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Google lancia un programma per rendere davvero accessibili i videogiochi a tutti

Project Gameface di Google è un programma sperimentale che vuole utilizzare l’intelligenza artificiale per creare giochi sempre più accessibili anche a coloro che hanno seri problemi di manualità: leggendo il volto del giocatore, l’IA riesce a comprendere cosa vuol fare e a tramutarlo in input di gioco. Vediamo come funziona e quali sfide sta ponendo agli sviluppatori.

Come funziona Project Gameface

Project Gameface è stato annunciato da Google lo scorso maggio come una tecnologia basata sul machine learning: attraverso la “lettura” del volto e l’interpretazione dei segnali inviati alla macchina, l’IA permette al giocatore di guidare il suo personaggio come se stesse utilizzando un mouse. È un processo molto profondo, perché attraverso il machine learning l’IA perfeziona sempre più la lettura dell’input andando a rispondere a tutte le esigenze del giocatore.

Il progetto ha avuto origine dall’esperienza di Lance Carr, uno streamer tetraplegico che purtroppo ha perso in un incendio la sua attrezzatura da gaming costruita per persone nella sua condizione e che è stato supportato da Google nella ricerca di un’alternativa. Da ciò è nata l’idea del progetto.

Come raccontato da Laurence Moroney, AI advocacy lead di Google e fra gli ideatori di Gameface, dapprima le ricerche si sono concentrate sulla riproduzione virtuale di un volto umano, poi sulla sua mappatura per individuare punti focali come occhi, naso, bocca e orecchie, e infine sul far sì che l’AI tramutasse in input ogni singolo gesto espressivo del viso. 

Al momento i creatori di Gameface sostengono che questa nuova tecnologia sia in grado di aiutare moltissimo i giocatori con disabilità, ma anche aiutare gli sviluppatori stessi a studiare nuovi metodi per rendere i loro giochi sempre più accessibili: secondo Moroney, questa nuova tecnologia può semplificare il modo in cui i programmatori possono tarare al meglio i loro giochi secondo le necessità degli utenti.

Videogiochi, AI e accessibilità: un’opportunità per gli sviluppatori

A proposito di sviluppatori, il potenziale di Gameface ha suscitato già varie reazioni.

C’è per esempio chi sposa la linea di Moroney proponendo un uso dell’IA integrata in un gioco come strumento che permetta di generare testi in tempo reale (cosa utile per esempio per spiegare un concetto non chiaro) o di riconoscere la voce del giocatore e tarare la difficoltà allo standard consigliato per lui

Inoltre, come afferma Artem Koblov di Perelesoq, un piccolo studio padre dell’indie ad ambientazione Seconda Guerra Mondiale Torn Away, gli studi sull’accessibilità nei videogiochi sono processi onerosi anche a livello di costi, e l’adozione dell’IA permetterebbe un bel taglio di spesa in questo campo.

Eppure, come in altri ambiti dell’industria della creatività e dell’intrattenimento, c’è chi mette in guardia all’affidarsi totalmente all’intelligenza artificiale. È il caso di Conor Bradley, creative director di Soft Leaf Studios, secondo cui il processo di accessibilità di un gioco deve essere comunque guidato dall’umano e non dato in pasto ai freddi calcoli. 

Bradley ricorda infatti come in definitiva sia l’uomo a dover sempre giudicare l’operato della macchina, valutandolo in base a caratteristiche che essa non può avere (come, banalmente, l’umanità).

Il sentiment comune degli addetti ai lavori, guardando all’applicazione dell’AI a questo campo, è la necessità di attingere a essa come strumento nelle loro mani e non come sostituto, e questo è particolarmente interessante, poiché se da un lato si mette in guardia dalla “spersonalizzazione” dello sviluppo del gioco, dall’altro si riconosce l’importanza e la dignità dell’IA

Gameface: non mancano le perplessità

Al tempo stesso, critiche vengono anche dagli stessi giocatori che Gameface vorrebbe aiutare ad accedere al loro intrattenimento preferito: è il caso di Ben Green, che porta il suo esempio di giocatore che deve respirare con l’aiuto di un ventilatore, fatto che gli causa un’espressività senza dubbio alterata (ma è un discorso che vale anche per i giocatori che hanno particolari caratteristiche facciali date da una patologia).

Un tema scottante sul quale Gameface sembra stia lavorando, stando al capo del team di sviluppo Miguel de Andrés-Clavera, che ha affermato che gli utenti di Gameface sono in grado di personalizzare il sistema di input visivo a piacimento grazie alle impostazioni, e che il team stesso è al lavoro per risolvere ogni tipo di problematica.

Al di là dell’accesa discussione e delle problematiche che possono nascerne è però certo che il discorso IA-potenziamento dell’accessibilità potrebbe aprire un capitolo del tutto nuovo all’interno di questo che è il tema più “acceso” dell’anno, e magari aiutare il dibattito a essere meno polarizzato e più analitico.

This post was published on 24 Luglio 2023 12:30

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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