole e i lanciarazzi: l’assortimento è effettivamente vasto, ma c’è da dire che rare volte sentirete la necessità di utilizzare qualcosa che non siano le armi dalla cadenza di fuoco il più rapida possibile. Se, normalmente, esplorerete in terza persona, una volta imbracciato il fucile passerete alla soggettiva, vedendo il titolo tramutarsi a tutti gli effetti in un first person shooter. Purtroppo, però, queste fasi non sono per niente appaganti, ed anzi spesso le orde di nemici non proprio svegli (li vedrete lanciarsi le granate addosso uccidendosi da soli, per dirne una) vi faranno crollare nella frustrazione. C’è anche da dire che le abilità di questi stessi avversari sembrano abbastanza casuali, dal momento che quegli stessi suicidi che si faranno saltare in aria da soli potrebbero anche essere in grado di centrarvi con una raffica da trenta colpi da cinquanta metri di distanza.

Le meccaniche vengono rese più interessanti dal sistema di copertura automatico, che vede Ivan ripararsi dietro a qualsiasi oggetto per evitare il fuoco avversario, ma nel complesso non costituiscono sicuramente la parte più brillante dell’opera. A ciò, sommate che ad un tentativo di approccio differente, come quello con il fucile da tiro, dovete sposare i limiti tecnici dell’opera: imbracciare le armi da cecchino, infatti, vi farà scontrare con una profondità di campo imbarazzante, dove lo sfondo degli scenari è spesso costituito da sagome senza texture, degne di almeno due generazioni di console fa. Ma questa è un’altra storia. Sulla carta, è buona invece la varietà dei nemici, che sebbene nella stragrande maggioranza dei casi si limitino ad avversari armati di fucile d’assalto, coinvolgono anche specialisti dell’arma bianca, veri e propri assalitori quasi indistruttibili e altre creature di dubbia credibilità (c’è da dirlo), che dovrete trovare il modo di buttare giù. Brilla meno, in questo caso, proprio il fatto che la tecnica per farlo è di solito sempre la stessa, ossia votarsi all’attacco, dato che sono pochissimi gli avversari che davvero vi costringeranno ad utilizzare feature come la schivata, la parata o la rotolata per sorprenderli sul fianco scoperto.

Una volta che avrete sconfitto i nemici che tenteranno di sbarrarvi la strada, dovrete affrontare, in quasi tutti gli stage, un classico boss: in questo caso, abbiamo trovato alcuni scontri interessanti e capaci di costringervi ad utilizzare al meglio le meccaniche apprese. Altri, però, sono afflitti da una manifesta stupidità artificiale del vostro avversario, e la sua sconfitta potrebbe causarvi più rassegnazione che appagamento. A quanto pare, perfino lo stesso Itagaki si è reso conto che i boss, via via che il gioco avanzava, stavano diventando sempre meno ispirati, ed ha finito con il dimenticare questa feature per qualche stage, salvo poi riproporla senza affidarsi ad uno schema ben preciso. Lo stesso accade anche con altri elementi del gameplay, come gli occhiali a infrarossi di Ivan – utili a svelare le trappole dei nemici – se non fosse che, ad eccezione di quando vi verrà mostrata questa funzione, non ne incontrerete praticamente mai.

A tentare di farvi rimanere incollati al gioco ci sono poi dei collezionabili, definiti “Trofei”, che potete trovare nel corso della campagna, e che vi consentono di ottenere delle ricompense nel multiplayer online. Quest’ultimo consente di creare un proprio soldato, scegliendone sesso e (limitatamente) aspetto fisico. Una volta fatto, potete decidere in quale campo specializzarvi (se nell’assalto o nell’arte del cecchinaggio, ad esempio) e partecipare così a dieci diverse tipologie di sfide, tra le quali alcune particolarmente folli che coinvolgono perfino le galline. Purtroppo, abbiamo potuto solo assaggiare l’esperienza offerta da questo comparto, vista l’assenza di altri giocatori da sfidare, ma un elemento ci ha lasciato abbastanza interdetti: al suo interno, infatti, sono presenti due valute, i Dollen e i Golden Eggs. Se i primi servono ad acquistare armi migliori, i secondi sono invece quelli che vengono sbloccati ottenendo i Trofei di cui sopra, sacrificando i Dollen ottenuti completando le missioni o, attenzione, con moneta reale. Dopo aver acquistato il gioco, insomma, fa un po’ tristezza aver bisogno di spendere ulteriore denaro per sbloccare le personalizzazioni del proprio alter ego, nel tentativo di dare un senso ai design altrimenti anonimi del proprio avatar. Appare abbastanza chiaro, insomma, che buttando lì le microtransazioni i ragazzi di Valhalla Game Studios sperino di aver trovato una gallina dalle uova d’oro (era proprio il caso di dirlo, visti i Golden Eggs), al punto che la sola modalità online arriverà come free-to-play anche su PC, in futuro. Il nostro primo impatto, per quanto limitato, ci ha suggerito che le modalità saranno abbastanza varie da poter offrire un’esperienza non ripetitiva – anche se non mancano i classici come i deathmatch, a squadre e non – che però purtroppo si fonderà proprio su quel sistema di shooting non proprio robusto che caratterizza il single player.

