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Google costretta a vendere Chrome: cosa cambia per gli utenti e per il futuro del web

Una svolta epocale potrebbe consumarsi nel corso del 2025: Google, il colosso del tech e dell’informatica, potrebbe ritrovarsi a vendere il celebre motore di ricerca Chrome.

Il mondo digitale come lo conosciamo oggi, è il prodotto di circa tre decenni di sperimentazioni, innovazioni, rivoluzioni non solo tecniche ma anche di pensiero. Una progressione dei mezzi così veloce e repentina, ha più volte visto il mondo politico e sociale relativamente impreparato, costretto a correre ai ripari per riuscire ad arginare delle svolte che avrebbero potuto degenerare in modi difficili da immaginare.

A volte però, possono presentarsi casi in cui il bianco e il nero iniziano a essere particolarmente sfumati. Si tratta di quelle situazioni in cui un potere ritenuto superiore, si trova a dover fare i conti con un altro insindacabile potere. Sostituendo i termini della nostra equazione: cosa succede quando il controllo dello Stato si scontra con l’iniziativa dei privati?

Cambia il mondo e bisogna stargli dietro

Una domanda che attanaglia la filosofia politica d’ogni tempo, da Platone a Hobbes e che non può che trovare risposte arbitrarie, secondo il diktat per cui la libertà di un privato, finisce laddove inizia quella di un altro privato. Ma che succederebbe se tra l’iniziativa privata di due (o più) società private, mettesse il suo zampino lo Stato? Questo è esattamente ciò che da diversi anni, Google si trova a fronteggiare. Cerchiamo di capirne i motivi, la legittimità e se è effettivamente possibile cogliere dove stia la ragione.

I fatti

Google, una tra le più grande società tech del mondo, negli ultimi anni si è ritrovata a dover impiegare tempo e forza legale, per cercare di difendere la sua posizione contro le accuse mosse dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America (DoJ). L’azione del DoJ arriva a seguito della pronuncia di un giudice federale [United States v. Google LLC (1:20-cv-03010)], che lo scorso agosto sosteneva che Google avesse violato le leggi antitrust americane, detenendo un illegale monopolio sui servizi di ricerca.

La regolamentazione del monopolio negli Stati Uniti, arriva da un connubio di tre leggi: Sherman Act, Federal Trade Commission Act e Clayton Act che, nonostante abbiano più di un secolo sulle spalle, grazie a diverse modifiche costituiscono ancora il cuore della regolamentazione antitrust. In particolare, l’argomento monopolio viene approfondito alla sezione 2 dello Sherman Act, che ritiene fuori legge:

“monopolizzare, tentare di monopolizzare o combinarsi o cospirare con alcuna persona o persone, per monopolizzare una qualunque parte dello scambio o del commercio tra i vari Stati o con Nazioni estere […]”

Il DoJ attacca

Google, anche tramite i suoi legali, ha più volte difeso la sua posizione, dichiarando per esempio che vi sarebbero accordi con grosse compagnie, come Apple, affinché dietro pagamento di una certa somma, si accetta di far comparire Chrome come motore di ricerca di default sugli iPhone. Tra Chrome e il sistema operativo Android, diffuso ormai su tantissimi dispositivi diversi, Google ha effettivamente assunto la facies monopolistica.

Rimanendo ancora sui fatti, si, per il Dipartimento di Giustizia può configurarsi una condizione di monopolio a cui i giudici americani hanno cercato di porre un freno, con una proposta che non è stata certamente gradita: Google dovrebbe cedere Chrome. Per quanto riguarda Android invece, la possibilità sarebbero quella di cederlo o di farlo sottostare alla supervisione dello Stato.

Per entrambe le casistiche proposte, il Chief Legal Officer di Google, Kent Walker, ha definito la decisione del DoJ come “sconcertante”, “estrema”, “un’esagerazione”. Sempre Walker, ha tentato di portare su un piano più pratico la vicenda, con tutte le implicazioni che vi sarebbero nell’applicazione delle direttive del DoJ:

“Per fare un esempio, la proposta del DoJ richiederebbe di installare non una ma due schermate di selezione separate prima di poter accedere alla ricerca di Google sul proprio smartphone Pixel”

A cosa mira il Doj?

È un obiettivo perseguibile?

