Il primo Prey, targato Human Head Studios, è stato un titolo completamente diverso sia per meccaniche che per ambientazione e tematiche trattate. In seguito all’annullamento del sequel qualche anno fa, Bethesda, nel corso del E3 2016, ha annunciato la rivisitazione di questa IP.
Il titolo, il 5 maggio di quest’anno, è finalmente giunto sul mercato. Vediamo insieme come è andata.
La storia dell’umanità è legata a particolari eventi chiave che hanno influenzato pesantemente il presente. È affascinante fantasticare sulla biforcazione del destino, sul famoso “what if”, sul cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente.
È proprio su uno dei grandi bivi eventi della storia moderna che si accende la scintilla alla base della trama di Prey.
SLIDING DOORS SPAZIALI
Nel 1964, il presidente John F. Kennedy sopravvive allo storico attentato.
A quel punto gli americani acquisiscono i diritti sulla base spaziale Kletka , struttura sviluppata in segreto accordo con i sovietici per arginare i Typhon, una strana razza aliena con cui l’umanità ha fatto la sua conoscenza nell’incidente di Vorona I nel 1960.
La base diventerà teatro di un florido periodo di sperimentazioni, noto come Progetto Assioma, che porterà l’uomo a fondamentali scoperte in ambito di conoscenza di nuovi materiali e di nozioni bio-scientifiche nel campo della modificazione neurale, e che culminerà, nel 2030, nell’evoluzione di Kletka nella base di Talos I grazie alla società Transtar.
Talos I farà da sfondo alla vicenda che andremo a vivere, un’ucronia fatta di una sperimentazione senza freni, di un progresso scientifico che vede il suo acme nelle Neuromod, composti iniettati per via transoculare a metà tra i plasmidi visti in BioShock e gli innesti di Deus Ex.
Prey è un’opera che riesce a spaziare con eleganza tra molti capisaldi della narrativa sci-fi e, soprattutto, è una produzione di ispirazione cross-mediale.
Troviamo ad esempio l’influenza di pellicole come Aliens o di produzioni cartacee come i manga del fumettista Tsutomu Nihei.
Dietro la creazione della storia è importante ricordare la presenza di Chris Avellone, storico ed influente autore del mondo dei videogiochi.
Vestiremo i panni di Morgan Yu, un individuo con una storia personale nebulosa e ricordi sfocati, nel suo viaggio attraverso concetti di fisica e pesanti dilemmi etici.
I bivi che si pareranno di fronte a Morgan nascondono un implicito sistema karmico che avrà delle forti ripercussioni sull’esperienza di gioco.
Una trama colta, dai riferimenti ricercati e ben strutturata tra quest primaria e missioni secondarie, sarà capace di rapire il giocatore per oltre venti ore e di offrirgli finali multipli molto coerenti con la narrazione.
La storia di Prey vanta una profondità narrativa enorme e la lettura di mail presso i terminali, la consultazione di appunti sia cartacei che digitali, all’ascolto di registri audio e alla documentazione, tramite Psicoscopio, sulla minaccia Typhon e soprattutto i dialoghi e le situazioni presenti nelle missioni, sia primarie che secondarie, aggiungono molte chiavi di lettura al titolo targato Arkane.
Il fatto che i Mimic, la prima tipologia di Typhon che si incontra all’inizio del gioco, possano assumere la forma di qualsiasi pezzo di arredamento o soprammobile, destabilizza il giocatore a tal punto da fargli roteare la chiave inglese come un ossesso in preda alla paranoia.
La trama stessa è un continuo bombardamento di input contrastanti tra loro, e capire di chi o di cosa potersi fidare non è così semplice.
Il fatto che ci siano forti contrasti di natura etica alla base di alcune delle problematiche che ci troveremo ad affrontare, unito al fatto che saremo costretti a prendere delle decisioni molto importanti, rende la narrazione affascinante e magnetica.
I dilemmi etici saranno molto frequenti
CAMALEONTICO COME UN TYPHON
L’esperienza di gioco Prey si traduce in una sintesi camaleontica in cui coesistono avventura in prima persona, meccaniche di sparatutto, sezioni puzzle e situazioni stealth.
Il grande pregio di questo titolo è la totale libertà d’azione offerta al giocatore, che potrà affrontare nel modo che più gli aggrada i pericoli che gli si troveranno di fronte.
Per andare dal punto A al punto B si avrà a disposizione un ventaglio di opzioni vasto, a volte visibili soltanto ad un occhio più attento ed analitico.
Hackerare un terminale o divaricare i portelli con la forza bruta, scovare la password tramite una serie di appunti concatenati o passare attraverso il condotto di areazione, a voi la scelta.
Si potranno creare percorsi anche dove non ci sono grazie allo spostamento, grazie ad uno specifico perk, di oggetti su cui poter salire o all’utilizzo del Cannone GLOO che, emettendo un getto di schiuma simile a quella poliuretanica, ma molto più resistente, permetterà di creare dei veri e propri ponti dal nulla.
Sebbene le fasi shooting siano abbastanza legnose e a tratti confusionarie, è altrettanto vero che grazie ad una ruota delle armi, nutrita e diversificata, e all’utilizzo di poteri di matrice Typhon iniettati sottoforma di Neuromod, il combat system risulta essere molto profondo. Questi ultimi nascono da attente ricerche compiute sui Typhon tramite lo Psicoscopio, uno strumento di analisi specifico per le forme di vita aliene.