 

Non volere significa non potere

Abbiamo accennato in precedenza i grattacapi tecnici ai quali il gioco ci pone di fronte, che meritano un approfondimento. Come avevamo già notato in sede di anteprima, infatti, Devil’s Third mette a nudo senza troppi imbarazzi il suo travagliatissimo sviluppo (che risale ai tempi in cui THQ era ancora in piedi), e si presenta sul mercato con alcuni difetti che rendono il suo prezzo giustificato solo agli occhi degli itagakiani più convinti. L’esperienza ludica con protagonsita Ivan, infatti, svela gli sforzi degli sviluppatori di realizzare con cura almeno i modelli dei protagonisti, ma crolla innanzi alle ambientazioni, che presentano texture slavate dall’aspetto vetusto. Come accennato, oltretutto, il tentativo di fornire una buona profondità di campo nelle ambientazioni più estese risulta un autogol, dal momento che i panorami degli scenari somigliano a qualcosa che si poteva vedere ai tempi di PlayStation 2, per capirci. Fanno un’eccezione alcune ambientazioni orientali, dove è presente una maggior cura per il dettaglio, ma in tutti gli altri casi le perplessità sono parecchie e difficili da non rimarcare.


Purtroppo, queste non sono nemmeno le uniche, in merito al profilo tecnico: quello che turba di più, oltre alla valanga di pop-up di contenuti su schermo, è il crollo repentino del frame-rate, davvero instabile nei momenti in cui i nemici si faranno particolarmente numerosi e le scene di lotta frenetiche. Capiamoci, il titolo rimane nella sua larga parte fruibile, ma vedere il frame-rate zoppicare perfino nel filmato finale ha avuto francamente dell’assurdo. Visto quanto tempo Itagaki e i suoi hanno impiegato per partorire Devil’s Third, nessuno si sarebbe scandalizzato se ne avessero chiesto dell’altro per provare a sistemare questi difetti, piuttosto grossolani.

Diamo invece una menzione di merito alla colonna sonora, ispirata e sempre adeguata alla situazione, che si sposa benissimo al clima da testosteronico film d’azione Anni Ottanta che respirerete per tutta la durata dell’opera.

 

Commento finale

Siamo certi che Tomonobu Itagaki sia davvero convinto della bontà di Devil’s Third, dal momento che il gioco è pregno delle sue stravaganze e della sua dirompente personalità artistica. Purtroppo, però, la frattura tra hack n’ slash e sparatutto si sente, e la predominanza assunta dalle seconde sequenze rispetto alle prime finisce paradossalmente con il penalizzare il prodotto. C’è però da sottolineare che, accettati i difetti evidenti, si tratta di un videogioco che riuscirà a farvi divertire, sopratutto quando vi lancerete nelle scazzottate o, armati della violenza più becera, quando comincerete a scatenarvi a colpi di lame, spranghe e via dicendo sulla resistenza dei vostri non proprio astuti avversari. Se, insomma, il pasticcio realizzato a livello grafico è evidente, le meccaniche sparatutto sono monotone e non proprio agili, alcune scelte di narrativa e game design sono surreali (vi abbiamo già detto che sarete spesso uccisi da ondate di pipistrelli difficili da schivare?) e il multiplayer violato dalle microtransazioni tenta di arraffare quanto più denaro possibile, è anche vero che Devil’s Third scorre e si lascia completare, erigendosi a portavoce di un’apologia del trash che potrebbe sicuramente trovare qualche estimatore. Il tutto, sottolineaiamo di nuovo, a patto che siate disposti ad accettare i suoi grossolani peccati originali.