Una delle figure più controverse dell’industria del gaming ha finalmente lasciato la sua poltrona. Sarà solo un arrivederci?
Difficile trovare nell’industria dei videogiochi una figura più difficile da inquadrare di Bobby Kotick. L’uomo che ha traghettato Activision dalla bancarotta assicurata all’olimpo multimiliardario in cui si pasce oggigiorno è anche una delle figure più odiate dell’intero settore, dipinto come un capo dispotico e moralmente corrotto da suoi dipendenti che lo hanno denunciato per maltrattamenti e iniquità di trattamento, accusato dalle fanbase delle IP di Activision-Blizzard di aver spremuto come limoni i loro franchise più amati deturpandone l’identità, ed allo stesso tempo esaltato dagli investitori per l’indubbia capacità imprenditoriale che ha dato vita ad una delle compagini più profittevoli del settore – Activision Blizzard King – Kotick ha dimostrato una lucidissima capacità di individuazione e cavalcata dei trend di un medium che nessuno ha mai capito se gli interessi davvero o no (lui stesso dichiarò di aver smesso di videogiocare ai tempi del college).
Chi è Bobby Kotick? Un abile imprenditore privo di qualsiasi scrupolo, che ha visto nel videogioco un mezzo per fare miliardi nonostante dei videogiochi in sé gli importi meno di zero? O un lavoratore indefesso che paga sotto forma di accuse di tutti i tipi il prezzo dell’invidia proveniente dai competitor e l’astio dimostrato da una stampa che gli è sempre stata ostile per partito preso? Le sue dimissioni dalla guida di ABK per effetto dell’acquisizione da parte di Microsoft è stata salutata da più parti come una benedizione e la fine di un’epoca buia in cui l’unico traino della holding è stata la sete di profitto, non certo la ricerca della qualità del prodotto. Ma non c’è dubbio che la sua guida controversa abbia contribuito in modo fondamentale alla creazione di una delle più grandi e prospere aziende videoludiche che la storia abbia mai visto.
Da qui in poi ci penso io
Che Bobby Kotick sia un imprenditore nato è poco ma sicuro. Accostabile per certi versi a Lars Wingefors, fondatore di Embracer Group, il suo interesse per l’attività d’impresa era evidente fin dall’adolescenza, come lui stesso ha raccontato in molteplici interviste (tra cui il famoso aneddoto secondo cui il primo affare che stipulò fu la vendita di un portacenere della madre per 3 dollari, e da lì in poi il bernoccolo degli affari non l’ha più lasciato). Dopo una lunga serie di attività dalle alterne fortune nell’ambito dell’informatica, nel corso delle quali comunque diede prova di grande abilità nel riuscire a coinvolgere ricchi investitori e soci in affari, Kotick individuò un’azienda sull’orlo del fallimento che avrebbe potuto rilevare per pochi soldi tentando la fortuna in un settore di cui sapeva poco o nulla: i videogiochi.
L’azienda in questione era Activision – allora aveva cambiato momentaneamente nome in Mediagenic – , ed era stata fondata nel 1979 da alcuni fuoriusciti di Atari, in polemica con la casa madre per gli altissimi profitti che incassava pur mantenendo modeste le paghe degli autori, cui non veniva peraltro riconosciuta alcuna royalty per le IP create. Mediagenic aveva iniziato a sviluppare giochi per le console Atari come produttore software esterno, in tal modo massimizzando i profitti, ma ciò ovviamente fece infuriare Atari stessa che la trascinò in tribunale.
La faccenda si risolse con un accordo che sancì di fatto la nascita degli sviluppatori di terze parti, ma questa vittoria legale si tradusse in un disastro economico per Mediagenic, dato che il mercato si popolò ben presto di competitor agguerriti e l’azienda si trovò sommersa dai debiti. Kotick ne acquisì delle quote nel dicembre del 1990, divenendone CEO nel 1991 e rinominandola col nome attuale. Dei 150 dipendenti di allora ne mantenne solo 8, facendo tabula rasa del resto. Nel giro di pochi anni ne ridefinì organizzazione ed obiettivi, acquisì studi di sviluppo e fece sì che l’azienda iniziasse a sfornare titoli a ripetizione, cercando di individuare i titoli di maggior successo e sui quali fosse possibile capitalizzare dando vita a serie longeve da poter spremere sistematicamente con uscite regolari.
Divide et Capitalizza
Negli anni Novanta di franchise videoludici famosi ne esistevano già molti, ma la mentalità da “catena di montaggio” di Kotick era forse inedita nella volontà di creare a tavolino a delle proprietà intellettuali che protessero fungere da costante flusso di denaro in entrata, tramite il rilascio di nuovi prodotti a cadenza regolare e ravvicinata. Ci provò inizialmente sfruttando IP già esistenti, producendo Return to Zork, sequel moderno della popolarissima serie di avventure testuali che spopolarono negli anni ’70 e ’80. Ottenne successi maggiori facendo da publisher per serie importanti come Tenchu e Vigilante 8, oltre a sviluppare internamente successi come Battlezone e Tony Hawk’s Pro Skater. Ma la vera gallina dalle uova d’oro si presentò sotto forma di uno studio di sviluppo chiamato Infinity War, fondato da veterani fuoriusciti da EA che non ne potevano più dei metodi dispotici dell’azienda che avevano contribuito a fare la fortuna grazie alla serie di guerra Medal of Honor.
