Recensione di Gianluca “Dottor Killex” Arena
Sogno proibito di milioni di appassionati, 77000 dei quali ci hanno anche attivamente messo i soldi tramite Kickstarter, Pillars of Eternity giunge finalmente su PC dopo (troppi) anni di attesa, riportando le lancette del tempo indietro di almeno tre lustri e dimostrando, con forza, che la qualità paga sempre, incurante del numero di poligoni a schermo, del framerate e di tutte le altre minuzie tecniche di cui si parla fin troppo.
Accade così che uno dei titoli migliori dell’anno (nonché uno dei giochi di ruolo meglio scritti di sempre) poggi su fondali bidimensionali, visuale isometrica e una quantità di testi fuori parametro, in barba al doppiaggio imperante.
Se tutto ciò non vi spaventa (e non dovrebbe), benvenuti nel mondo di Eora.
Ira di un dio
Del comparto narrativo di Pillars of Eternity si è occupato Chris Avellone, e questo basterebbe a concludere il paragrafo dedicato alla trama e ai personaggi e a passare oltre.
Sì, perché, per chi non lo sapesse, stiamo parlando di uno degli autori più apprezzati nel campo dei giochi di ruolo, cofondatore di Obsidian Entertainment, che ha lavorato alla sceneggiatura di titoli di grandissimo spessore, tra i quali Fallout 2, Icewind Dale e Fallout: New Vegas, ma che un gran numero di appassionati ricorda soprattutto per la trama matura, malata e assolutamente unica nel suo genere di Planescape: Torment.
Qualunque di questi giochi abbiate preferito (se non ne avete giocato nemmeno uno, shame on you), il fil rouge che li lega è rappresentato da una grande attenzione ai dialoghi, allo sviluppo dei personaggi, ad una narrativa drammatica e realistica, che pone il giocatore di fronte a centinaia di sfumature di grigio piuttosto che ad una semplice dicotomia tra bianco e nero, giusto e sbagliato.
Pillars of Eternity si svolge ad Eora, un mondo abitato da un gran numero di razze diverse, spesso collegate da rapporti turbolenti, all’interno del quale una maledizione tremenda ha colpito i nuovi nati, che, venendo al mondo senz’anima, somigliano più a gusci vuoti di un umano che a persone con sentimenti ed emozioni.
Una serie di eventi imprevedibili coinvolge il nostro alter ego, che guadagna un’abilità speciale nel corso dei primi momenti di gioco, diventando così, inconsapevolmente, l’ago della bilancia nella risoluzione di questa tremenda situazione.
Se rimango sul vago è perché gli spoiler sono dietro l’angolo, e l’impianto narrativo messo in piedi da Avellone e il suo team merita di essere vissuto a pieno, leggendo le migliaia di righe di dialogo presenti nel gioco, da quelle descrittive e del tutto opzionali, così vivide da farci entrare nel mondo di gioco, a quelle strettamente collegate alla trama principale e alle innumerevoli diramazioni secondarie, scritte con la stessa maestria.
L’obiettivo più alto raggiunto dal team di sviluppo è quello di essere riusciti a trasformare i personaggi non giocanti in punti di riferimento di un mondo vivo e vibrante, invece che in semplici quest giver senz’anima.
Ogni battuta, ogni commento dei membri del party alle azioni del giocatore, ogni missione secondaria risolta con l’arguzia e l’abilità oratoria scaveranno un solco tra questa produzione e tanti altri giochi di ruolo presenti sul mercato.
La tradizione e il coraggio
Non ingannino la visuale isometrica, i dettagliatissimi fondali in due dimensioni e il sistema di combattimento a turni che ha fatto la fortuna di titoli come i due Baldur’s Gate, perché, oltre che un riverente omaggio ai CRPG passati alla storia, Pillars of Eternity è anche un gioco che sa proporre qualcosa di nuovo, di diverso, con un coraggio che pochi si sarebbero aspettati.
I collegamenti al passato e ai titoli sviluppati servendosi dell’Infinity Engine sono molteplici, dalle ambientazioni, che pur non potendo vantare la licenza ufficiale di D&D, richiamano prepotentemente quelle in cui milioni di giocatori si sono persi per quindici lunghi anni, ad un battle system che privilegia l’uso della materia grigia rispetto al clic selvaggio sul mouse: nonostante la visuale possa trarre in inganno, non aspettatevi un clone di Diablo, dove l’azione detta i tempi, perché la pausa tattica non sarà una possibilità tra tante, ma l’unica.
I nemici umani attaccano con cinica ferocia, con una menzione particolare per i maghi, capaci di incenerire un membro del party con un singolo attacco ben portato, mentre bestie e mostruosità assortite compensano con il numero e con le imboscate i loro pattern d’attacco meno raffinati.
Senza una pianificazione attenta e un gioco di squadra armonico, anche la battaglia che incute meno timore può finire in un bagno di sangue, soprattutto se ci si dimentica di impartire comandi ad uno dei propri personaggi nel furore della pugna o se non ci si approvvigiona adeguatamente quando se ne ha l’opportunità.
