Quando Klei Entertainment rilasciò per la prima volta Don’t Starve era il 2013. Si era nel pieno della febbre di Minecraft, e si assisteva a un copioso rinnovo di linfa per il genere survival-crafting.
Rispetto al gioco dei blocchi però, Don’t Starve appariva molto più aspro. Un loop di gioco più risoluto, gestione dei tempi più stringata e pressante, grafica in 2d a là Tim Burton e una atmosfera a tratti misteriosa, a tratti minacciosa.
Probabilmente, la condizione di venire gettati in un mondo ostile senza alcun tipo di guida ha contribuito a rendere così seducente questo piccolo capolavoro agli occhi degli ancora numerosissimi estimatori.
Tagliando corto, la differenza principale con Minecraft è che in Don’t Starve sopravvivere è difficile sul serio.
Nuova interfaccia, vecchie abitudini
Non c’è dubbio che Don’t Starve: Pocket Edition esprima una prospettiva decisamente unica su dispositivo mobile. E’ un port senza compromessi della versione PC e quindi la sola vera differenza sta nell’interfaccia di gioco.
Il movimento avviene tramite un pad direzionale sul lato sinistro, mentre l’interazione toccando direttamente gli elementi del mondo circostante. Ciò si applica parimenti anche agli oggetti dell’inventario e sul menù del crafting, posizionato a tendina a sinistra.
Per il resto, l’avventura resta integra e spietata nel Regno dei Giganti e presso l’arcipelago di Shipwrecked, le due espansioni attualmente disponibili.
Alle prese con creature da libro di Lovercraft, a fare da spola tra i biomi delle vaste lande incerte, ci accompagneranno tre fondamentali meter con cui fare i conti da vicino. Quello della vita, che enumera i proverbiali hit points, quello della fame e della salute mentale.
Il contatore della fame ci obbligherà a retrocedere ad uno stadio primordiale di sopravvivenza: alla raccolta, alla caccia, alla pesca e alla coltivazione. Quale migliore personaggio dello scienziato Wilson per farci da alter-ego, in un sandbox nel quale è di fondamentale importanza costruire utensili e armi, rifugi e trappole, per arrivare interi a fine giornata.
E quando le tenebre calano, ecco che iniziano a diminuire i punti della salute mentale. Questi rappresentano la pressione che si accumula durante il tentativo di sopravvivenza. Potremmo considerarla un po’la firma, di Don’t Starve.
Durante il corso di qualsiasi azione, il gioco evidenzia il lento sprofondare, l’opprimente sensazione che i giorni siano contati e che la fine si avvicini sempre più. La grafica spigolosa del gioco dona talvolta un tocco comico, ma il carattere rimane sempre piuttosto oscuro, poiché in questo mondo strano e snervante stare svegli di notte, avvicinare creature ostili o utilizzare oggetti occulti, andrà a disturbare la nostra mental health.
Quando la barra raggiunge livelli bassi, ombre inquietanti faranno breccia nel campo visivo a schermo. Quando il meter sarà prossimo allo zero, le ombre prenderanno vita iniziando ad attaccarci.
E lì sono dolori. Ma sono abbastanza certo che per molti di voi non starò dicendo nulla di nuovo…
Il concept di Don’t Starve è unico sia nel design che nelle possibilità che questo offre. Le soluzioni creative sono davvero eccellenti, di una rara qualità. Don’t Starve non è facile, ma è divertente, specie se si guarda con un certo interesse a giochi che si concentrano davvero sulla sopravvivenza e sul crafting. Il mondo lovercraftiano del gioco ha già creato un posto memorabile e poterci ritornare su mobile vale tutto il prezzo di circa 5 dollari richiesto.
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