Il frutto di questa acquisizione fu la creazione di Call of Duty, il cui primo capitolo uscì nel 2003, e che segnò irrimediabilmente l’industria dei videogiochi nei vent’anni successivi, divenendo una delle IP più redditizie della storia dei videogiochi e facendo crescere Activision oltre ogni più rosea immaginazione, forse anche oltre le aspettative dello stesso Kotick. La compagnia crebbe tantissimo anche a seguito della fusione con Blizzard nel 2007, che portò in dote le celebri IP di Diablo, Starcraft e Warcraft, concorrendo al successo planetario del conglomerato, sempre più miliardario. La branca Activision dal canto suo non rimase certo con le mani in mano, e sotto la supervisione di Kotick inaugurò o prese in carico numerosi altri franchise di enorme successo e dei generi più disparati, da Guitar Hero a Wolfenstein, da Prototype a Total War, in veste di developer e/o publisher.
In tutto Questo Kotick rimase sempre a capo della holding col ruolo di CEO, anche se l’azionista di maggioranza divenne Vivendi, proprietario del 52% delle quote societarie. Tuttavia l’occasione di potersi proiettare nel sempre più promettente mercato degli MMO era troppo ghiotta per lasciarsela scappare, così Kotick accettò il compromesso e Activision Blizzard poté nascere e prosperare. Ancora una volta dunque fu il fiuto per l’affare e l’intuito imprenditoriale a guidare le scelte di Kotick, non certo l’amore per il medium in sé o l’amore per i fan, che verrà infatti tradito qualche anno più tardi dalla famigerata presentazione di Diablo Immortal al pubblico, uno dei maggior fallimenti di comunicazione della storia dell’industria videoludica recente.
I sentimenti e le ambizioni di Kotick sono sempre stati rivolti alla crescita dell’azienda e alla soddisfazione degli azionisti, e mai a quella degli utenti, né tantomeno alla qualità dei giochi in sé, oggetti per lui quasi sconosciuti. Il suo disinteresse totale per le qualità artistiche del prodotto in sé e per la comunità dei videogiocatori ha generato uno scarto clamoroso fra le esigenze della dirigenza della società e quelle del pubblico, tra cui non si è mai creato un canale di comunicazione efficace o proficuo. Questo rimane senz’altro uno dei più grossi limiti della conduzione aziendale di Kotick, che malgrado i successi della compagnia dal punto di vista finanziario (ulteriormente incrementati dalla riacquisita indipendenza da Vivendi ottenuta nel 2013 e dall’acquisizione di King nel 2015, che ha portato in dote Candy Crush Saga e ha aperto la compagnia al segmento mobile) ha deteriorato la reputazione delle aziende che ha inglobato, portando molti a percepire ABK come una holding-moloch che tutto fagocita nel nome del vile denaro, spremendo le sue IP come limoni a forza di pubblicazioni compulsive di titoli che finiscono con lo snaturare la vocazione di interi franchise.
L’altra gravissima accusa nei confronti di Kotick proviene dai dipendenti stessi dell’azienda, ed ha avuto lunghi strascichi legali. Il riferimento è ovviamente alle ripetute accuse di maltrattamenti, molestie e trattamento salariale iniquo denunciato da molti lavoratori e lavoratrici della compagnia, contestazioni che da una parte hanno portato alla formazione di numerosi gruppi sindacali interni alla holding – la cui formazione è stata peraltro fortemente osteggiata dalla dirigenza della compagnia, con varie azioni ostili perpetrate nei loro confronti – nonché a vere e proprie cause legali, la più importante delle quali si è conclusa proprio questo mese con un accordo economico di 54 milioni di dollari versati in compensazione per mancate retribuzioni, stralciando tuttavia l’accusa di molestie sessuali per mancanza di prove.
Insomma la carriera ultratrentennale di Bobby Kotick nell’industria dei videogiochi è stata costellata di tante luci ed altrettante ombre, e ora c’è grande curiosità su quali saranno le prossime mosse dell’imprenditore miliardario: si darà all’ippica, per così dire, o tenterà qualche nuova avventura nel mondo del gaming? Di sicuro Bobby Kotick è stato una delle figure dirigenziali più controverse dell’intera industria dei videogiochi, tanto di successo in ambito professionale quanto detestata sul piano personale, e la sua uscita di scena è stata accolta da molti fan della stessa ABK come una liberazione.
Che si tratti di un addio o di un arrivederci, in entrambi i casi non mancheremo di tenervi aggiornati!