Il livello di difficoltà non è mai frustrante, ma richiede attenzione ed impegno al giocatore, impedendogli di rilassarsi anche durante i cosiddetti scontri di routine, durante i quali, nella maggior parte dei giochi di ruolo contemporanei, è sufficiente martellare su un tasto per spuntarla.
A fronte di un impianto classico che riporta indietro di qualche lustro, poi, Obsidian Entertainment non ha esitato a griffare la sua ultima fatica con un paio di scelte coraggiose e polarizzanti, che non tutti gli appassionati di giochi di ruolo apprezzeranno ma che certamente distinguono Pillars of Eternity dalla massa, nonché dai titoli cui si ispira.
La prima consiste nel fatto che i combattimenti non forniscono punti esperienza: per raggiungere il cap, fissato proprio per questo al dodicesimo livello, è necessario visitare porzioni inesplorate della mappa, risolvere quest, forzare bauli, disarmare trappole.
Se da un lato questa scelta di design toglie mordente a scontri particolarmente combattuti, al termine dei quali bisogna accontentarsi solo di raccogliere il loot, dall’altra valorizza un approccio intelligente, favorendo la soluzione pacifica di molte situazioni spinose e le fasi di esplorazione, nonché una distribuzione più efficiente e onnicomprensiva dei punti guadagnati salendo di livello.
L’altra scelta che ha diviso gli appassionati di lunga data è quella di consentire ad ogni personaggio, indipendentemente da razza, classe e build, di indossare qualsiasi pezzo di equipaggiamento rinvenuto, senza le classiche limitazioni legate a parametri come forza, intelligenza e destrezza: questo vuol dire che il mago del gruppo può scendere in battaglia brandendo un possente maglio a due mani, che il ranger può prediligere un bastone magico e che magari il guerriero in prima linea indossi una tunica con rune.
Mentre i tradizionalisti storcono il naso, personalmente ho apprezzato molto questa scelta di design, che consente delle build davvero uniche e versatili, con un livello di personalizzazione del proprio party sconosciuto alla maggior parte dei congeneri e che tende una mano anche a quanti, pur affascinati dai mondi creati per i giochi di ruolo, se ne mantengono alla larga, spaventati da milioni di statistiche (che comunque qui non mancano) e regole non sempre ben chiare.
Per effetto di scelte come queste, Pillars of Eternity si gioca come nessuno dei giochi che lo hanno preceduto, pur rimanendo, paradossalmente, nel solco da questi scavato: l’attenzione verso i dialoghi è aumentata, la distribuzione dei punti esperienza è omogenea come mai in passato e gli attributi inutili non esistono più, perché sia i sei primari che i cinque secondari hanno tutti ragion d’essere per chi vuole formare un party pronto ad ogni evenienza.
Un tuffo nel passato
Se a livello di gameplay, quindi, il team di sviluppo non ha avuto paura di osare, per quanto riguarda il versante tecnico si è preferito andare sul sicuro, proponendo un’estetica ancorata ad un passato dorato, con visuale isometrica, fondali prerenderizzati in due dimensioni e sprite dalle dimensioni contenute, che non fanno della definizione e della modellazione due cavalli di battaglia.
Se l’intento era quello di riportare alla mente i fasti dei giochi succitati, allora l’obiettivo può dirsi sicuramente centrato, con una manifattura delle città e delle location di gioco invidiabile, ma, in termini assoluti, l’aspetto puramente tecnico è quello che meno impressiona nel pacchetto proposto.
Non c’è nulla che non funzioni, beninteso, e il motore si dimostra solido ed abbordabile, tanto da girare senza problemi anche su Pc lontani dal top di gamma, ma l’implementazione di una telecamera ruotabile a piacimento nel recente Wasteland 2 mi aveva fatto sperare in qualcosa di simile anche per questa produzione.
Concentrando invece gli occhi su elementi come la longevità complessiva e i contenuti end game, non si può che applaudire l’insana offerta ludica: la campagna principale ha richiesto poco meno di sessanta ore per essere portata a termine, con circa una metà delle missioni secondarie completate.
Ragionevole pensare che la durata possa aumentare di un’ulteriore decina di ore volendo portare a termine anche tutti gli incarichi secondari nella loro interezza; inoltre, per i più esigenti, un dungeon enorme, strutturato su più livelli e con un livello di difficoltà decisamente tarato verso l’alto, attende sotto alla base principale che farà da sfondo alle vicende del gioco.
Commento finale
Pillars of Eternity non è solamente una lettera d’amore per tutti coloro che hanno adorato i giochi di ruolo classici usciti sul mercato alla fine dello scorso millennio, ma anche un prodotto che unisce tradizione e innovazione, che non ha paura tanto di riproporre stilemi classici del genere quanto di integrare idee polarizzanti ed innovative.
Un lavoro mastodontico, il cui merito va diviso equamente tra la passione dei quasi ottantamila fan e il talento di un team tra i migliori al mondo quando si parla di RPG.
Non lasciatevelo scappare.