Recensire Everything non è un compito facile.
Una delle tante accezioni, o forse quella più adatta almeno, che possono venir in mente osservando questo titolo è quella di “Prodotto dell’evoluzione del videogioco”, nel bene e nel male.
Alle sue spalle vi è un percorso preciso che negli ultimi anni dell’industria videoludica hanno scritto quasi spontaneamente, senza che noi videogiocatori potessimo controllarlo o percepirlo, ed Everything è l’ultimo risultato di tale evoluzione.
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La scorsa generazione è stata testimone di un particolare titolo che ha scosso completamente il termine “videogioco”: Journey, uscito nel 2012 e sviluppato da ThatGameCompany, è stato capace di arrivare dove nessun altro suo simile è giunto, ovvero la sua accettazione all’unanimità come opera d’arte interattiva, sia all’interno che soprattutto all’esterno del panorama videoludico.
Il successo e la continua menzione di questo titolo nei ragionamenti e negli articoli di pensatori, videogiocatori ed artisti hanno fatto capire all’intera industria che il mondo era pronto ad accettare il videogioco non più come uno strumento per intrattenimento fine a sé stesso, non solo come un software elettronico da vendere in massa, ma come un vero e proprio veicolo per l’arte e per i pensieri. In altre parole, il videogioco è diventato un media riconosciuto.
Successivamente, di titoli simili a Journey ne sono usciti a bizzeffe: Gone Home, The Vanishing of Ethan Carter, Thomas Was Alone, Abzu, The Stanley Parable, decine di titoli che puntano più sulle componenti artistiche (trama o comparto estetico, se non entrambi) che su quelle dell’effettivo gameplay.
Questa assenza di meccaniche più “classiche”, come un qualche livello di sfida o la capacità di eseguire altre azioni oltre a camminare e parlare, fece nascere un certo astio nei videogiocatori più legati al concetto natio di videogioco, e coniarono il termine “walking simulator” con un tono decisamente dispregiativo.
Nel 2017 tale nomignolo è diventato un vero e proprio genere saturo di centinaia di titoli indipendenti che tentano di cavalcare l’onda del successo delle perle sopracitate, fallendo miseramente proprio per una mancata regia artistica, qualità più unica che rara.
Eppure, ogni tanto escono fuori quei titoli che, ancora una volta, aggiungono qualche riga al codice genetico dei videogiochi, non per forza stravolgendo o rivoluzionando ogni cosa con clamore e caos, ma più semplicemente sottolineando come un media possa essere adoperato per raccontare di tutto.
Everything inizia in medias res, ponendoci nei panni di una particella non ben definita che inizia subito a porsi le domande esistenziali che ci perseguitano dalla nostra nascita: “Cosa sono? Da dove provengo? Dove sto andando?”
Immediatamente dopo prenderemo le fattezze di una cartoonesca antilope in mezzo ad un deserto, e qui inizierà un viaggio che definire assurdo, surreale o esistenziale non gli darebbe giustizia.
Dopo vari eventi avremo l’opportunità di esplorare prima la location iniziale, poi il mondo in cui si trova, seguito dal suo sistema planetario, la sua galassia ed anche oltre. In un istante il giocatore ha il potere di tramutarsi in un atomo di ossigeno, per poi dopo la sola pressione di un tasto ritrovarsi catapultato in un sistema di Quark e particelle grandi come interi ammassi di stelle.
Avremo l’opportunità di ascoltare i Pensieri di qualunque elemento intorno a noi, scoprendo così lo spiccato senso d’umorismo esistenziale di David OReilly, il creatore del gioco, che ci farà affezionare ad un lampione stradale triste del fatto di non fare abbastanza luce.
Altre volte gli strambi esseri che popolano i mondi di gioco reagiranno ai versi e alle danze di ciò che controlliamo.
Addirittura capiterà di ascoltare degli spezzoni di vere e proprie lezioni di filosofia registrate dalle aule di Cambridge, in cui il filosofo anglo-americano Alan Watts spiegava, circa 50 anni fa, come il mondo, l’Universo e tutti noi siamo connessi, e come sia inutile parlare di confini, barriere e limitazioni quando dentro di noi vivono atomi appartenenti a stelle e dinosauri.
