No, non è vero che 500 software house stanno lavorando su videogiochi live service

mettetevi gli occhiali

A volte capita, nel giornalismo, di prendere la cosiddetta “cantonata”; in questo caso è capitato a Kotaku che ha fatto uscire un altisonante articolo che andava a inquadrare oltre 500 software house come al lavoro su videogiochi live service.

Il mondo dei videogiochi ha una vasta gamma di problemi per cui nemmeno 100 patch di bilanciamento basterebbero; tra questi sicuramente è impossibile non citare il pessimo umore medio con il quale l’utenza appassionata si interfaccia con le software house e chi i videogiochi li crea. 

Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto ripetute volte le fanbase insorgere nei confronti delle software house, a volte per motivazioni comprensibili, a volte per motivazioni futili, molto spesso con dei modi e dei comportamenti che purtroppo sarebbero associabili soltanto a chi ha l’intelligenza emotiva di una piastrella di un pessimo bagno.

Inutile dire che il giornalismo videoludico, in tutto questo, ha una parte di colpa; all’interno di un settore, quello dell’informazione, in pessimo stato di salute, ogni tecnica è buona per arrivare a non fallire entro fine mese (e spesso neanche basta).
Questo, purtroppo, si riflette in contenuti che non rispettano granché i crismi della buona informazione.

La recente news di Kotaku sulle 500 software house che stanno lavorando su videogiochi live service è un perfetto esempio di ciò.

Cosa sta succedendo

Genshin Impact
Tra questo e Alan Wake 2 crediamo ci siano un po’ di differenze

Kotaku in una recentissima news ha raccontato di come ci siano, secondo uno studio commissionato da Griffin Gaming Partners e Rendered VC (chiamato 2023 Game Development Report, lo si può scaricare da qui), oltre 500 software house che lavorano su prodotti di tipo live service, il tutto su un campione di 537 aziende sparse in giro per il mondo.

Nel linguaggio dei videogiochi (dove per linguaggio intendiamo quello che comunemente viene utilizzato da stampa, videogiocatori, influencer, content creator e compagnia cantante) dietro al termine “live service” vengono indicati i videogiochi vivono attraverso aggiornamenti costanti di carattere contenutistico o di bilanciamento, al fine di mantenere la sua playerbase attiva monetizzando poi attraverso micro transazioni o altri strumenti (vedi i DLC). 

Ad oggi tale definizione è sostanzialmente sovrapponibile con quella di game as a service (GAAS), ovvero il genere videoludico in cui grandi titoli sopravvivono nel mercato attraverso costanti aggiornamenti contenutistici o di bilanciamento servono a invogliare i videogiocatori a rimanere nel gameplay loop venendo nel mentre bombardato dalle microtransazioni.

Bene, secondo Griffin Gaming Partners, il 95% delle software house interpellate sta sviluppando o mantenendo un live service game, peccato che al termine live service il sondaggio associ un significato di molto differente da quello che è comunemente utilizzato nel linguaggio. 

Game studios are adopting live services in a strategic shift to pursue more lucrative business models. Games continuously evolve during live services through ongoing content releases, feature updates, and gameplay enhancements, aimed at raising player lifetime value. This contrasts with traditional game models that rely on sales or downloadable content (DLC) to maintain relevance.

Secondo questa definizione anche videogiochi come Alan Wake 2, che hanno ricevuto delle patch post lancio di carattere contenutistico, o God Of War: Ragnarok (idem con patate) rientrano nell’universo dei live service; allo stesso universo i videogiocatori dalla vomitata di bile facile associano invece i vari Fortnite, Call Of Duty Warzone, Warframe, Genshin Impact e tutto un’altro universo di titoli. Cose

Tra luci e ombre

Fortnite

Lasciamo poi da parte i problemi di carattere semantico per andare invece ad analizzare quelli che, come sottolineato da molti, farebbero parlare di un interessante conflitto di interessi.

Lasciamo poi da parte i problemi di carattere semantico per andare invece ad analizzare quelli che, come sottolineato da molti, farebbero parlare di un interessante conflitto di interessi. Sia il giornalista Felipe Pepe che l’analista Mat Piscatella sottolineano come questo sia plausibilmente un caso di “oste, è buono il vino?” Con una ricerca di mercato sponsorizzata da chi investe in tecnologie che servono a sviluppare videogiochi, specie quelli con un certo grado di concentrazione nell’universo multi giocatore.

Lasciamo poi da parte i problemi di carattere semantico per andare invece ad analizzare quelli che, come sottolineato da molti, farebbero parlare di un interessante conflitto di interessi. 

Sia Felipe Pepe che l’analista Mat Piscatella sottolineano come questo sia plausibilmente un caso di “oste, è buono il vino?” con una ricerca di mercato sponsorizzata da chi investe in tecnologie che servono a sviluppare videogiochi, specie quelli con un certo grado di concentrazione nell’universo multi giocatore. 

C’è il concretissimo rischia di avere a che fare con un sondaggio realizzato appositamente per far ingolosire eventuali altri investitori e venture capitalist, così da far fluire più denaro e far ripartire gli investimenti; il problema è che i videogiochi live service, specie quelli su console, non se la passano esattamente benissimo perché per ogni Fortnite o Sea Of Thieves che effettivamente ha successo e si porta a casa la pagnotta ci sono degli Outriders, degli Hyenas, dei Babylon’s Fall che vanno dal “malino” al “non hanno superato il primo mese di vita.

Anche su smartphone la situazione non sembra essere delle migliori, con videogiochi come Live! School idol festival 2 MIRACLE LIVE! che vengono rilasciati a Febbraio 2024 per venir chiusi nemmeno tre mesi dopo tra ritardi nella pubblicazione e un mercato in contrazione che non sembra lasciare molto spazio per gli esperimenti.

Fidarsi è bene, quindi, ma imparare a leggere le fonti e a utilizzare un po’ più di tempo per analizzare le notizie che si propongono al pubblico è meglio. Fare il lavoro del giornalista è generalmente difficile, specie in Italia dove le paghe sono da fame e se lo si fa è più per la gloria che per altro, ma in questi casi parliamo di cose che richiedevano giusto un paio di clic in più.