La possibilità di riciclare gli oggetti trovati in giro per ottenere dei materiali e l’utilizzo di progetti per realizzare praticamente tutto quello di cui possiamo avere bisogno, è una chicca davvero interessante.
La dutilità dell’approccio al titolo di Arkane Studios la ritroviamo anche nelle build, in quanto il giocatore, grazie all’uso delle Neuromod potrà potenziare le proprie facoltà mentali, fisiche e combattive.
Ulteriore livello di personalizzazione deriva dal sistema di potenziamento delle armi e dalla customizzazione di innesti tramite particolari chip sia sulla tuta che sullo psicoscopio.
ELEGANZA STELLARE CON QUALCHE COMPROMESSO
Il titolo di Arkane Studios, dal punto di vista tecnico, è pregevole a tratti e superficiale in altre situazioni.
Considerando il fattore puramente tecnico, riscontriamo un CryEngine un po’ sottotono.
La qualità generale dei modelli poligonali e della texturizzazione è buona, ma non di rado ci si trova di fronte a qualche soluzione un po’ più “cheap”.
Trovarsi nella stazione spaziale restituisce un’immediata sensazione di dejavù con Rapture, l’utopia di Andrew Ryan, ma ben presto ci si rende contro che la ramificazione della struttura creata dai ragazzi di Arkane supera l’approccio quasi a compartimenti stagni che caratterizzava la ormai vetusta creatura di Ken Levine.
Il settore in cui la produzione dà il meglio di sè è infatti il level design, articolato, elegante e funzionale, che bandisce dal proprio vocabolario il concetto di linearità.
La stazione di Talos-I, si snoda su più piani tra di loro interconnessi in molteplici modi e i vari sistemi di collegamento sono posizionati in modo davvero intelligenti.
Molto curate sono anche le sezioni nello spazio aperto, ulteriore strada perseguibile per raggiungere determinate sezioni della nave.
Scommessa azzeccata per quanto riguarda il design delle tute del personale della Transtar e la realizzazione degli operatori, piccoli robottini fluttuanti a cui sono assegnate le più disparate mansioni.
La scelta artistica che caratterizza questi ultimi, la stazione e la tecnologia del 2032 secondo Arkane Studios, a metà tra il minimalismo e l’eleganza in pieno stile Apple e un gusto retrò che strizza l’occhio all’eclettismo tanto caro all’arte dei primi decenni del novecento, è un’operazione davvero riuscita.
Apprezzabile anche la caratterizzazione dei vari esemplari di Typhon, ben diversificati tra loro e che, soprattutto quando li si incontra per la prima volta, o all’improvviso, riescono ad incutere sensazioni di genuina tensione e preoccupazione.
Il comparto audio è pregevole e la colonna sonora riesce ad adattarsi in modo molto azzeccato alle varie situazioni, sia quelle di calma e/o di sorpresa, sia in quelle cariche di tensione con una battaglia pronta a scatenarsi.
Il doppiaggio italiano è di buon livello e gli effetti ambientali sono molto funzionali.
Il titolo non è però esente da qualche piccolo bug, che si manifesta principalmente sottoforma di compenetrazioni, le quali compaiono soprattutto nelle sezioni a gravità zero, e da qualche blackout improvviso dell’intelligenza artificiale dei nemici che, in linea di massima nel corso di tutto il titolo, si comporta bene e costituisce un pericolo costante per il giocatore.
Il framerate è generalmente solido, ma presenta delle sporadiche incertezze. Stona un po’ la lunghezza dei caricamenti.
Sebbene sia innegabile che il titolo si ispiri a colossi, ormai pietre miliari, come System Shock e BioShock, il titolo di Arkane Studios riesce ad avere un’identità propria e riesce a non risultare banale.
Prey è un titolo che, al netto dei difetti tecnici e delle incertezze nelle fasi shooting, riesce comunque ad essere eccellente.
Sfondare nel mercato attuale, fatto di titoli multigiocatore potenzialmente molto longevi, non è molto facile ma la creatura di Arkane, grazie ad un comparto narrativo estremamente profondo e ad un gameplay che offre al giocatore la possibilità di sperimentare e di vivere il titolo nel modo più incline al proprio stile di gioco, denota una cura notevole e dimostra che c’è ancora posto per le esperienze in single player.
Sono rimasto particolarmente affascinato dalla serie di scelte morali che ho dovuto affrontare nel corso del titolo e il fatto che la storia fosse cangiante e piena di sorprese, come gli stessi Typhon che popolano la stazione di Talos I, mi ha lasciato molto soddisfatto.
Tirando le somme, il titolo di Arkane Studios è una rivisitazione davvero riuscita della proprietà intellettuale di Bethesda e sarà sicuramente ricordato, negli anni a venire, come una perla di design.
Ci troviamo di fronte ad un gioco che è capace di fondere con eleganza più sottogeneri tra loro, offre un prodotto davvero completo.In un anno davvero gremito di uscite di qualità, Prey riesce a non sfigurare e costituisce un acquisto obbligato per tutti gli amanti dei videogiochi di fantascienza.