Everything non è un titolo scelto a caso, dopotutto, e simboleggia la quantità di elementi ed interazioni che co-esistono nell’Universo procedurale del gioco. Ogni mondo, ogni foresta, ogni pozzanghera ed ogni particella di sporco ha quel particolare, quel piccolo asset ancora non visto che rendono unico ogni cambio di scala.
Nonostante la mole di materiale a disposizione, le azioni sono relativamente poche: danzare, cantare, muoversi, ingrandirsi, rimpicciolirsi, ascoltare pensieri e lezioni, inserire delle cacche giganti in mezzo a città di cemento armato sembrano cose divertenti, e lo sono, ma alcuni potrebbero storcere il naso al pensiero di farlo per l’eternità.
Eppure, il gioco nasconde dentro di sé dei segreti che non vengono subito compresi e scovati, e non appena si riesce a carpirne uno, non appena si pensa di aver visto proprio tutto, la mente inizia a dubitare.
“Forse qui c’è qualcosa.” “Forse se faccio spawnare questo pinguino qui avrò un’interazione speciale.”
Questi saranno il genere di pensieri che nasceranno in voi dopo aver sperimentato una sorta di “finale”, di cui rivelare anche la più piccola informazione sarebbe un crimine artistico. Probabilmente, la voglia di scoprire quali siano i segreti che celano gli infiniti confini dell’Universo è il vero punto di forza dell’intero titolo.
OReilly non è nuovo alle animazioni 3D, ed ha già utilizzato in passato il motore Unity per le sue opere. Lo stile semplicistico ma accattivante assieme alle strambe animazioni dei buffi animali ed elementi dello scenario si sposa perfettamente con la qualità di texture, ombre ed effetti particellari, e se a prima vista tutto ciò possa sembrare leggero, aspettate di viaggiare a velocità luce attraverso il piano delle galassie, dove miliardi di stelle, nebulose ed altri corpi celesti brilleranno di una bellezza travolgente ma anche molto, molto dispendiosa a livello di hardware.
La soundtrack è cangiante e sperimentale esattamente come il gameplay, ed i compositori Ben Lukas Boysen e Sebastian Plano sono riusciti a coniugare musica classica, da camera, moderna, elettronica ed ambientale con una semplicità ed integrità ammirevole. Essa non prevale mai sul gameplay, e semplicemente accompagna il giocatore durante le varie fasi della sua esplorazione, risultando un’amabile quanto versatile compagna di viaggio.
Richiede una consapevolezza di ciò che si è giocato.
Alla fine della fiera, che cosa è davvero Everything, dunque?
Everything è un programma di circa un giga e mezzo da installare sui vostri dispositivi. Everything è un videogioco, in quanto basa il proprio codice su di una componente visiva, una auditiva ed una interattiva.
Everything è una sorta di “walking simulator”, in quanto le nostre poche azioni sono appunto muoverci nello spazio, parlare, ascoltare, danzare e trascendere la nostra forma. Everything è anche un puzzle game in cui si corre il rischio di rimanere bloccati diversi minuti nello stesso punto.
Everything è un multiverso procedurale che vive di vita propria, e permette al Giocatore di prendervi parte e, volendo, plasmarlo con l’aggiunta della sua fantasia.
Everything è un’esperienza deliziosa per i sensi, che può intrattenere con le sue visuali mozzafiato di ambienti microscopici o distese siderali e divertire con battute sagaci, ciniche o semplicemente senza senso.
Everything è una noia mortale, in quanto dopo neanche una mezz’ora di gioco si scopriranno tutte le meccaniche che il gioco ci offre.
Everything è un manifesto filosofico, un simbolo di come al giorno d’oggi barriere e confini fisici e mentali siano pressoché inutili, che tutto è collegato e siamo tutti un unico grande “qualcosa”.
Everything è decisamente pesante dal punto di vista grafico quando si viaggia a velocità interstellare in mezzo alle galassie.
Everything è tutto questo e forse anche “qualcosa” in più.
Pro
2. Il messaggio che comunica farà uscire qualche lacrima ai più sensibili.
3. Il motore grafico unity fà sognare con le caratteristiche qui proposte
Contro
1. Se avete un cuore di pietra evitate questo gioco come la peste
2. Graficamente instabile su scale gigantesche
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This post was published on 20 Luglio 2017 12:00
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