The Solus project è un gioco al quale, personalmente, devo chiedere scusa. Devo chiedergli scusa perché, dopo l’introduzione e le prime fasi di gioco, ero già pronto a massacrarlo senza pietà, chiudendo in malo modo l’applicazione e cancellando per sempre ogni traccia del suo passaggio sulla mia PS4. Gli devo chiedere scusa perché, se mi fossi lasciato tentare dalle sensazioni del primo approccio, avrei probabilmente perso la possibilità di misurarmi con uno dei titoli indie più interessanti degli ultimi tempi.
L’introduzione in effetti non è il massimo per quanto riguarda l’originalità. Siamo ben oltre il 2100 e l’umanità, dopo aver perso la sua cara terra, si è vista costretta a mandare nello spazio alcune spedizioni in cerca di nuovi mondi da abitare. Fin qui nulla di nuovo sotto il sole, quello della ricerca di una nuova casa è uno dei temi più frequenti nella fantascienza moderna, e la paura di distruggere il nostro mondo è paragonabile a quella della guerra atomica vissuta negli anni ’50.
Nelle primissime immagini del titolo ci troveremo ad assistere all’esplosione di una di queste navi da esplorazione, ritrovandoci all’improvviso all’interno di una capsula di salvataggio intenta a precipitare su un mondo alieno. Una scena che non può non far venire in mente il film “Gravity“, in quella che possiamo a tutti gli effetti considerare una citazione ben costruita. Il primo impatto con il mondo sul quale siamo atterrati sarà a tutti gli effetti molto duro.
Una volta a terra infatti ci vorrà poco a capire che siamo davanti ad un mondo desolato ed ostile, circondati unicamente da rottami e senza indicazioni precise su cosa fare. Per restare sempre in campo cinematografico, mi sono sentito un po’ come Matt Damon in “The Martian“, un uomo solo, che deve trovare il modo di costruire gli strumenti che gli servono per sopravvivere e sopratutto per cercare di chiedere aiuto. A rendere il tutto più immersivo e realistico ci sono una serie di parametri fisici da tenere sempre d’occhio.
Grazie ad un fondamentale palmare infatti, dovremo tenere d’occhio la nostra temperatura corporea, evitando di prendere ustioni o di andare in ipotermia, il nostro fabbisogno d’acqua, e le calorie del nostro corpo, da alimentare attraverso l’assunzione di cibo e il nostro bisogno di riposo. Una meccanica molto interessante, che probabilmente, in presenza di risorse meno abbondanti, avrebbe creato un serissimo e intrigante livello di sfida, anche per giocatori molto esperti.
Fino a qui, The Solus project, risulta essere un gioco simile a molti altri, con una grafica non particolarmente accattivante, un livello di sfida nella norma e un crafting non particolarmente profondo. Un mix di walking simulator e survival come altri, senza infamia e senza lode. E invece, con una vera e propria “mossa Kansas City” (per chi non sapesse cos’è consiglio di chiedere a Bruce Willis in “Slevin”) gli autori del gioco riescono a spostare il focus da noi al pianeta su cui siamo finiti.
All’improvviso infatti ci renderemo conto di non essere soli come pensavamo, ma di essere finiti al centro di un mondo vivo, con misteri, ambientazioni, incisioni e geroglifici. Un luogo che vuole essere esplorato e scoperto, che sembra abbia molto da dirci, su se stesso e su noi. I toni assumono contorni più inquietanti, quasi horror, e come per magia le pellicole di riferimento sembrano diventare i prequel di Alien, con il loro carico di domande su chi siamo e da dove veniamo.
Muoversi, cercare ripari, dormire, scaldarsi, mangiare, esplorare. The Solus project ci regala un’esperienza a tutto tondo, sostenuta e resa unica da una trama davvero avvincente e profonda.
Il resto, con le oltre dieci ore di gioco (che possono diventare facilmente venti esplorando tutto scrupolosamente), i misteri, i colpi di scena, le implicazioni filosofiche, le lascio volentieri a chi deciderà di provare il titolo, senza correre il rischio di spoilerare altro su una trama che è il vero punto di forza di questo titolo. Volendo invece spenderei una parola sui controlli e il gameplay.
La versione per PS4 può essere giocata sia con il VR, regalando un’esperienza di gioco sicuramente da provare, con una motion sickness altalenante e l’obbligatorio uso dei controller Move. Purtroppo il sistema di controllo è abbastanza complicato e compiendo determinate combinazioni di movimento la nausea aumenta in modo esponenziale. Se invece decideremo di giocare il titolo in versione tradizionale, potremo guardarci attorno con gli stick analogici del joypad, usando i grilletti per interagire con gli oggetti intorno a noi.
Il sonoro è limitato a pochi rumori di fondo e alcune musiche orientate sopratutto ad enfatizzare alcuni momenti della storia. I livelli sono costruiti in modo da guidarci in maniera abbastanza lineare attraverso il percorso che gli autori hanno pensato per noi, anche se l’uso del teletrasporto, regala la sensazione di potersi spostare con una certa libertà. Un escamotage interessante che sicuramente aumenta la profondità del titolo.
The Solus project è un titolo che spiazza. Spiazza perché all’inizio può sembrare il solito minestrone di cose viste e riviste e invece si dimostra un prodotto che, pur con dei limiti, riesce nel suo intento. La storia è il fulcro di una narrazione che vuole coinvolgerci in prima persona all’interno di un concetto molto semplice: l’esplorazione, dell’universo e dei mondi alieni come metafora della vita stessa. Un titolo “cinematografico” che merita una chance, nonostante un comparto grafico e sonoro non di primissimo livello.
Recensione provata su Sony PS4 VR grazie al team di: Teotl Studios.
This post was published on 6 Ottobre 2017 12:00
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