La storia recente di Activision Blizzard purtroppo, ha viaggiato su piani diversi e non sempre gradevoli da osservare. Da un lato, si è assistito alla claudicante software house che tentava di tenere botta coi suoi titoli, in un mercato che permette sempre meno errori; dall’altro lato, tanti guai legali, relativi a dinamiche definite sessiste e discriminatorie, hanno portato sulla società un’onta difficile da lavare via. Sembra però che si sia giunti a una risoluzione.
Quella di Blizzard è una storia tragica, patetica addirittura (dando al termine un’accezione greca), una delle storie che umanamente e a livello d’industria, fanno forse più male tra quelle che hanno colpito il mercato videoludico negli ultimi anni. I passaggi che hanno portato una delle software house più amate dai videogiocatori a diventare calamita di controversie, sono stati plateali e, nonostante i tentativi di damage control messi in atto, è difficile dimenticare quello che è stato.
Come detto in apertura, i problemi ci sono stati sia in foro interno che esterno: da una parte, lo sviluppo di alcuni titoli non ha prodotto i frutti sperati, rivelandosi troppo spesso in titoli che dopo partenze discrete (anche grazie alla nomea delle capacità dell’azienda) diventavano dei buchi neri, con una capacità quasi comica, ironica, di riuscire ad attirare all’interno ogni cosa buona venisse fatta.
Di esempi se ne trovano diversi: Overwatch è forse uno di quelli che fa più male. Dopo l’uscita sul mercato nel 2016, il titolo riuscì a ottenere il favore di tutti gli appassionati e dell’industria intera, arrivando a vincere uno dei titoli più ambiti: Game of The Year ai The Game Awards, i cosiddetti “Oscar del Videogioco”, diventati ormai uno degli appuntamenti più attesi dell’anno per i videogiocatori.
Di anno in anno però, il titolo iniziava a diventare sempre più dissimile da quello che i giocatori avevano amato nel 2016, tra community tossica e sbilanciamenti che rendevano il titolo iniquo sotto vari punti di vista. A far traboccare il vaso, fu tutto ciò che riguardò il progetto “Overwatch 2”. Il titolo, che come gameplay si proponeva come un “more of the same”, puntava ad attirare nuovi giocatori, ripartendo da zero e proponendo una modalità single player.
Dopo la chiusura dei server del primo titolo e con l’attenzione di tutti gli appassionati sul secondo capitolo, fu devastante constatare come l’operazione fosse un vero e proprio fallimento. La “killer feature” di Overwatch 2, quel single player tanto allettante, si rivelò un nulla di fatto, lasciando i giocatori a destreggiarsi con un inutile sequel.
Tanti ricorderanno sicuramente anche la querelle legata a Diablo Immortals e al moto di dissenso umano, che colpì Blizzard durante l’annuncio del titolo mobile durante la BlizzCon 2018, con taglienti frasi diventate ormai veri e propri tormentoni della community, “Don’t you guys have phones?”. Ma ciò che interessa analizzare in questa sede, è qualcosa di decisamente più grave, legato a quel foro esterno, che trascendo le preferenze videoludiche e tocca il “mondo reale”.
Non è infatti una novità che Blizzard si sia trovata a fronteggiare delle accuse molto gravi, da parte di diverse dipendenti che, oltre a denunciare comportamenti sessisti sul luogo di lavoro, vere e proprie molestie in alcuni casi, hanno messo in luce anche dei comportamenti che si sono tradotti in iniquità nella retribuzione.
Pare essere arrivati a una risoluzione delle controversie, perlomeno dal punto di vista legale.
Activision Blizzard pare aver trovato una via legale, per mettere la parola fine a una causa del 2021 riguardante discriminazioni sessuali sul posto di lavoro. Si è infatti giunti a una conclusione in cui Activision Blizzard dovrà pagare circa 44 milioni di sterline (circa 56 milioni di dollari), in seguito a un accordo trovato con l’associazione California Civil Rights Department (CCRD), riguardo a disparità di pagamenti su base del sesso dell’impiegato.
Banalmente, diverse donne, dipendenti della società, denunciavano pagamenti iniqui. L’accordo trovato, oltre a mettere la parola fine alla vicenda (o almeno, a una parte di questa), risulta come un metodo per andare avanti da parte di Activision Blizzard, chiedendo scusa alle dipendenti offese, a cui sono state negate paghe eque e promozioni nel lustro tra il 2015 e il 2020.
Le 44 milioni di sterline saranno così divise: 36.85 milioni (equivalenti a 46.75 milioni di dollari) saranno destinati al risarcimento dei danni cagionati alle dipendenti offese dalle pratiche di iniqui pagamenti e promozioni mancate; le restanti 7.1 milioni di sterline (circa 9.1 milioni di dollari) saranno destinate e coprire le spese legali.
Questa nuova risoluzione, mette davanti a diversi assunti di cui bisogna tenere conto. Prima di tutto, l’accordo si traduce in un ritiro delle accuse da parte della CCRD, asserendo che:
nessuna corte o alcuna investigazione indipendente ha sostanziato alcuna accusa di molestia sessuale sistemica o diffusa da parte di Activision Blizzard
Oltre a ciò, da questa risoluzione si deve dedurre che non sia vero che:
Gli alti dirigenti di Activision Blizzard hanno ignorato, tollerato o perdonato un tipo di cultura sistemica di molestie, vendetta o discriminazione
In un comunicato, Activision Blizzard ha dichiarato quanto segue, opportunamente tradotto:
Siamo felici di aver raggiunto un accordo con la California Civil Rights Department oggi […]. Capiamo l’importanza del fatto richiamato in questo accordo e vogliamo dedicarci a rispettare tutti gli obblighi contratti come parte di questo accordo. Vogliamo che i nostri dipendenti sappiano che, come specifica l’accordo, siamo impegnati ad assicurare compensi giusti e una politica e delle pratiche di promozione per tutti i nostri impiegati.
Il raggiungimento di un accordo del genere, da definire extragiudiziale, è una pratica vista sempre con un certo grado di perplessità. Activision Blizzard però, vede in questo un’opportunità per ricominciare e il minimo che si possa fare, è concedere il beneficio del dubbio. Certo, non sono sicuramente finiti e guai legali per la società, che si trova coinvolta in altre cause simili. Tuttavia, questo accordo può essere considerato un primo passo per ripulire il nome dell’azienda, sperando che pratiche del genere non vedano mai più la luce a nessun livello e in nessuna software house.
Quando il videogioco si sporca col mondo reale, è inevitabile che un po’ della magia insita nel medium si perda. Blizzard, che tanta magia ha trasmesso ai giocatori, dovrà essere in grado di ristabilire il giusto grado di fiducia con una fanbase che, ancora, è memore delle capacità creative dell’azienda e che aspetta di poter tornare a parlare di videogiochi e basta. Questo accordo, quale che sia il punto di vista da cui lo si vuol vedere, è un primo passo in quella direzione.
This post was published on 18 Dicembre 2023 8:30
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