Quella che Google si sta trovando ad affrontare, non è sicuramente la prima azione che mira a una riduzione del suo potere commerciale, alludendo all’istituzione di un impianto monopolistico irregolare. E i numeri sicuramente, lasciano intendere che non è così sbagliato parlare di monopolio in senso formale: Chrome al momento, è il browser più popolare al mondo, quello a cui due terzi degli utilizzatori di internet si agganciano, senza parlare del fatto che anche altre società come per esempio Firefox, a Chrome si appoggiano.

A Google è poi legato il discorso ads, che non è assolutamente da sottovalutare dato che costituisce il principale business che permette alla società di monetizzare. Il DoJ però non ha dubbi: vi è monopolio e l’obiettivo è quello di incrementare una competizione che, negli ultimi tempi, pareva praticamente scomparsa. Scrive l’avvocato del DoJ:

“Un rimedio per la monopolizzazione illegale di Google deve allo stesso tempo: liberare questi mercati dalla condotta escludente di Google; spingerli alla competizione; negare a Google i frutti della violazione di legge; prevenire che Google monopolizzi questi e altri mercati collegati in futuro”

Proprio sull’ultimo punto, ci sarebbe di che parlare. Se per le prime tre richieste, emerge la volontà del DoJ di agire su azioni già avvenute e consolidate, la quarta richiesta apre a diverse possibilità parlando di mercati futuri. Non è un segreto che Google, negli ultimi anni, abbia premuto tanto l’acceleratore sulla sviluppo di un’IA proprietaria (Gemini), con conseguente integrazione in ogni ambito possibile, dalla telefonia alla ricerca su internet.

È chiaro che, senza alcun tipo di intervento governativo, potrebbe crearsi un effetto valanga difficile da gestire, con conseguente accentramento di fin troppi servizi in un solo ente. A ciò però, ha risposto ancora una volta Kent Walker, che ha ripreso a considerare questa serie di decisioni, “nocive” per i consumatori, dichiarando che la sottrazione di risorse comporterebbe un incremento del rischio per la sicurezza dei dati degli utenti, un ribasso della qualità dei servizi e l’apertura a compagnie straniere, col risultato che proprio il lavoro sull’IA sarebbe messo pericolosamente a freno.

Se Google vende, chi compra?

Chi si farà avanti?

È giusto chiarire che al momento, non vi è una decisione definitiva, che dovrebbe invece arrivare ad aprile. Ma se davvero si arrivasse alla vendita di Chrome da parte di Google, quale potrebbe essere un prezzo consono?
Beh, si tratta di un calcolo che deve contemplare tantissimi fattori diversi, dato che la perdita di Chrome (o della sua esclusività) comporterebbe una serie di reazioni a catena non da poco.

La punta dell’iceberg, è la perdita della fetta di mercato derivante dalla vendita dei Chromebook, che al momento rappresentano un’alternativa low cost, perfetta per esempio per le scuole che garantiscono i laptop ai propri studenti, che si basano proprio su un sistema operativo Chrome-based.

Il secondo aspetto, sicuramente più rilevante da considerare, è l’accordo tra Google e Apple per far sì che Chrome sia il motore di ricerca di default per il browser Safari sui dispositivi dell’azienda di Cupertino, siglato nel 2022, che ha comportato una spesa da parte di Google di ben 20 miliardi di dollari.

La cessione di Chrome e/o di Android dunque, comporterebbe una spesa davvero enorme, che solo pochissime altre società potrebbero permettersi di affrontare come la stessa Apple o Meta. Non serve però un luminare della finanza, per rendersi conto di come la situazione sia un enorme cane che si morde la costosa coda: l’eventuale nuova società che si ritroverebbe ad acquisire Chrome, si ritroverebbe nella stessa situazione, seppur con i vari nuovi limiti che dovrebbero venire imposti.

Di fatto, per l’utente finale non vi sarebbe chissà che cambiamento. Probabilmente, bisognerà soltanto abituarsi a fare le cose con qualche passaggio ulteriore, anche se bisogna ancora chiarire che fine faranno tutti i servizi collegati a Chrome oltre alla semplice ricerca.

Si potrebbe parlare per ore della definizione di monopolio o sull’interpretazione data dal giudice, ma al momento riteniamo più saggio attendere la pronuncia ad aprile, che non bisogna assolutamente sottovalutare: potrebbe trattarsi del più grande cambiamento nelle infrastrutture web, da qualche decennio a questa parte.

This post was published on 1 Gennaio 2025 18:30

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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